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Shoei Imamura --1926 - 2006
Un vita intera a ricerca del vero sè del Giappone
Shohei Imamura, morto il 30 Maggio 2006, ha avuto una delle carriere più gloriose del cinema giapponese dopo-guerra, vincendo due volte la Palma d’Oro a Cannes, oltre a diversi altri premi ed onori. Ma ha trascorso molta della carriera ai margini dell’industria, come un elefante africano che separa se stessso dalla mandria e segue la sua strada solitaria, maestosa, completamente distinta.
"Shohei Imamura fa da regista al Sumiko Sakamoto in una scena dal "Narayama Bushiko (La Ballata di Narayama)," mentre girava il film nella Prefetura di Nagano. Sakamoto ha estratto I suoi denti per il film, che ha vinto il Palme d'Or al Cannes Film Festival nel 1983. PHOTOS COURTESY OF IMAMURA PRODUCTION"
Nato a Tokyo nel 1926, Imamura era figlio di un medico e si è laureato all’ Università di Waseda. Mentre da studente sentiva l’ambizione di divenire regista teatrale, dopo aver visto "Yoidore Tenshi” (L’Angelo Ubriaco), di Akira Kurosawa decise di entrare nel mondo del cinema.
Dopo la sua laurea nel 1951, Imamura si unì allo studio Shochiku come vice direttore. Collaborò con Yasujiro Ozu in vari film, incluso il suo capolavoro "Tokyo Monogatari” (Viaggio a Tokyo), ma rimanendo insoddisfatto dello stile di Ozu, altamente determinato, e dal suo soggetto, il ceto medio (la borghesia). Nel 1954 Imamura si trasferì al rinomato studio Nikkatsu, immediatamente dopo l’inizio delle prime produzioni del dopo guerra, e nel 1958 fece il suo debutto da regista con "Nusumareta Yujo".
Come Yuzo Kawashima, suo mentore alla Shochiku e più tardi alla Nikkatsu, il giovane Imamura preferiva temi contemporanei che esplorò con sincerità, umorismo ed energia propulsiva. Aveva pure un interesse duraturo per gli abitanti di posti stagnanti e culturalmente isolati, gente di basso ceto sociale, in particolare donne grossolane, di grande determinazione e che si godono compiaciute i loro appetiti, sessuali e altrimenti, a dispetto della moralità della borghesia.
Ha per la prima volta espresso completamente quello che sarebbe diventato il suo stile caratteristico nel 1961 con "Buta to Gunkan" (maiali e navi da battaglia). Incentrato sulla storia su di un volubile cretino ed una prostituta attraente ed audace, che diventano amanti in battaglia mentre truffano l’esercito americano alla base navale a Yokosuka. Il film è uno sguardo sguaiato, non-censurato alla relazione tra il Giappone e gli U.S.A del dopo guerra, visto dal basso. I maiali del titolo, dei quali si occupa l’eroe, sono un simbolo del comportamento umano simile a quello di un porco, metafora valida sia per giapponesi e americani.
"Ji Yakusho e Misa Shimizu appaiono in scene da Unagi (L’anguilla), per il quale Imamura ha vinto un secondo Palme d'Or nel 1997."
Il film di Imamura che lo ha portato al successo, comunque, è stato "Nippon Konchuki” (Cronache entomologiche del Giappone, letteralmente la Donna Insetto) del 1963 la cui l’eroina, un’operaia di fabbrica divenuta prostituta (Sachiko Hidari), perseguisce in modo implacabile i suoi sogni di ricchezze e potere, usando sesso e inganno senza scrupoli. Girato in un stile quasi documentaristico, il film fu proclamato il miglior film giapponese dell’anno dal sondaggio dei critici della revista Kinema Junpo. La creatura del titolo, ripresa in fuga nella scena iniziale, simbolizza la caratteristica centrale dell’eroina — un tenacia amorale.
