|
Stile visual kei
Negli anni ’80, dalla formazione di gruppi rock giapponesi nacque il visual kei, un sottogenere rock di natura musicale, portato a conoscenza, a livello mondiale, dagli X Japan (band rock venuta alla ribalta nel 1987 e considerata il progenitore di questo genere musicale- visivo ) che lo hanno poi sviluppato ai suoi massimi livelli negli anni ’90. Il visual kei ( la pronuncia esatta è “vijuaru kei”) è caratterizzato dal look più che dalla musica, che a sua volta può spaziare nei più svariati generi come appunto l’hard rock, il pop, la classica, l’elettronica, ecc..
Il visual viene tradotto più come un tipo di rock visuale caratterizzato da elementi classici del Giappone (es: i kimono e strumenti musicali tipici ) e dalla ri-definizione della cultura del manga tipizzata nella creazione di disegni che trasformano personaggi reali in figure immaginarie, ma anche dalla presenza di testi rigorosamente in lingua madre (perché la maggior parte della popolazione non conosce lingue occidentali ) che parlano di diverse cose che possono variare da discorsi nonsense a testi di carattere sessuale, fino a pure critiche sociali.
Infatti la cosa importante del visual kei non è il messaggio intrinseco alla canzone, ma l’effetto particolare derivante dalla esibizione di questo genere musicale che vuole portare l’attenzione sull’opposizione sociale tipica di questo paese, che vede l’evidente spirito di ribellione dei giovani convivere adeguatamente con la manifesta adesione alla tradizionale cultura nazionale. Simbolo evidente di questa strana convivenza è il fatto che se nelle esibizioni viene mostrato l’eccesso, appena al di fuori del show business gli artisti ritornano educati e rispettosi cittadini.
Proprio a proposito dell’eccesso, viene portato alla ribalta anche un nuovo connubio di look da parte di numerose band che possono rientrare nella semplice definizione di nuova visione, neo visual appunto.Sempre per quanto concerne le band visual, il look che le caratterizza è basato dall’unione di kimono molto colorati, come nel teatro kabuki che racconta antichi miti religiosi, presentando storie con attori mascherati e truccati vistosamente, ma anche dall’ampio uso di tute di latex, da divise militari di diversi tempi storici e di vestiti femminili o prettamente androgini, appartenenti al roccocò francese.
A seguito di questo nuovo movimento musicale è nata una nuova moda, data dal fatto che molti artisti musicali hanno creato vere e proprie linee di vestiario nel tema del visual rock. Questa nuova moda è prevalentemente al femminile e prende il nome di gothic lolita style, essa riprende gli elementi e gli accessori che caratterizzano il visual kei, ma enfatizzando al massimo le caratteristiche che si rifanno al XVIII secolo francese, per poter creare una nuova forma di sessualità femminile esclusivamente in senso parafemminista.
Infatti mai come dagli anni ottanta a oggi rock’n’roll e moda hanno parlato la stessa lingua, cambiando sempre modalità di esprimersi i giovani hanno dettato legge in fatto d’ispirazione, trasformando sempre di più il mondo circostante, ma ultimamente le influenze si stanno caratterizzandosi maggiormente all’interno della moda stessa, esattamente come il movimento in questione, che anche se prende il nome di lolita, non ricalca fortemente la lolita di stampo occidentale descritta dallo scrittore Nabokov, ma quasi la classica bambola di porcellana con carnagione chiara e vari merletti, perché la lolita non deve essere sexy ma semplicemente adorabile. Tutto il contrario di un altro movimento giapponese, nato negli ultimi anni novanta dalle cantanti Ayumi e Namie, che si chiama kogals nome formato dalla parola “ko-“ che indica un prefisso giapponese riferente a una condizione infantile e “gals” slogan americano per dire girls; in questa moda le ragazze esprimono loro stesse tramite vestiti molto estrosi e colorati aggiungendo capelli che variano dai colori fosforescenti a mecheé argentate.
