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Sukiyaki Western Django

Critica : * * * (su 5)
Regista : Takashi Miike
Durata: 121 minuti
Lingua : Inglese

Spaghetti Western serviti in Giappone

Verso la fine degli anni '50 e l’inizio degli anni '60, lo studio giapponese Nikkatsu ha avuto un gran successo con i suoi film di "azione senza confini” (“azione mukokuseki”). Il più famoso era la serie in nove parti, "Wataridori" (1959-62), con protagonista Akira Kobayashi, uno sbandato che ha quasi tutti gli accessori di un eroe occidentale, incluso un cavallo, una chitarra e una fidata frusta. Va a cavallo in una città remota o in un ranch, aiuta gli abitanti a combattere i vari malviventi, si fa amare da una fanciulla del luogo (recitata in tutti gli episodi, tranne uno, da Ruriko Asaoka) e, tra i cattivi, si guadagna pure un alleato (sempre recitato da Joe Shishido). Anche se questi film sono ambientati nel Giappone moderno, hanno poco a che fare con la realtà. Shishido mi ha detto che il nome che ha dato a questi film era "miso Western" ed era fiero del fatto che fossero antecedenti ai più famosi Spaghetti Western prodotti in Italia.

sukiyaki western django
Hideaki Ito in
"Sukiyaki Western Django" © 2007
SUKIYAKI WESTERN DJANGO FILM PARTNERS

Quindi il nuovo Western orientale di Takashi Miike, "Sukiyaki Western Django", ha molti precedenti a livello nazionale, sebbene lui sostenga di aver preso l'ispirazione dagli Spaghetti Western (di solito chiamati "macaroni westerns" da queste parti) che guardava da ragazzo con suo padre. Girato quasi interamente in inglese nella prefettura di Yamagata, con un cast che include il fan di Miike, Quentin Tarantino, "Sukiyaki Western Django" non è uno dei film scadenti di Miike, adatti solo per gli scaffali delle videoteche. Al contrario, è un film di intrattenimento dal grande budget destinato al mercato globale che si fa passare per un eccentrico film cult — una strategia di solito usata dallo stesso Tarantino.

Sia Miike che Tarantino, super lodati e super viziati per anni, sono ora nella fase barocca della loro carriera, in cui cercano di ritoccare all'estremo quelli che sono ormai temi familiari con arabeschi sempre più contorti fatti di riferimenti cinematografici e ostentazioni da parte dell’autore. Considero me stesso come un fan di entrambi — ma penso anche che siano tutti e due arrivati ad un’impasse, come due rocker invecchiati che truccano i loro show come fossero veicoli, con i loro riff vecchi di decenni. Questo non vuol dire che i riff di Miike in "Sukiyaki Western Django" siano superati. Lui e lo sceneggiatore Masa Nakamura hanno mescolato i generi Western e Samurai in modo intelligente, avvincente ed oltraggioso. In altre parole, esattamente quello che uno si aspetterebbe da Miike. Ma i gesti eccezionali, che una volta sembravano così spontanei, come quelli di un quattordicenne monello che escogita torture spaventose, sembrano ora spesso goffi e pomposi.
Il più grande errore, comunque, è stato far recitare un cast giapponese in inglese — e nemmeno in un inglese colloquiale e quotidiano, ma sotto forma di dialoghi ricercati, che si srotolano dalle loro bocche monolingue: sembra di sentire qualcuno che recita il discorso di Gettysburg mentre fa i gargarismi. Alcuni attori del cast, come Kaori Momoi e Yusuke Iseya, sono anche abbastanza quotati, ma l’effetto complessivo è sgradevole. Il pubblico locale ne sarà infastidito? Forse. Io lo sarei sicuramente se dovessi restare fino alla fine di un remake hollywoodiano de "La sfida del Samurai", un classico Eastern Western del 1961 di Akira Kurosawa, con Brad Pitt che recita emotivamente in un giapponese storpiato del periodo Edo.

