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Partecipazione al Sumo

Quando ero al liceo non mi andava di partecipare agli sport di squadra. Non avevo coordinazione visiva-manuale, e non riuscivo a lanciare o a calciare la palla verso la linea giusta. D’altro canto avevo un buon equilibrio, ero forte e veloce, e quando provavo un po’ di lotta ero molto bravo. Ho lottato per tre anni e miglioravo, benché non abbastanza per uscire dai tornei locali della scuola. Il mio allenatore mi ha insegnato una mossa che chiamava la “morsa cinese al mento”, una posizione formidabile da cui non si riesce a fuggire, e che risulta sempre nell’immobilizzazione. Dopo un po’ sono diventato pigro e la utilizzavo sempre per intrappolare i miei concorrenti. La lotta era brutale, ma primordiale, e molto divertente ed appagante.
Nel corso degli anni ho giocherellato con vari altri sport e con le arti marziali, ma non c’era niente di divertente quanto la lotta. Quando sono arrivato in Giappone però, la fortuna mi ha sorriso. Ho visto qualche annuncio in un giornale, e leggendo di un sacrario a pochi passi da casa mia che teneva un evento di sumo per ragazzi, e ho deciso di andare a vederlo. I ragazzi lottavano e si divertivano. Erano tutti della scuola elementare, con tanti ragazzi e poche ragazze.
Ho tifato per le ragazze; purtroppo sono state tutte sconfitte, ma provavo ammirazione per le loro prove. Dopo quell’evento ho avuto una sorpresa: c’era anche un torneo per gli adulti – un gruppo locale di dilettanti di Sumo lottava nel ring, come fosse un torneo, un campionato in cui si ricevevano tre grandi bottiglie di sake ed un trofeo. L’ultima partita è stata intensa – uno studente universitario contro il suo allenatore. Lo studente era piccolo e dal fisico asciutto, mentre l’allenatore era piccolo e muscoloso; tutti e due erano veloci come un fulmine. La giovinezza ha prevalso e lo studente ha portato a casa il sake. Ho scoperto dopo che non gli piaceva nemmeno il sake, e le bottiglie le ha regalate ai suoi amici. Alla fine l’organizzatore ha annunciato che il loro gruppo si sarebbe incontrato per fare allenamento ogni domenica, al ring di Sumo del sacrario, e che tutti potevano partecipare. Ho deciso di iscrivermi. Gli stranieri che vengono in Giappone imparano karate, judo, kendo, e forse ninjutsu (l’arte dei ninja), ma ce ne sono tanti attirati dal Sumo. Non c’era nessuno nel gruppo più grande di me, e ho giurato che l’anno prossimo sarei stato io a portare a casa le tre bottiglie di sake – e non c’era nessun possibilità che le avrei regalate ai miei amici!
Dopo un paio di settimane ho accettato la loro offerta e mi sono iscritto al loro gruppo di Sumo. Non c’erano tante persone che sapevano parlare inglese, e dovevo accontentarmi del mio cattivo giapponese (dipendendo per lo più dal vocabolario e cercando di evitare le frase complete per quanto possibile), vestendomi nel mio mawashi. Una mawashi è un tessuto grosso di cotone che i lottatori si mettono attorno ai lombi – una nuova aggiunta allo sport, per quanto mi riguardava. Il tessuto attorno ai lombi è un aspetto fondamentale del Sumo perché il lottatore può usarlo per aggrapparsi bene, invece di un braccio o una gamba sudata, ed offre anche dei vantaggi per eseguire delle mosse audaci. Viene usato per lanciare l’avversario fuori dal ring.
Mi piacciono le regole del Sumo perché rendono brevi ma anche dolci le gare. Se si cade o se si viene spinto fuori dal ring, si perde. Vorrei che fosse sempre così semplice, gareggiare. Da bambino lottavo ogni tanto con qualche stupido; potevo sempre buttarlo per terra, umiliandolo in questo modo, ma non avevo cuore di prenderlo davvero a colpi. Se i bambini osservassero le regole di sumo, sarebbe possibile risolvere tanti litigi senza fare ricorso alla rissa.
Quello che mi piace di più del gruppo con cui lotto è che non ce n’è uno tra noi troppo grande, perciò è meno intimidante. Ho scoperto di essere bravo al sumo, e che i miei precedenti allenamenti di lotta mi aiutavano. Dopo aver sconfitto dei concorrenti con più esperienza mi sentivo più capace. Ci si sente bene quando si veste solo con la divisa da sumo; è rinvigorante anche nei giorni più freschi. Durante i giorni freddissimi invernali quando la temperatura cala a 5ºC, diventa difficile lottare e si deve muoverei il corpo o stare vicino al fuoco acceso in un barile, per tenersi caldi. In quei giorni si fanno male di più i piedi – la terra è più fredda dell’aria ed è impossibile evitarne il contatto – non funziona così bene camminare in giro per il ring sulle mani!

Mi alleno con questo gruppo da un anno e mezzo. Ho viaggiato per qualche torneo ed ho partecipato ai tornei che ospitavamo noi. Non sono mai riuscito a sconfiggere un concorrente in questa maniera, forse perché non mi erano familiari. I tornei amatoriali di sumo come i nostri si tengono sempre nei sacrari, e spesso sono accompagnati da qualche festival, così c’è anche un’aria di divertimento. Un giorno freddissimo ho partecipato ad un torneo tenutosi ad un vecchio sacrario famoso a Nara, solo per perdere già dalla prima partita, il mio concorrente si allenava in una vera palestra di sumo, prima di ritirarsi; credo che sia stato un semi-professionista. Mi ha spinto fuori dal ring e in una manciata di secondi ho perso la partita. È stato un sorteggio sfortunato. Tanti spettatori sono rimasti stupiti nel vedere uno straniero che partecipava alla lotta. Molti mi incitavano in modo simpatico, ed un uomo mi ha fatto delle foto bellissime e mi ha mandato sia le copie che una foto di cui ha perfino aumentato le dimensioni. Grazie, Signor Nishihama.

Anche in Italia c’e’ la possibilita’ di provare a praticare quest’arte marziale in prima persona: esistono squadre nelle maggiori citta’ italiane che disputano veri e propri campionati a vari livelli: perche’ non provare?