Le kogals mostrano un look che mira ad una prima occhiata a distinguerle dalla massa e tramite atteggiamenti e linguaggi fuori dal comune dimostrano quanto siano orgogliose di emergere dalla corrente sociale.
Entrambe le mode vogliono dimostrare tramite una reinterpretazione dell’eccesso i sentimenti giovanili che distinguono tutti i ragazzi del mondo dalle società, ma soprattutto da quella giapponese conosciuta come una delle società più tradizionaliste di questo pianeta; perché l’obbiettivo principale dei giovani giapponesi è cercare una propria personalità, fuori da quei parametri scelti e imposti dalle vecchie società capitaliste.
Nel corso degli anni sono nati sempre nuovi stili diversi legati al visual kei che hanno utilizzato pesanti make-up e acconciature di capelli che ricordano precedenti artisti come David Bowie nel film Labyrinth o band come i Sex Pistols, con costumi di scena tendenti al glam metal degli anni 80 o vestiti prettamente femminili, ma anche stili che hanno fortemente influenzato le passerelle di alta moda, dal 2000 a oggi, come il Koi Kei X espresso dall’artista Miyavi, ritenuto uno dei pochi ad aver approfondito fino in fondo questa moda, ma anche da artisti stranieri, come Avril Lavigne in questi ultimi due anni.
Espressione di questa sempre più forte corrente è il fatto di come molti ragazzi, nel mondo, si riuniscano per far vedere il proprio modo di vivere e di vestirsi, l’esempio che cattura più attenzione e turisti a riguardo è il quartiere di Harajuku in cui ogni domenica si riuniscono migliaia di ragazzi di diverse età accumunati dalla passione del cosplayer con cui si travestono dai loro artisti preferiti, questo quartiere è stato largamente citato da Gwen Stefani nella canzone Harajuku girls e nella sua famosa linea di abbigliamento.
Naturalmente questo “pazzo” mondo non può essere pienamente inteso senza che si conosca il pubblico consumatore, infatti il target di riferimento in Giappone è prevalentemente formato da ragazze e giovani donne, di conseguenza il mercato è altamente influenzato da tutti quei mezzi o gadgets definiti “kawai” e facilmente acquistabili dal target in questione, come può essere Hello Kitty, a differenza degli altri paesi del mondo in cui il pubblico si divide in parti quasi eque tra ragazze e ragazzi.
Quindi di facile comprensione è la diffusione di sempre nuove firme su collezioni gothics come quelle del cantante Mana, con negozi per tutto il Paese, e collezioni appartenenti al decora style, stile nato alla fine degli anni novanta dal cantante Tomoe Shinohara e poi ripreso nel 2006 da un gruppo di ragazzi, per le strade di Tokyo, ma influenzati anche da nuovi artisti come Aya, chitarrista della band Psycho Le Cemu.
A seguito della grande affermazione dell’universo visual, negli anni seguenti, sono nate band musicali, tecniche musicali, ma soprattutto riviste specializzate in questo settore, di particolare interesse visivo è il magazine Gothic Lolita Bible in cui vengono sviluppati cataloghi di stilisti famosi, servizi fotografici con modelli conosciuti, servizi fotografici di ragazzi (ognuno con il suo stile) fotografati per strada come in un lavoro di cool-hunting, interviste ad artisti del J-Rock, cataloghi di marche ordinabili via internet e con inserti dedicati a vestiti fai da te, accessori e istruzioni di make-up. Oltre a quest’ultimo esempio vi sono altre riviste dai titoli vivaci come Frill che presenta una struttura simile alla Gothic Lolita Bible ma in forma più dolce, e infine Fruits che si presenta più come un catalogo o come un libro illustrato in cui vengono mostrate 250 e più foto, ognuna con una piccola biografia. Quest’ultima oltre ad essere l’unica rivista in questione che viene importata dal Sol Levante è una delle pochissime che tratta dei diversi stili che animano il Giappone odierno.