"Sukiyaki Western Django" comincia con un mandriano (Tarantino) che indossa un poncho, che respinge i cattivi con prodezze sorprendenti e sovraumane, e che poi si gode una pasto fatto da — cos'altro se non — sukiyaki (stufato di manzo). Costui ha ovviamente una storia da raccontare (una grande porzione del film, narrata in un esteso flashback), sui sopravvissuti dei clan Genji e Heike, in guerra tra di loro, i quali, secoli dopo la battaglia culminante di Dannoura (1185), stanno vivendo nel nuovo Wild East un'esistenza all'insegna della legge della selezione naturale. Poi avviene la scoperta dell’oro vicino ad una città di Heike e ne risulta una corsa all’oro. Un giorno, una gang di duri Heike vestiti di rosso, con a capo il pomposo Kiyomori (Koichi Sato), marcia con aria tracotante nella città; ma invece di allearsi con i loro fratelli Heike, la gang assume il controllo in modo violento, mentre aggrega a sè il vile sceriffo (Teruyuki Kagawa). Dopo l’omicidio brutale dell'anziano sindaco (Renji Ishibashi), i cittadini fuggono.
Subito dopo, un gangster Genji vestito di bianco appare sulla scena e così inizia una guerra tra bande con gli Heike. Il capo dei Genji è il dandy, ma mortale, Yoshitsune (Yusuke Iseya); tra i suoi seguaci ci sono il buffo Benkei (Takaaki Ishibashi) e Yoichi (Masanobu Ando), armato di balestra. (Uno delle trovate più memorabili del film è la scena di Benkei che fa esplodere un colpo sul sorpreso gangster Heike, provocandogli un buco grande più o meno come un melone, seguito da Yoichi che scocca una freccia facendola passare attraverso lo stesso buco e colpendo un altro avversario).
Poi entra in città a cavallo un solitario uomo armato (Hideaki Ito) e, dopo aver dimostrato il suo valore letale ad entrambe le parti, si rifugia nell'emporio dell'irritabie Ruriko (Momoi). Lei vive lì con suo nipote, cioè il figlio di suo figlio, un membro degli Heike massacrato dai Kiyomori, e della sua sposa Genji, Shizuka (Yoshino Kimura), diventata ora la prostituta della città. Il ragazzo, testimone della morte del padre e della degradazione della madre, è diventato muto. Che miracolo potrà ridargli la parola?
Questo è anche il set usato per "La sfida del Samurai", oltre che per il remake dello spaghetti western "Per un pugno di dollari" di Sergio Leone. Ma dove Leone ha immaginato il mondo di Kurosawa in un deserto messicano, con Clint Eastwood che creava una nuova definizione dell’eroe Western, dallo sguardo inflessibile e l'atteggiamento “non-si-fanno-prigioneri”, Miike è più intento a superare Tarantino stesso nell’escogitare modi macabramente divertenti di trattare la morte e in generale di confondere le idee del pubblico.

Il problema è che la maggior parte delle gag sono già viste, in altri film di Miike, a partire dal più trito e ritrito di tutti — il personaggio grottescamente ferito che non si accorge che è morto finchè la cinepresa allarga la visuale e mostra, per esempio, un'enorme lancetta di orologio che lo ha infilzato come un pezzo di yakitori (spiedino di pollo). Invece di ridere, ho immaginato il sudore degli scenografi mentre faticavano a creare un effetto assurdo, che sembrasse poco meno di una cosa totalmente finta. Direi mal riuscito. Diversamente da Tarantino, Miike ha anche una vena macho-sentimentale, espressa in "Sukiyaki Western Django" dall’uomo armato che altruisticamente combatte per difendere il ragazzo traumatizzato, sua madre che ha subito anche troppi abusi ed altri onesti cittadini. Ma la pagliacciata lirica indebolisce il dramma. Al contrario, i film "Wataridori” sembrano freschi ed ingenui. Kobayashi e Shishido potrebbero scambiarsi pronte frecciatine per mettere in mostra le loro abilità virili (come frustare i tori, far ruotare le pistole...) oppure potrebbero divertirsi nei loro ruoli assurdi, ma con la spirito e l’energia propria dei giovani, e non con gomitate e strizzatine d’occhio autoreferenziali. E per quanto riguarda Clint e il suo inimitabile gesto di masticare il cigarillo, sembra impossibile paragonargli il povero Hideaki Ito con la sua bocca di marmo. Ma, d'altra parte, c'era anche qualcuno che doppiava Clint in italiano, vero?!

http://search.japantimes.co.jp/cgi-bin/ff20070914a1.html

Venerdì, 14 Sept., 2007
Di MARK SCHILLING