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Storia del tatuaggio giapponese.

La prima attestazione dell’arte del tatuaggio in Giappone sembra datare 500 AC

"Nel 1977 un ampio tumulo funebre fu scoperto vicino ad Osaka, e dentro vi furono ritrovate due haniwa (immagini di argilla) le cui facce chiaramente indicavano la presenza di tatuaggi. Queste immagini sono state datate come appartenenti, almeno, al quinto secolo prima di Cristo".

Sebbene non si conosca lo scopo di questi tatuaggi, prima di questa scoperta si riteneva che la piu’ antica prova di tatuaggi in Giappone risalesse al terzo secolo, nel testo cinese Wei Chih (Le Cronache di Wei) dove i Wa (i giapponesi) erano cosi’ descritti:

"Gli uomini, giovani e vecchi, tatuano le loro facce e decorano i loro corpi con dei disegni... i Wa, che si tuffano in acque profonde per prendere pesce e conchiglie decorano i loro corpi per tenere lontani pesci di larghe dimensioni e uccelli marini”.

E’ stato ipotizzato da McCallum e Stephen Mansfield che questi tatuaggi avessero una natura piu’ decorativa che di protezione. Le Cronahce Cinesi San Kuo Chi (Racconto dei Tre Regni) scritto nel terzo secolo narra di certi abitanti del Regno di Wa (il Giappone) tatuati per indicare il loro rango sociale. Sembra che altri usassero tatuarsi per scacciare gli spiriti malefici.
Account of the Three Kingdoms) compiled in the third century tells of a certain inhabitants of the Piu’ tardi quest’usanza sembra diventare meno comune, e i successivi riferimenti a tatuaggi appaiono nel Nihonshoki, scritto nel 720, che racconta di un giovane di nome Azumi no Muraji che fu tatuato sul viso come punizione per un tradimento.

L’Imperatore fece chiamare a se’ Hamako Muraji di Azumi e gli ordino’: hai complottato una ribellione e la tua offesa merita la morte. Tuttavia io esercitero’ grande bonta’ condonandoti la pena di morte ma condannandoti ad essere tatuato.