Inserite all’interno di questo mercato vi sono numerosi manga (fumetti giapponesi) che trattano delle correnti precedentemente esposte in sempre nuove storie leggere e fantasiose, sempre in stile gotico. Esempio è l’opera di Mihara Mitsukazu pubblicata all’interno della Gothic Bible, ma anche storie trattanti sentimenti prettamente femminili sempre attuali come Gokinjo Monogatari, pubblicato in Italia e trasmesso su Italia Uno con il nome di Curiosando tra i Cortili del Cuore, e Nana (anche quest’ultimo in corso di pubblicazione e trasmesso su Mtv) sempre dell’autrice Ai Yazawa. Queste opere sono divenute di tale importanza per il marketing riguardante i manga che marchi come Hello Kitty e Vivienne Westwood si sono trasformati nello stile “Nana” con conseguente distribuzione a livello globale.
Oltre alla continua espansione delle “Anime fiere” nel mondo, vi è un’enorme diffusione del genere musicale J-rock e degli artisti esponenti come possiamo vedere dalla nuove collaborazioni internazionali tra band nipponiche e musicisti o cantanti americani come Wes Borland, ex-chitarrista Limp Bizkit, che ora suonerà con gli X-Japan o Sara Noxx che opererà con i Gothica.
Sempre nel settore della musica internazionale questo campo ha visto numerose novità, fra tutte eccelle la Germania, dove si sono sviluppate due importanti band sulla scia di questo nuovo genere: i Tokio Hotel e i meno conosciuti in Italia ma altrettanto bravi Cinemabizarre. I primi sono una band che ha spopolato tra la maggior parte delle ragazze tra gli undici e i diciasette anni e che conquista molti premi musicali, presentano un look più sul glam rock ma non negano di essere stati influenzati dal look visual rock soprattutto per quanto riguarda il cantante Bill Klautz; i secondi invece sono una band nata in questi ultimi anni, formata da cinque ragazzi appassionati di manga e musicalmente influenzati dagli X-Japan ma anche dai più recenti Dir En Grey. Quest’ultima band, in Germania, è diventata una delle più popolari, tanto che ogni anno partecipano a numerosi concerti in tutto il territorio tedesco, ma anche perché hanno portato alla creazione di una casa discografica, la Gan-Shin Records, la prima e al momento unica etichetta europea che si occupa unicamente del Visual Rock, che assieme a Mtv France permette alle visual band nipponiche di esibirsi per tutta Europa, grazie anche ad agenzie come la EINSOF Marketing Group, ufficio di marketing internazionale situato a Singapore, Los Angeles e New York che opera con tutte le band Visual Rock del mondo. Per quanto riguarda l’Italia, invece, non si può affermare che vi siano band che lavorano sul genere visual, anche se si può accennare allo stile che ha caratterizzato artisti come Renato Zero o Gianna Nannini agli esordi della loro carriera, di quest’ultima artista, però, si può parlare della canzone “Io” nel cui video vi è una protagonista abbigliata nel gothic lolita style, segno che anche in Italia va ad affermarsi e a proporsi questo stile di vita, naturalmente non si può dire che sia altamente popolare come in madre patria. Contribuisce alla diffusione di questa musica, oltre alle fiere di anime e manga, il lavoro di DJ come Shiru, che propone serate e feste a tema J-Rock in tutta Italia.
Oltre al campo musicale internazionale, il neo visual rock ha influenzato la moda con i numerosi accessori creati da Tarina Tarantino e ispirati al gothic lolita style, ma anche la famosissima maison Louis Vuitton ha reinterpretato il suo marchio con l’aiuto dell’artista Takashi Murakami, e il nuovo artista emergente Tokidoki (nome d’arte di Simone Legno) è l’emblema dei giovani appassionati di questa cultura così frenetica ma anche così divertente: “il mio sito personale è ispirato alle mie esperienze, le cose e le persone che ho incontrato nei mie viaggi più o meno lontani e a quelle del quotidiano che mi colpiscono in particolare. Tokidoki è una parola giapponese, che significa ‘qualche volta’ e rappresenta l’attesa di quei momenti, incontri o contatti che possono cambiare la mia vita e realizzare i miei sogni. Adoro il Giappone, nei suoi aspetti più tradizionali e moderni di questo meraviglioso paese”.