Un altro capolavoro di questo periodo fu "Akai Satsui" del 1964, che racconta di una casalinga grossa e annoiata (Sadako Takahashi) che, violentata da un ladro, prova suicidarsi a causa della vergogna, ma che alla fine prende il ladro come amante. Il ladro infine muore, ma la casalinga sopravvive in modo vorace e determinato come il topo che lei mantiene in una gabbia, che continua a girare nella sua ruota.
Dopo aver lanciato la sua compagnia di produzione nel 1965, Imamura girò film che tendevano ad ampliare i confini morali e cinematografici, inclusi gli "Erogotoshitachi yori Jinruigaku Nyumon" (1966), il cui eroe depravato crea una bambola erotica ad immagine di una sua passata amante, e "Ningen Johatsu", un’investigazione su una scomparsa che si conclude con uno scontro in una casa dal tè tra la fidanzata dell’uomo scomparso e la sorella, che si presume avere informazioni utili per l’altra donna. Quando le mura crollano al segnale di Imamura verso la sua troupe, la "casa dal tè" si rivela come un set astutamente ricostruito.
Dopo il tonfo di "Kamigami no Fukai Yokubo” (Il profondo desiderio degli dei) al box office, un film del 1968 che racconta di un ingegnere chi trova un paradiso tropicale – e scatena un inferno primitivo —su di un’isola remota al sud, Imamura si indirizza al documentario. In "Nippon Sengoshi Madam Onboro no Seikatsu" (1970) e "Karayuki-san”(1975) esamina donne di basso ceto sociale vittimizzate da una società dominata da maschi, ma che riescono comunque a trionfare .
Nel 1979 Imamura ritorna a fare film con "Fukushu Suru wa Ware ni Ari" (La vendetta è mia), un esame in primo piano di uno spietato serial killer. Il film può non rispondere in modo soddisfacente alla domanda sul perché l’eroe si trasformi in un assassino sociopatico, tranne che per il suo odio verso il suo umile padre cristiano, ma sprofonda il pubblico nel trambusto di un vuoto morale. A recitare la parte del killer, Ken Ogata è pieno di malizia, lussuria e astuzia – pennellate a un ritratto autoritario di maligno assoluto. "Fukushu Suru wa Ware ni Ari" ha vinto tantissimi premi cinematografici domestici, diventando al tempo stesso un successo al box office. In altre parole, Imamura era tornato, e aveva consumato la sua vendetta.
Nel 1981 esce "Eijanaika" il suo primo saggio nella narrativa storica. Ambientato ai primi giorni dell’approccio giapponese all’Occidente, il film è uno sviluppo urbanistico incontrollato e tumultuoso pieno di movimento e colore. Culmina con una protesta enorme contro il governo dello shogun nella quale orde di dimostranti urlano la frase del titolo (approssimativamente traducibile con "perchè no?") e una fila di donne girano le loro spalle ai soldati che le approcciano, tirano su i loro kimono e pisciando davanti a loro in gruppo in una scena memorabile.
Imamura continua la propria carriera con "Narayama Bushiko” (La Ballata di Narayama) del 1983, film drammatico basato su una leggenda che tratta dei poveri abitanti di un villaggio che abbandonano i loro anziani in una montagna vicina, in modo da avere meno bocche da sfamare. Sumiko Sakamoto è la protagonista, in una famiglia matriarca, che abbraccia questo destino come se facesse parte dell’ordine naturale, togliendo pure i suoi denti per farla corrispondere meglio al profilo dell’inutile strega. La Sakamoto estrasse veramente i suoi denti per entrare nella parte. Il film ha vinto la Palma D’Oro al Festival di Cannes, la prima per Imamura. Quest’opera ha anche annunciato un cambiamento nello stile e soggetto di Imamura. Una volta considerato membro della Nuova Onda giapponese (New Wave), insieme a Nagisa Oshima, Masahiro Shinoda e Yoshishige (più tardi, Kiju) Yoshida (anche se Imamura era già traslocato alla Nikkatsu quando gli altri fecero i loro primi film New Wave alla Shochiku verso la fine del 1950), Imamura è divenuto un vecchio statista, più incline a guardare indietro che avanti, nel contempo mostrando anche un cambiamento di direzione verso un umanismo Ozu-esco.
