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La nascita del rock duro in Giappone
Come già altrove accennato, la scena metallica made in Japan degli 80 non nasce dal nulla, ma va a saldarsi compiutamente con lo spumeggiante movimento originatosi nel decennio precedente, nel corso del quale si era sviluppata una fauna hard rock dal livello decisamente egregio, seppur poco nota ai fruitori dell’emisfero occidentale. Tra i principali agitatori va citato George Murasaki, tastierista leader di un gruppo identificato con il suo cognome, che attraverso due studio album, un pugno di singoli e l’incredibile live “Doing Our Thing” regala un’imitazione pressoché perfetta dei migliori Deep Purple, omaggiati anche da diverse cover. Prima di riformare la band negli anni 80 (con eguale suono ma minore fortuna), George sarà impegnato a fine decennio con gli eccellenti, e sicuramente più personali, Mariner, artefici di due album hard corposo e progressivo. L’anello di congiunzione tra l’hard e il metal è rappresentato dai veterani Bow Wow, dodici album fra il ’76 e l’83, prima di modificare lievemente nome e suono, e dagli sconosciuti Nokemono, autori di un solo, fondamentale lavoro, ‘From The Black World’ nel 1979. Di assoluto rilievo sono anche i Silver Stars, artefici di un ruvido hard con lievi riferimenti punk (per l’irruenza, più che per il songwriting), di cui consigliamo almeno il secondo ‘See’; i geniali Condition Green, dall’immagine ironicamente freak, che nei loro due album citano abilmente Hendrix, Santana e i Led Zeppelin; i talentuosi Cosmos Factory, che prendono il nome da un disco dei Creedence, ma esplorano piuttosto gli affascinanti sentieri dell’hard rock progressivo attraverso quattro LP; i longevi Blues Creation, caratterizzati dalla fiammeggiante chitarra di Kazuo Takeda e dalle vocal ispirate di Carmen Maki (sorta di Inga Rumpf dagli occhi a mandorla), che, ridotto dopo quattro album il nome in Creation, vireranno verso un’eccitante heavy fusion, godendo per un periodo della protezione di Felix Pappalardi dei Mountain e licenziando altri sette full length. Carmen transiterà negli eccellenti Oz, latori di un hard dal taglio progressivo diluito in quattro LP, prima di riciclarsi in chiave metal con i 5-X. Due uscite per i Flied Egg, chitarre torrenziali e cori di stampo Uriah Heep, e per gli Eastern Orbit, dallo stile decisamente meno datato, nati dalle ceneri degli Heavy Metal Army (assolutamente hard rock, nonostante il nome), con i quali avevano in comune il tastierista Yuki Nakajima e il cantante JJ Patterson, quest’ultimo già rivelatosi nei succitati Mariner. Di stampo più psichedelico, ma con diversi punti di contato con l’hard rock lisergico, proposizioni di alto rango come gli Apryl Fool, gli Yonin Bayashi (imprescindibile, tra i loro sette album, almeno il secondo, “Ishoku Sokuhatsu”) e i Gedo, capaci di passare con naturalezza da fasi soffuse di stampo floydiano al violento chitarrismo profuso a piene mani sul quarto lavoro in studio, “Power Cut”. Impossibile tralasciare la Flower Travellin’ Band, il cui “Satori” otterrà un discreto successo underground anche negli USA, per mezzo di un sound a metà strada fra il rurale e l’hard rock tout-court; i Novela, che prima di trasformarsi in un combo progressive a tutti gli effetti licenzieranno due strepitosi esempi (il primo omonimo e ‘In The Night’) di sfavillante hard rock con riferimenti a Rainbow, Angel e Queen. Un paio di membri abbandoneranno per formare gli Action!, portando con loro la componente più heavy, mentre il virtuoso tastierista Toshio Egawa, oltre a edificare i Gerard, sarà per buona parte degli eighties membro esterno degli Earthshaker. Degni di menzione i Duesenberg, i cui ricercatissimi demo verranno pubblicati in vinile solo molti anni più tardi, portando a conoscenza dei più un hard rock scarno ma essenziale, e poi ancora Pyg, Food Brain, Speed Glue And Shinki, Far East Family Band, Mike Curtis & Samurai, East, questi ultimi pubblicati solo in America dalla Capitol. Insomma, non uno sterile, autoreferenziale elenco di nomi, ma la dimostrazione che, già negli anni 70, quella dell’hard rock nipponico era una scena incredibilmente pulsante e vitale, capace di creare un degnissimo humus per l’heavy metal che verrà.
Articolo tratto dalla rivista Classix Metal N. 9 di Ottobre 2010, pubblicato da Coniglio Editore.
A cura di: FRANCESCO “Fuzz” PASCOLETTI
Parole di: GIOVANNI LORIA
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