Le origini del teatro dei burattini (人 形 浄 瑠 璃)
Il teatro giapponese dei burattini è conosciuto con il termine ningyō jōruri e ha le sue origini nel XVII secolo, grazie ad un’accurata revisione e ad una squisita unione di arti classiche già affermate e consolidate del Giappone antico.
Il primo vero maestro di quest’arte è Uji Kaganojō, proprietario del teatro Ujiza di Kyōto e maestro di teatro molto legato all’ambiente dell’aristocrazia.
L’arte del teatro dei burattini concepita da Uji Kaganojō combinava infatti due antiche tradizioni giapponesi: da un lato, quella tradizione di monaci ciechi itineranti che declamavano le gesta dei personaggi vissuti nell’epoca Heian, accompagnando le loro narrazioni con il suono di un biwa, uno strumento musicale giapponese somigliante nella forma ad un mandolino ma suonato con un grosso plettro, e pertanto conosciuti con il nome di biwahōshi.
Dall’altro invece la tradizione di teatro classico e aristocratico Nō, con i suoi famosi drammi ritenuti tuttora una forma di intrattenimento di livello molto elevato.
I drammi del teatro dei burattini condivisero dapprima lo stesso insieme di opere alle quali attingeva il teatro Nō e cioè legate alla tradizione culturale e letteraria del Giappone (si pensi ai celebri racconti delle donne di corte Heian, come ad esempio il celeberrimo Genji Monogatari, oppure le altrettanto celebri opere legate alle guerre dei due clan Taira e Minamoto contenute nell’Heike Monogatari).
Uji Kaganojō tuttavia si rese conto da subito che il teatro di burattini necessitava di modifiche radicali rispetto alla già consolidata struttura del teatro di attori Nō, e pertanto dettò delle regole di rappresentazione per inscenare i drammi, le quali vennero sostanzialmente mantenute pressoché invariate anche dal suo più famoso discepolo, Takemoto Gidayū. Il palcoscenico sul quale veniva inscenato il dramma era suddiviso in due sezioni definite: una parte frontale nella quale il recitatore (noto con il nome di Tayū) intonava con la propria voce il testo del dramma, rappresentato attraverso diversi burattini manovrati da uno o più manovratori a seconda delle dimensioni e della complessità degli stessi; una sezione a destra del palco era invece riservata al suonatore dello shamisen, uno strumento musicale introdotto in quel periodo dal continente e che aveva la funzione di accompagnamento al dramma. Questo tipo di struttura venne mantenuta tale anche nei secoli successivi, ammettendo soltanto variazioni dovute alla maggior complessità dei burattini nel corso degli anni, che prevedevano pertanto un numero maggiore di manovratori.
La vera svolta del teatro di burattini giapponesi si ottenne però quando il sopracitato discepolo di Uji Kaganojō, Takemoto Gidayū, separatosi dal proprio maestro con l’intento di costruire ad Ōsaka il proprio teatro strinse un rapporto di amicizia e professionale molto forte con il celebre drammaturgo Chikamatsu Monzaemon, al punto da trasformare questa relazione in un proficuo sodalizio artistico che ricorderà questa coppia di artisti come effettivi fondatori del Ningyō jōruri nel 1684. Chikamatsu Monzaemon doveva la sua fama alle numerose opere di teatro popolare Kabuki che l’avevano consacrato fino a quel momento uno dei maggiori scrittori di opere di teatro del XVII secolo, e il suo primo approccio al teatro di burattini fu un breve sodalizio artistico con il maestro Uji Kaganojō intorno al 1680. Grazie a questa collaborazione conobbe Takemoto Gidayū, allievo intraprendente e dalle idee riformatrici,con il quale inizio una collaborazione presso il teatro costruito da egli stesso ad Ōsaka, il Takemotoza. Qui avvenne la definitiva rottura del forte legame con il Nō che il Ningyō jōruri aveva conservato negli anni, introducendo degli elementi di modernità e contemporaneità all’interno delle trame dei drammi al punto di dare vita ad una nuova arte indipendente, che si collocasse tra la classicità del teatro aristocratico Nō e quello popolare Kabuki. Gli eroi narrati nell’Heike Monogatari vennero di fatto estrapolati dal loro contesto storico di appartenenza, e celebrati nella ricorrenza del cinquecentesimo anniversario delle guerre Genpei più che come figure di una narrazione dal carattere epico come figure cariche di sentimenti, di angosce e di emozioni, manifestate sul palco attraverso dei burattini di legno inanimati resi “vivi” grazie alla narrazione.
Dal 1864 in poi questa arte, ora indipendente dalle sue radici nel teatro aristocratico, conobbe di fatto un forte sviluppo: i drammi vennero inscenati con una suddivisione in cinque atti (detti dan), le opere a loro volta con gli anni vennero distinte con i termini Jidaimono e Sewamono, il primo ad indicare l’insieme dei drammi di teatro ispirati all’epoca classica e il secondo a richiamare l’attenzione sugli avvenimenti della contemporaneità giapponese. Attraverso i successori di Takemoto Gidayū vennero inoltre rappresentati drammi critici verso lo shogunato Tokugawa (sempre evitando opportunamente ogni riferimento diretto ai personaggi in questione) e che tenessero conto delle relazioni con gli stati del continente quali Cina e Corea, in un epoca caratterizzata dall’isolamento e della chiusura dei confini del Giappone e che sarebbe continuata per circa altri due secoli.
APPROFONDIMENTO >>
di Michele Liccardo
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