Entrambe le tendenze sono presenti in "Kuroi Ame" un film del 1989 in bianco e nero, basato su un romanzo di Masuji Ibuse su di una coppia di mezz’età e la loro maritabile nipote, che sopravvivono alla bomba atomica di Hiroshima, solo per vivere con il terrore delle malattie causate dalla radiazione. Imamura fa il ritratto della situazione critica della nipote (Yoshiko Tanaka), giovane, bella e sfuggita da potenziali spasimanti con la scusa di essere "contaminata", una figura pervasa da malinconia e ritegno.
Dopo una battaglia prolungata con problemi economici e di salute, Imamura ritornò con "Unagi“ (L’anguilla), un film del 1997 su un ex-imbroglione che ammazza la moglie che lo tradiva, e sta provando a ricominciare una nuova vita con una donna che ha appena tentato il suicidio. Filmato con scosse di violenza cruda, pennellate di umorismo e interludi di liricità romantica, L’Anguilla è una miscela di umori che ha ispirato una varietà di reazioni, ma è piaciuto abbastanza alla giuria del Festival di Cannes da premiare Imamura con il secondo Palme d'Or.
Dopo il suo ultimo trionfo, escono altri due film, entrambi in una vena dolce e giocosa: "Kanzo Sensei” (Dr. Akagi) del 1998 e "Akai Hashi no Shita no Nurui Mizu” (Acqua tiepida sotto un ponte rosso) del 2001. Il primo è un opera di strana nostalgia che tratta di un dottore eccentrico che, mentre la Seconda Guerra Mondiale va verso la sua conclusione, diagnostica tutti i suoi pazienti con epatite, ed arriva a vedere pure il fungo che si rannuvola sopra Hiroshima come un fegato gigantesco. La sua ultima oepra è una fantasia erotica su un impiegato (Koji Yakusho) chi trasloca da Tokyo in campagna, trova una nuova amante (Misa Shimizu) e comincia una vita nuova. Si ritrova però con un nuovo problema: quando la sua fidanzata ha un orgasmo sgorga secchi di liquido caldo che scorre verso un fiume vicino, e attira banchi di pesci. Sia l’aspetto di metafora che quello di commedia forse sono troppo ovvi, ma il piacere di Imamura in tutti gli aspetti dell’esistenza, cominciando con quello carnale, lo rendono il film adatto alla chiusura della sua carriera.
Imamura ha contribuito anche ad un segmento della raccolta di opere "11'09"01" uscita nel 2002, ma già in quel periodo era incapacitato dal diabete e, più tardi, fu colpito da cancro del fegato metastatico.
Contrariamente alla generazione di registi giapponesi più giovane, Imamura non ha cercato attivamente alcun riconoscimento internazionale. Dubitava infatti che gli stranieri potessero capire i suoi film, visto che lui si occupava di posti e persone esotiche e incomprensibili pure ai suoi simili giapponesi, tuttavia per questo motivo considerava le proprie opere come vere depositarie della cultura giapponese. Non la cultura alta dell’elite dei samurai e dei ricchi negozianti urbani, ma gli antichi modi popolari e le convinzioni dei contadini, che Imamura credeva non essere essenzialmente cambiati in un millenio, nonostante il passare di un secolo di Occidentalizzazione. In altre parole, cercava il cuore del Giappone. Oggigiorno, lo possiamo trovare nei suoi 21 film, tutto per tutti noi.
http://search.japantimes.co.jp/cgi-bin/ff20060608i1.html
Giovedì, 8 giugno, 2006
Di MARK SCHILLING
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