Sempre sotto l’influenza del visual e del gothic style alcuni artisti emergenti stanno diventando famosissimi tanto da operare nel campo della pubblicità come Mijn Schatje, illustratrice danese, che dopo una mostra e un sito internet è diventata la designer di punta del marchio Fornarina, ma anche come la giovanissima pittrice cinese Han Yajuan, esponente dello stile lolita nel più grande paese asiatico.
Questi esempi dimostrano come il visual kei non sia altro che l’emblema di come un’emozione o un oggetto possa instaurare delle relazioni fra individui appartenenti a diverse società e possa contemporaneamente cambiare la staticità delle cose, tanto da divenire un impulso che permette a chi lo segue di sentirsi parte integrante del mondo stesso; come indica lo stesso sociologo Baurdieu che spiega come i consumi siano lo specchio delle identità di chi fa gli acquisti e come essi stessi divengano degli strumenti di distribuzione della cultura.
Quando la società subisce grossi cambiamenti, gli individui trovano la necessità di una continua trasformazione per poter trovare una propria identità, unica rispetto a tutte le altre.
Per mezzo di questa “nuova” figura il soggetto in questione fa uso di tutti quegli strumenti che lo possono caratterizzare nella società, quindi i vestiti, i cosmetici, gli accessori non sono altro che mezzi di manipolazione della persona, tanto più questi elementi divengono importanti per la società, tanto più l’individuo continua il suo percorso di mutabilità, fino al punto in cui il modo di esporsi non sarà più l’elemento di identificazione del singolo, ma l’identificazione del gruppo sociale a cui appartiene.
Tramite questo processo di trasformazione gli oggetti presi in uso vengono caricati, dal soggetto, di molti significati che possono variare da persona a persona e di conseguenza divengono parte integrante del suo bagaglio culturale, che diviene a sua volta elemento di distinzione all’interno del gruppo sociale in cui appartiene l’individuo.
Tuttavia, osservando il pensiero di Finkelstein (altro sociologo che espresse questa teoria nel 1998) si può notare come l’abito, in questa società postmoderna, non renda chiara la posizione sociale del soggetto, visto che la moda diviene una maschera in cui, invece di posizionare gli individui in un universo sociale prestabilito, si impegna a soddisfare il desiderio di sviluppare una molteplicità di identità sociali.
Quindi le diverse trasformazioni che la società giapponese ha subito in questi ultimi anni, non sono altro che la voglia dei giovani di identificarsi in un ideale che li caratterizzi nella società e li renda diversi gli uni dagli altri, di conseguenza la metamorfosi sociale può essere descritta dal concetto della creatività: essa è lo strumento con cui i giovani reinterpretano il mondo circostante nella continua ricerca del senso della vita, elemento significativo dell’essere umano, nel tentativo di creare una forma di comunicazione che unisca tutte le popolazioni del mondo, dunque un linguaggio universale comune a tutti ma che contemporaneamente diversifichi ognuno.
Quindi si potrebbe dire, con le parole di S. Abadi, che forse il vero senso della vita sta nel fatto che “bisogna permettersi di giocare, senza essere troppo integrati, per poter essere creativi!”.
“L’arte è una tendenza di tutti gli esseri umani,
è una proprietà del pensiero,
indipendentemente
dal fatto che ci sia un’arte bella o una brutta,
esattamente come il fatto che un’emozione,
anche se cattiva, resta un’emozione”
Testi di
Elena Maria Pia Lapenna
Foto di
Fiore Manni |