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Le Tradizioni Orali Ainu

A differenza dei Nativi Americani, gli Ainu non sono mai stati confinati in riserve vere e proprie, ma hanno continuato ad occupare gli spazi in cui dimoravano un tempo, sebbene con abitazioni e stili di vita completamente differenti.
Al giorno d’oggi, non è quasi più possibile distinguere uno Shisham da un Ainu, data la politica di assimilazione perseguita già dal periodo Meiji. Ad eccezione di alcuni villaggi radicali, la maggior parte degli Ainu non vive più in case tradizionali; ad eccezione degli anziani, ormai quasi nessuno indossa abitualmente gli splendidi abiti di corteccia di cipresso (così come in Giappone quasi nessuno ormai porta abitualmente il kimono). Gli oggetti intarsiati nel legno, da sempre il vanto degli Ainu ed uno dei requisiti per diventare un degno capo-villaggio, non si producono quasi più per mero piacere estetico, ma in quanto souvenir per turisti.
Fortunatamente, sembrerebbe che l’assimilazione non sia riuscita a cancellare le divergenze socio-culturali che esistono tra i due popoli, ma che anzi, in certi casi abbia contribuito a rafforzarle; seppure purtroppo con le forzature del caso.
Gli stessi rituali sacri, ad esempio, così diversi da quelli dei vicini giapponesi, sono stati completamente spogliati dei loro risvolti mistici per diventare una semplice attrazione turistica.
E’ plausibile a questo punto, parlare di una cultura Ainu effettiva ed esistente, e non solo sotto forma di “fenomeno da baraccone”?

Mappa illustrante i territori occupati dagli Ainu tra il 1200 e il 1500 d.C. A seguito di pressioni da parte della Russia, alla fine della Seconda Guerra Mondiale gli Ainu abbandonarono le Curili e Sakhalin, per stabilizzarsi unicamente in Hokkaidō. La parte settentrionale dello Honshū era invece già stata abbandonata durante il XVII secolo.

Ci si lamenta che attualmente, ciò che si definisce come “cultura” Ainu non sia altro che “folklore”, ovvero pratiche standardizzate nel tempo, avvertite come obsolete ed anacronistiche persino dagli stessi Ainu 18. Paradossalmente, non è detto che quelle pratiche siano “tradizionali” in senso lato: più spesso, si tratta di rituali modificati
all’interno di un singolo villaggio, o “kotan”, in un’epoca storica a noi molto vicina, e presentati al pubblico come standard.
Com’è possibile constatare dalla mappa nella pagina precedente, nei secoli scorsi gli Ainu hanno occupato una gran numero di regioni, spaziando dall’estremità meridionale dell’isola di Sakhalin alla punta settentrionale dello Honshū. Da ciò ne consegue che col passare degli anni da una “protolingua” Ainu si siano evoluti diversi dialetti, che hanno ovviamente dato origine a diversi usi e costumi, canti, narrazioni e via dicendo.
Non è quindi possibile parlare di una “cultura” Ainu completamente omogenea, in quanto ogni villaggio possiede una storia differente, e addirittura un diverso pantheon.19 Ciò che possiamo fare è azzardare, basandoci su documentazioni recenti, un paragone tra tradizioni e rituali molto simili tra di loro.
Tuttavia, è proprio questa diversità di forme nella cultura Ainu a dimostrarci che essa ha subito mutamenti nel tempo e che anche attualmente ne subisce, ed una cultura che si trasforma non può essere che una cultura “viva”!
Attualmente, la “cultura” Ainu cui i mass-media fanno riferimento è quella propagata dal villaggio di Nibutani (二風谷), che ha dato i natali allo scrittore Kayano Shigeru.


Note:
17) La traduzione in Italiano è ad opera di Orsi, M. Teresa, secondo la traduzione che ne fa Kayano nel suo “Uepekere Shūtaisei”. Chiri Mashiho, in “Chiri Mashiho Chosakushū” traduce però questo termine come “scambio reciproco di notizie”.
18) Si veda ad esempio l’ esperienza di Kyōko Selden, da lei illustrata nella prefazione della versione inglese del romanzo “Ainu Minzoku” di Honda Katsuichi.
19) Nello stesso iyomante, il rituale sacro più conosciuto del popolo Ainu, la divinità a guardia del villaggio cambia, a seconda di dove il rito venga celebrato, da orso a gufo gigante (tuttavia attualmente il secondo è più raro, a causa della quasi totale estinzione della specie in questi luoghi). Le regole stesse del rito cambiano da villaggio a villaggio.

Testo tratto dalla tesi di laurea di: Valentina Vignola.