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Le Critiche

Seppure Kayano si sia adoperato in ogni modo per tentare di ripristinare le condizioni della loro cultura, numerose sono state le critiche da parte di Ainu.
Pur riconoscendo l’immenso servigio che ha reso a tutto il popolo degli Ainu, lo stesso accusa lo scrittore e attivista politico di varie pecche: una tra queste è l’essersi focalizzato principalmente sulla sua area di nascita, il villaggio di Nibutani. Gli Ainu occupano l’intero Hokkaidō (e fino a un passato piuttosto recente, anche Sakhalin e le Curili), e col tempo nei costumi e nella lingua sono prosperate diverse variazioni regionali: come si può sperare, dunque, di scrivere di “civiltà Ainu” se le uniche tradizioni cui si fa riferimento sono quelle di un singolo villaggio?
La Sjöberg ha riportato diverse interviste in merito condotte in varie regioni dello Hokkaidō, persino nella stessa Nibutani. Emergono differenti punti di vista.
La critica più ricorrente tuttavia sembra essere quella del presunto “monopolio delle ambizioni”: Kayano si è fatto il portavoce di un popolo intero, ma questo l’ha riconosciuto come tale? Condivide i suoi punti di vista?
Ci dice un giovane abitante di Nibutani, intervistato dalla Sjöberg:

“[…]Non credo che ci sia bisogno di affermare quanto siamo orgogliosi della nostra cultura ripetendolo in continuazione, mettendo in chiaro quanto siamo unici. Forse siamo soddisfatti di come sono andate le cose. […]Alcuni di noi vorrebbero essere lasciati in pace. Oggigiorno, non ci conviene dire agli altri di dove siamo. Se diciamo di essere di Nibutani, la gente penserà che possiamo condividere le stesse opinioni del signor Kayano. E se a loro non piacciono, non ci rivolgeranno la parola. Penso che sia una cosa negativa. Alla fine, potremmo esserne danneggiati.[…]”1

C’è chi invece ritiene il lavoro di Kayano come altamente commercializzato. Di seguito, è riportata l’opinione di un giovane Ainu di Sapporo, città principale dello Hokkaidō:

“[…] Le autorità sono molto sensibili alle critiche, specialmente da parte delle altre nazioni. Sentono di dover fare qualcosa per il popolo Ainu, e quindi ascoltano ciò che ha da dire Kayano. Ma le autorità non sanno molto di noialtri. Non si sono mai interessate a noi. E ora pensano che il signor Kayano sia il rappresentante dell’intero popolo Ainu. Non è vero. […] [Kayano]pensa che il suo lavoro per la cultura Ainu gli varrà il Premio Nobel. Pensa che ottenendo il Nobel renderà gli Ainu orgogliosi della loro cultura. Ma il modo in cui espone la nostra cultura non è sempre esatto. La sua conoscenza è troppo limitata. Conosce Nibutani e i suoi paraggi, ma non il resto. […]Ho sentito che sta cooperando con gli Ainu di Akan, Shiraoi e della capitale, di recente. […]Ritengo che sia cosa buona, ma per quel che riguarda gli Ainu di Akan e Shiraoi, la loro identità di Ainu si riscopre solo durante la stagione turistica. Perciò dire che gli Ainu di quella zona sono fieri delle loro origini Ainu, è alquanto esagerato. E’ un punto di vista che si basa sul turismo e sul profitto che se ne ricava. […]Ma non c’è nulla di male in tutto ciò. Conducono una vita più ricca. E poi, una volta che i bisogni materiali siano stati soddisfatti, si può passare a soddisfare altri bisogni, e cioè quelli etnici. […]Oggi molti Ainu ricevono salari tra i più bassi dello Stato, e questo non è che ci renda molto orgogliosi, solo molto poveri. Ed è per questo che preferiamo l’anonimato. Siamo orgogliosi. Non vogliamo che altri sappiano della nostra situazione. […]Le porte degli Shamo sono chiuse. Dovremo trovare nuove porte. Ed è possibile che quella che ha aperto Kayano ci conduca ad una porta che, una volta per tutte, migliorerà la nostra situazione, e ci darà uno statuto etnico. […]”.2

Parecchi Ainu, come si è visto, oggigiorno non chiedono altro che di essere prima di tutto trattati sullo stesso piano dei Wajin. E gli sforzi di Kayano (per quanto siano degni di lode), che cercano di inquadrarli come un’etnia completamente diversa dalla principale nipponica, non fanno che rendere gli Ainu ancora più isolati.
Eppure, secondo Kayano, l’unico modo che esiste per gli Ainu di essere riconosciuti come aventi diritto al pari dei Wajin, sarebbe nutrire una coscienza di cosa significhi essere “Ainu”: perpetuare le tradizioni ed i culti di un tempo. Soltanto riscoprendo la propria cultura, e facendola scoprire anche ai Wajin, si potrà ottenere quel riconoscimento che la società Ainu tanto agogna, abbattendo ogni stereotipo.
Tuttavia, finché la cultura Ainu si limiterà agli spettacolini per turisti, e finché la maggior parte dei musei sugli Ainu in Giappone verranno mantenuti dai Wajin, ben poco potrà essere fatto in merito.
Essere accettati come Giapponesi dai Wajin, però, per molti Ainu non implica necessariamente andare contro l’ideologia di stato, che asserisce l’omogeneità del popolo nipponico. A lungo andare, confrontare i valori e le ideologie di entrambi i gruppi etnici (Wajin e Ainu) potrebbe portare ad una vera e propria spaccatura, che nuocerebbe ad entrambi. Gli Ainu che non si riconoscono come tali potrebbero star appunto cercando di convenire ai dettami dell’ideologia di stato.
Non si può dire con esattezza se costoro siano arrivati a questa decisione in conseguenza alla bassa posizione sociale che occupavano in quanto Ainu, o perché oramai plasmati dalla cauta politica di assimilazione culturale. Kayano ipotizza che si tratti del primo motivo.
Una cosa è comunque chiara: non ci si può aspettare che i Wajin si adoperino per la salvaguardia della cultura Ainu, dato che la loro sola presenza va contro il loro concetto di identità nazionale. Devono essere gli Ainu stessi ad adoperarsi affinché vengano ascoltati. 3


Note:
1) Cit. Sjöberg, Katarina, “The Return of the Ainu”, 1993. Capitolo 7.
2) Vedi sopra.
3) Cit. Sjöberg, Katarina, “The Return of the Ainu”, 1993. Capitolo 7.

Testo tratto dalla tesi di laurea di: Valentina Vignola.