Perché scegliere un’ epoca antica?
Honda è uno dei pochi (per ora) scrittori di sangue Wajin che si siano occupati della situazione Ainu, e praticamente l’unico tra questi ad essere stato pubblicato anche in Occidente. Come mai questo illustre giornalista ha deciso di utilizzare la forma del romanzo, e non quella della cronaca o del saggio, come sarebbe stato più opportuno aspettarci, per la sua prima pubblicazione sugli Ainu?
Tutto questo pare spiegarcelo Howell nella sua prefazione alla versione inglese di “Ainu Minzoku”. “Scrivere uno studio appassionato sugli Ainu”, sostiene, “avrebbe diluito il potere dell’importante messaggio volutoci comunicare da Honda, poiché avrebbe consentito al lettore di interpretare la posizione degli Ainu nel Giappone contemporaneo come il frutto inevitabile di un processo storico impersonale. […]In tal senso, il contributo di Honda può essere letto non solo per quello che esplicitamente comunica circa gli Ainu, ma anche per la sua critica implicita alla società contemporanea ed al governo giapponesi.”1
Scrivere un romanzo sugli Ainu, ambientato in un tempo in cui gli Ainu non erano ancora degli emarginati, spogliati dal possesso delle loro stesse terre; scrivere di un tempo in cui le usanze Ainu erano vita quotidiana, non un’attrazione turistica: quale metodo migliore per catturare l’attenzione del lettore e farlo riflettere sulla condizione attuale di questo popolo?
Inoltre, stabilendo l’ambientazione in un periodo di 6 secoli fa, non si corre il rischio che il lettore di oggi, abituato all’omologazione di massa, arricci il naso nel rendersi conto di quanto siano “retrograde” certe abitudini. (Di certo, l’usanza femminile di tatuarsi le labbra una volta raggiunta l’età da marito deve sembrare inutilmente dolorosa alla gente di oggi: ma non lo sono altrettanto gli interventi di chirurgia estetica, a cui molte persone si sottopongono per il medesimo scopo, e cioè “sentirsi socialmente adeguati”?)
Scrive ancora Howell: “Honda ha scritto la storia di Harukor non soltanto per trasmettere il senso di ciò che significava essere Ainu, ma anche per incoraggiare i suoi lettori a riconsiderare ciò che significa essere Giapponesi, poiché gli Ainu di oggi sono ‘Giapponesi’ a tutti gli effetti, esattamente come i loro vicini.”
Tuttavia, non avrebbero potuto essere considerati come “Giapponesi” dai Wajin, in quanto non rispecchiavano i loro standard di “civiltà evoluta”. Evoluta significa possedere un codice linguistico scritto, e conseguentemente, cronache storiche dettagliate di epoche antiche.
Ed ecco qui l’idea di Honda: doniamo agli Ainu una sorta di cronaca, un romanzo storico più o meno fondato su basi reali. Grazie a questo, gli Ainu potranno essere giudicati a pari livello con i Wajin, giacché hanno una storia antica accertata, e soprattutto, messa per iscritto!
In un manifesto anonimo giapponese pubblicato nel 1895, “Sui Metodi per Compilare una Storia Letteraria”, a difesa della letteratura popolare antica, si legge: “Lo splendore di pensiero delle genti non è sempre espresso inizialmente nella sua forma letterale. […]La tradizione orale, dovrebbe essere anch’essa razionalizzata come parte integrante della letteratura degli appartenenti ad una nazione. […]Il valore di un lavoro del genere, non è in alcun caso inferiore a quello di qualunque altro grande classico letterario.”2
La tradizione orale non è da meno del suo corrispettivo scritto, quindi. Inoltre, scrive Honda: “[…]Molte persone hanno perso delle cose significative sulla strada per ottenere l’abilità di scrittura. Una delle più importanti è la cultura popolare basata sulla memoria – il mondo della trasmissione orale. Le tradizioni orali giocavano infatti un ruolo molto maggiore nella società e nella vita del singolo individuo rispetto a quanto faccia la letteratura oggi.”3
Note:
1) Cit. Howell, David L., “Foreword to Harukor: An Ainu Woman’s Tale”, 1998.
2) Shirane Haruo e Suzuki Tomi (a cura di), “Inventing the Classics. Modernity, National Identity and Japanese Literature”, 2000.
3) Cit. Honda, Katsuichi, “Ainu Minzoku”, 1993.
Testo tratto dalla tesi di laurea di: Valentina Vignola. |