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Ainu Minzoku
Del 1993, è il primo romanzo di Honda ad occuparsi esplicitamente di Ainu.
Il giornalista si era ripromesso di concentrarsi sugli Ainu più e più volte durante la sua carriera. Il primo contatto con questo popolo avvenne nel 1959, quando, fresco di assunzione, venne inviato in Hokkaidō ai fini di raccogliere informazioni per un articolo su di una razza di cani da caccia. I primi rapporti non furono ottimali: gli Ainu non vedevano di buon occhio che uno Shisham raccogliesse dati sulle loro vite; in quei tempi lo stesso termine con cui ci si rivolgeva a loro, “Ainu”, suonava dispregiativo.
Honda dal canto suo ammette di essersi inizialmente avvicinato a loro con una mentalità da “turista”. Un turista ammira la bellezza dei riti, apprezza la cultura “messa in saldo”, ma non ha abbastanza passione per cimentarsi in uno studio approfondito, o cercare di comprendere la sofferenza di un popolo.
Quando finalmente dopo diversi studi condotti in America su alcune delle minoranze diffuse nel mondo (gli Inuit, i nativi americani del New Mexico, i Koin Africani, ecc.) si rese conto di quanto effettivamente fosse importante per questi popoli preservare i propri usi e costumi e farsi accettare nella loro diversità, e decise di approfondire le sue ricerche sugli Ainu. Erano gli anni ’70, periodo in cui cominciava a farsi sentire in Giappone l’ “Ainu Power”, un movimento di ribalta privo di manifesto, ma condiviso da sempre maggiori personalità Ainu (affine al “Black Power” e al “Red Power” negli U.S.A.).
Il romanzo “Ainu Minzoku” (letteralmente: “Popolo Ainu”; nella sua traduzione inglese a cura di Kyōko Selden: “Harukor: An Ainu Woman’s Tale”) è suddiviso in tre parti (inclusa una breve introduzione, e, nella versione inglese, una prefazione ad opera di Howell e alcune note della traduttrice).
Nell’introduzione, Honda ci dichiara il suo vero progetto. Inizialmente “Ainu Minzoku” avrebbe dovuto essere molto più voluminoso, poiché avrebbe compreso altre due sezioni: una relativa alla situazione Ainu dalle prime aggressioni Wajin (1600) fino all’annessione definitiva del 1868, e l’altra alla situazione moderna. Purtroppo lo scrittore non è riuscito nel suo intento con un singolo libro, ma prevede di scrivere in futuro le altre due sezioni in due differenti tomi.
Ma torniamo alla stesura definitiva. La prima parte vuole essere un capitolo introduttivo alla cultura Ainu com’è oggi, ma soprattutto, com’era in passato. Dalla pesca ai salmoni agli stemmi di famiglia, dalla costituzione di un kotan tipico ai metodi utilizzati dalle levatrici per consentire un parto facile. Il capitolo è comprensivo di foto ed illustrazioni tratte da resoconti sugli Ainu da parte di esploratori Wajin dei secoli passati; sono stati inclusi anche stralci di yukar attinti dai lavori di Kannari Matsu e Yae Kurō, e un tanka del famoso poeta Ainu Iboshi Hokuto.
Particolare attenzione è rivolta alla figura di Aoki Aiko, probabilmente l’ultima levatrice-chiaroveggente del nostro secolo. Honda si è servito dei ricordi dell’anziana signora per la maggior parte dei resoconti sulla vita quotidiana Ainu.
Lo scrittore ci illustra anche alcuni degli abusi che sono stati perpetrati verso l’Ainu Moshir (“terra degli uomini”, il modo con cui gli Ainu definiscono la loro terra
d’origine), nonché verso gli Ainu stessi, dai Wajin.