Sia cinesi che giapponesi in quei tempi disapprovavano i tatuaggi, e qualsiasi puntura sulla pelle in quanto non rispettava l’ideale confuciano di pieta’ filiale. Non si deve forare il corpo che ti e’ stato dato dai tuoi genitori, di conseguenza tatuare qualcuno li separava dalla comunita’. In una nazione come il Giappone, dove il gruppo ha una grandissima importanza, l’esclusione dalla societa’ era la forma peggiore di punizione. Sia Mansfield e Richie che Buruma fanno riferimento ad un complesso vocabolario di tatuaggi criminali emerso verso il 17° secolo. A Chikuzen, nel Kyûshu del Nord, i criminali che fossero trovati colpevoli per la terza volta venivano tatuati in fronte con l’ideogramma inu (cane). A Satsuma nel Kyûshu meridionale veniva tatuato un cerchio vicino alla spalla sinistra, a Kyoto una doppia barra sulla parte superiore del braccio e a Nara una doppia linea veniva disegnata attorno al bicipite del braccio destro.
Questo tipo di tatuaggio identificativo non era riservato solo ai criminali ma anche alle classi inferiori. Gli Hinin (un gruppo di reietti, letteralmente le non persone), coloro che lavoravano con criminali, i boia e i becchini venivano tatuati. Piu’ tardi i burakumin (gente del villaggio, a volte chiamati anche eta) che lavoravano come macellai o in altre professioni poco popolari venivano tatuati solo sulle braccia e non a scopo punitivo, ma probabilmente per renderli rintracciabili e identificabili dalla societa’. Insomma sembra che il tatuaggio in Giappone sia stato per lungo tempo associato a criminali e classi inferiori.
Eccazione a questa regola erano i tatuaggi di chi apparteneva agli Ainu, la popolazione indigenza del Giappone.
Le donne Ainu erano tatuate al momento del matrimonio con un “baffo” ricurvo all’insu’ e altri vari disegni astratti-geometrici su braccia e gambe, il che implicava che braccia e gambe dovevano da quel momento lavorare per il marito, e le labbra parlare per lui. I tatuaggi anchipiri (bocca della pietra nera) erano considerati belli, ed in breve le donne Ainu cominciarono a credere che non c’era salvezza dopo la morte per chi non avesse le labbra tatuate. Mi sembra probabile, osservando disegni e motivi dei tatuaggi degli Ainu, che essi siano la continuazione degli orginali disegni ritrovati nelle argille Haniwa. Tali tatuaggi a volte sono presenti anche in comunita’ Ainu dei nostri giorni. Mentre l’irezumi giapponese ha poi preso una strada diversa, i tatuaggi decorativi e protettivi sparirono e per un certo periodo le sole decorazioni al corpo furono i geishin (tatuaggi criminali).
In un codice del 1716, i tatuaggi non erano piu’ correlati alla pena di morte, ma piuttosto con infrazioni minori come “l’adulazione senza motivo”; sempre intorno a questo periodo e’ provata l’abitudine della gente di coprire i segni di criminale con bei tatuaggi decorativi.
E comune ritenere che il ritorno di popolarita’ del tatuaggio decorativo in Giappone sia la conseguenza di questi criminali e intoccabili che cercavano di coprire barre e cerchi, e qualcuno ha anche ipotizzato che il piu’ tardo costume di lasciare la parte interna del braccio vuota sia perche’ questa era l’area dove tali disegni venivano incisi. Chi era tatuato poteva cosi’ provare di non nascondere alcun segno identificativo.
Richie e Buruma dichiarano che “nel momento in cui apparvero i tatuaggi decorativi, nel tardo diciasettesimo secolo, era gia’ quasi scomparso il loro uso per segnare criminali e intoccabili”. Sebbene i geishin non fossero stati aboliti fino al 1870, Richie e Buruma sono contrari a questa teoria, e si dichiarano sicuri che il tatuaggio a scopo estetico era gia’ molto conosciuto prima della fine del diciassettesimo secolo. Tali tatuaggi non erano ancora pittorici, e l’uso di tatuaggi decorativi presso le prostitute e’ commentato in "Kosoku Ichidai Otoko" (1682, Vita di un uomo amoroso) di Ihara Saikaku: secondo questo testo le prostitute avevano l’abitudine di tatuare il nome del loro cliente preferito nella parte interna del braccio e gli amanti scrivevano promesse di amore eterno.

Uno dei piu’ comuni consisteva nel nome dell’amato seguito dall’ideogramma di inochi (vita)... a volte il tratto finale era allungato, a simbolizzare la lunga durata e la forza della promessa.

