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I samurai, l’arco e la spada.

Per molti secoli, in Giappone, lo studio del maneggio dell’arco e della spada era l’occupazione dove il samurai era più impegnato. L’uso dell’arco si affermò per scopi bellici o come ausilio alla caccia. Fino all'introduzione delle armi da fuoco, con i portoghesi, nel XVI secolo, l’arco permetteva di lanciare, con esattezza e a distanze ragguardevoli, vari tipi di frecce e quando non era necessaria precisione, come nel caso delle frecce infuocate o di segnalazione, l’utilità di questa arma poteva arrivare fino ad una distanza nell’ordine dei duecento metri.

Nella tradizione militare giapponese l’arco condivide con la spada un eguale prestigio. Rappresentano entrambi l’emblema dell’indomita forza guerriera, un simbolismo religioso e l’affermazione dei poteri di concentrazione e determinazione nati con un lento, duro e faticoso allenamento.

Nella cultura giapponese, tutti i personaggi di posizione sociale elevata erano felici quando venivano divulgate e acclamate le loro qualità di arciere, ma cercavano di far passare inosservate le prodezze realizzate con la spada.

Ai nostri giorni, gli originari impieghi dell’arco hanno lasciato spazio al Kyū-do, in italiano la “via dell’arco”, dove il fine pratico è secondario e diventa preminente quello filosofico.

Un complesso ed elegante cerimoniale, dalle ferree regole di etichetta, dove lo zen e i suoi insegnamenti fanno da principale protagonista. Nella mente del praticante, la freccia, scoccata dopo un articolato e raffinato protocollo, ha già colpito il bersaglio prima di aver lasciato l’arco e l’arciere. Il bersaglio, quello fisico, situato ad una distanza di ventotto o sessanta metri, ha il compito di palesare quanto l’allievo ha assorbito, a livello inconscio, della tecnica d’uso e quanto l‘applicazione della rigida etichetta evidenzia la naturalezza e la spontaneità dell’arciere.

Nel Kyū-do, il sibilo della freccia che fende l'aria ha ben altri scopi rispetto all’analoga pratica occidentale.

Nell’antico Giappone gli archi, in giapponese yumi, esistevano di varie grandezze e forme, creando moltissime varianti del tipo fondamentale, conosciuto con il nome di fuse- take no yumi. Costruito con diversi strati di bambù e legno di gelso o catalpa, è lungo dal metro e ottanta ai due metri e quaranta centimetri, molto resistente ed elastico, rinforzato da sottili strisce collocate esternamente in vari punti alla struttura. La corda è realizzata con uno spago di seta impregnato di resina di pino. La freccia ha una punta metallica, è costruita in bambù e penne d'uccello.

L’arco giapponese è il più lungo al mondo, per questa ragione è impugnato in modo asimmetrico, a un terzo della sua lunghezza e non al centro come nell’arco occidentale. Questo impugnatura imprime alla freccia una velocità d’uscita maggiore dovuta alla maggiore forza di carico dell’arco

Veniva usato solitamente a piedi, dietro un tedate, un largo scudo di legno, ma poteva essere usato dai guerrieri a cavallo i quali, come descrivono i testi antichi, al galoppo, guidando con le sole gambe l’animale, scagliavano le loro frecce in una rapida successione contro gli avversari in battaglia, ferendoli e lasciando ai fanti il compito di infierire il colpo di grazia. La pratica di tirare con l'arco da cavallo divenne una cerimonia shintoista detta Yabusame.

Nelle battaglie contro gli invasori mongoli, l’arco fu l'arma decisiva, nettamente superiore ai piccoli archi e alle balestre usate dagli invasori. L’avvento delle armi da fuoco e il loro impiego in guerra ridusse l’importanza strategica dell’arco e dell’arciere nel campo di battaglia, ma non offuscò il prestigio della disciplina, paradossalmente rafforzando la relazione fra l’arco e la freccia e la leggendaria nascita della nazione giapponese.

In epoca neolitica le punte delle frecce erano realizzate in osso o in pietra e già si presentavano in un vasto repertorio di fogge, la più peculiare era costituita da una punta composta da due alette, chiamata karimata. L’importazione del metallo nell’isola, nei primi secoli dopo Cristo, permise la realizzazione di punte di freccia fuse in bronzo e in ferro, anche in questa seconda fase ritroviamo un vasto repertorio di forme: lanceolate, hokoya, triangolari, hirane, a foglia di salice, yanagiba e così via.

Le frecce, in giapponese ya, erano realizzate da un ya–haki, fabbricante di frecce. Erano costituite da un’asta di canna, in giapponese yagara, di lunghezza variabile, con punte, in giapponese yajiri, realizzate con materiali e forme molteplici. Sono classificate secondo l’utilizzo, questo crea un enorme varietà di fogge e grandezze che non permettono una compiuta classificazione; per esempio avevano la punta di legno a forma di pera quelle usate per esercitarsi al tiro al bersaglio, di contro le frecce per la guerra o per la caccia erano realizzate con acciaio dalla tempra fine.

Tutti i tipi di punta di freccia erano innestati in aste di canna di bambù, stagionate e oculatamente scelte in base alla potenza dell’arco, con i nodi fra le diverse sezioni accuratamente lisciati, l’innesto avveniva tramite lunghi codoli appuntiti a sezione quadrata, la freccia misurava dai settantacinque cm al metro di lunghezza totale, nella parte iniziale c’erano tre o quattro piume timoniere, preferibilmente in penne d’aquila, chiamate ya no ha, vicino alla inpennatura era collocato lo hazu, taglio nella canna praticato all’estremità che permetteva la collocazione della corda dell’arco.

Erano fabbricate principalmente nelle province di: O-wari, Ka-ga e Echi-zen. Famosi spadai e abili artisti del metallo, in tutti i tempi, si dedicarono alla forgia di perfette e calibrate punte di freccia, talora arricchite con un fine lavoro di traforo o cesello, realizzando un decoro che impreziosiva la freccia con iscrizioni o motivi araldici, i mom; questi ornamenti erano tipici delle punte di freccia ad uso simbolico, forgiate come dono votivo per i santuari shintoisti o i templi buddisti, non avendo altra valenza che quella augurale potevano presentare dimensioni considerevoli, sino ai 30 cm di lunghezza.

L’evoluzione delle frecce non poté prescindere dalla struttura dell’armatura usata sui campi di battaglia. In un periodo di guerra continua, l’arco era un’arma indispensabile sui campi di battaglia, le punte aguzze, chiamate togari–ya, abilmente modellate in forme sottili e penetranti, erano in grado di trapassare le piastre di metallo delle armature, al modificarsi della forma delle piastre, vengono affiancate da punte forgiate con la forma di una virgola, benché sbilanciate, erano in grado di infilarsi, al momento dell’impatto, fra le lamine costituenti le armature.

Di Luca Piatti

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