Dalla seconda parte incomincia il romanzo vero e proprio. Dopo una breve parentesi iniziale, in cui l’autore ci invita ad immaginare la storia come avente luogo in Hokkaidō orientale (ritenuta la terra d’origine degli antichi Ainu, ma anche perché la maggior parte delle informazioni raccolte ai fini del romanzo provengono da Kayano, i cui antenati erano originari di quella zona), e come se fosse stata tradotta dalla lingua ainu, veniamo catapultati nell’idilliaco mondo di una donna Ainu vissuta nel XV secolo, Harukor.
La seguiamo sin da quando ha appena imparato a gattonare. L’ambiente che la circonda, così come tutti gli utensili, gli atteggiamenti, e i rituali, fanno parte della cultura Ainu vera, pura, quella di circa sei secoli fa, non ancora contaminata
dall’assimilazione forzata di cui si è ampiamente discusso.
La giovane Harukor cresce, e si trova ad affrontare problemi comuni a tutte le giovani d’oggi, seppure in un’epoca differente: i pericoli di una piena, la prima mestruazione, il tatuaggio sulle labbra (segno dell’entrata in età da marito), le rivalità amorose… In tutto questo, è sostenuta dall’amorevole nonna, sorgente inesauribile di favole e poemi.
A seconda degli stadi della sua vita, la comunità della quale Harukor fa parte si allarga sempre più: prima la famiglia di suo padre, in seguito il suo villaggio, e per finire, la famiglia creata assieme al marito.
Gioia e dolore, vita e morte: nulla manca nella sua vita, e tutto viene raccontato come un avvenimento realmente accaduto. In realtà il lettore sa già che si tratta di fiction, ma è una fiction con un fondo di verità, perché il mondo in cui è vissuta Harukor è stato ricostruito più o meno fedelmente, su basi concrete. Gli yukar che lei ascolta durante un iyomante e poi narra ai suoi bambini, il raid notturno effettuato da un villaggio vicino: sono tutte storie vere accadute ad Ainu diversi, “re-inventati” in un’unica persona; come la definisce Howell nell’introduzione al romanzo, una “ricostruzione etnografica”.
Per riuscire a ricreare un mondo antico che risultasse convincente, Honda ha condotto diverse ricerche sul campo, intervistando numerosi anziani ed anziane. Laddove mancassero le informazioni necessarie, ha colmato i “vuoti storici” sfruttando la sua conoscenza precedente in materia di popolazioni indigene.
Il secondo capitolo si conclude con l’allontanamento di Pasekur, il figlio maggiore di Harukor. Egli ha deciso, dopo una sorta di presentimento divino, di lasciare il villaggio per dirigersi a Sud. Particolarmente intenso e toccante è il momento della separazione.
Se per il secondo capitolo, per mancanza di fonti scritte, Honda si è visto costretto ad adoperare lo stile dell’unwepeker, nel terzo capitolo, dove il narratore è Pasekur, il giornalista decide di adottare la forma dell’upashkuma. Infatti, per delineare il personaggio di Pasekur si è servito di una figura storica certamente esistita: si tratta di Suneash, trisavolo di Kawakami Sanouk, un ekashi della prefettura di Biwatori deceduto nel 1952.
Le disavventure di Pasekur, che è costretto a disonorare il suo villaggio per non morire di fame durante un terribile giorno d’inverno, sono un calco di quelle di Suneash.
Il racconto di Pasekur è più breve rispetto a quello di Harukor, e viene narrato quando questi è già padre. L’arco d’azione è molto più ristretto, dovendo attenersi ad un singolo upashkuma, e ricopre il periodo che va dall’allontanamento di Pasekur al suo arrivo nel villaggio dove, dopo varie tribolazioni, sarà accettato come nuovo membro. Il racconto si conclude con la registrazione, da parte di Pasekur, della notizia che un coraggioso Ainu ha deciso di opporsi alla sempre più incombente minaccia dei Wajin. Quest’Ainu non è altri che Koshamain 1.
Note:
1) Per maggiori informazioni, si veda nota 1.
Testo tratto dalla tesi di laurea di: Valentina Vignola.
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