Saikaku Yorozu no Fumi Hogu (1678, Il grande specchio e l’arte dell’amore) sembra menzionare una donna tatuata sul gomito sinistro con un punto per ogni anno di vita dell’amato. Questo tipo di tatuaggio sembra essere stato in voga nei quartieri a luce rossa, mantenendo cosi’ il legame tra tatuaggio e ambienti marginali, fuori dalla societa’. Richie e Buruma citano anche le promesse di tipo religioso che erano chiaramente popolari in quei tempi. Preghiere e frasi di devozione religiosa incise sulla pelle erano abbastanza comuni da essere spesso oggetto di commento. Un esempio apparentemente ben noto era un certo Iyaemon che portava sulla schiena un tatuaggio con l’invocazione buddista "Namu Amida Butsu". Questo tipo di promesse d’amore o religiose, chiamate irebokuro (un punto di bellezza inserito) possono essere viste ancora oggi e certamente esistevano nel periodo Edo (1600-1868). Sembra pero’ inesatto negare l’idea che i tatuaggi decorativi fossero usati come tentativo di nascondere un geishin ed e’ ragionevole considerare sia irebokuro che geishin come predecessori dell’improvviso emergere di tatuaggi pittorici a scopo decorativo. Tuttavia gli irebokuro furono presto dichiarati illegali dal governo: durante il periodo Tokugawa furono piu’ volte proibiti senza che pero’ tali leggi avessero un qualche effetto. Nello stesso modo in cui in precedenza quando il governo Tokugawa aveva proibito l’uso di abiti graziosi e molto colorati la popolazione aveva risposto indossando kimono con la parte interna in seta di vivaci colori, quando il governo proibi’ gli irezumi la parte piu’ ribelle della societa’ rispose coprendone il corpo. Queste proibizioni sono cio’ che ispiro’ la forma di un irezumi; l’inchiostro generalmente terminava sul gomito e a meta’ coscia, lasciando un altro considerevole spazio vuoto sul petto cosicche’ il tatuaggio non fosse visibile quando si indossavano kimono o happi. Dato che comunque gli irezumi usati per coprire geishin e irebokuro erano strettamente in relazione con la comunita’ fuorilegge e le classi inferiori, le proibizioni erano spesso inutili e quest’arte rifioriva nei periodi piu’ liberi.
La maggiore espansione degli irezumi fu negli anni 1751-1800, periodo in cui il libro cinese Shui-Hu-Chuan (in giapponese Suikoden, in italiano Il margine dell’acqua) era molto popolare nella capitale Edo. In esso vi erano i racconti avventurosi di un fuorilegge di nome Sung-Chiang e dei suoi 108 seguaci. Sebbene questi eroi si ribellassero contro la burocrazia corrotta, esibivano “la loro umanita’, la loro civilta’ e il loro senso del dovere” ed e’ chiaro perche’ questi personaggi affascinassero quei membri itineranti della societa’ che probabilmente erano anche tatuati. Molti di questi eroi stessi erano tatuati, la schiena di Shishin era coperta da nove dragoni, Rochishin era decorato con fiori e Busho esibiva il tatuaggio di una tigre. Nel 1820 Bakin creo’ l’edizione "Shimpen Suikogaden" illustrata da Hokusai e nel 1827 fu pubblicata un’edizione illustrata da Kuniyoshi. Queste stampe, in aggiunta alle stampe da blocchi di legno degli ukiyo-e (disegni da mondo fluttuante) e alle scene tratte dal teatro kabuki affascinavano gangster, mercanti e commercianti e formarono la base della maggior parte dei tatuaggi. Ancora oggi la maggior parte degli irezumi a corpo intero sono scelti da stampe dei libri del periodo Suikoden o Edo; questa forma d’arte sopravvive affiancata da piu’ recenti libri di riferimento come “I 101 demoni di Horiyoshi", presenti in tutti gli studi di tatuaggio del Giappone sia che si tratti di tatu che di irezumi.
Sia le tecniche che gli stili grafici degli irezumi sono rimasti sostanzialmente immutati sin dagli inizi del diciannovesimo secolo e dove rimangono pelli conservate con irezumi (come nel Museo del Tatuaggio di Yokohama o alla Scuola di Medicina di Tokyo), essi sono difficili da distinguere da irezumi moderni.
Nel 1868 il governo proibi’ ancora una volta gli irezumi perche’ pensava che i visitatori stranieri li avrebbero giudicati male e molti dei libri di disegni di horishi furono bruciati.
In contrasto con l’opinione dei legislatori gli stranieri apprezzavano l’uso, e spesso assumevano come porta-baldacchino gente tatuata.
A quel tempo molti furono gli stranieri stessi che richiedevano di venire tatuagi in Giappone. Uno degli esempi piu’ noti fu Re Giorgio d’Inghilterra che si fece taatuare un dragone sull’avambraccio quando era ancora principe e Re Nicola di Russia. In Giappone i tatuaggi rimasero illegali per tutti tranne che per gli stranieri fino al 1945, ma questa forma d’arte continuo’ segretamente ad esistere con i tatuatori che cammuffavano i loro studi da copisterie, case editrici e simili. La professione rimase in gran parte sotterranea fin dopo la seconda guerra mondiale anche perche’ i clienti degli horishi erano normalmente loschi individui delle classi piu’ basse o di gruppi quali pompieri o operai edili.
Dal 1945 il mondo degli irezumi e’ strettamente correlato alla yakuza anche se non e’ assolutamente vero che tutti i clienti degli horishi sono mafiosi.
Fino agli anni 60, quando l’artista tatuatore americano Sailor Jerry (Norman Keith Collins) viaggio’ in estremo oriente come marinaio e mercante, l’occidente non conobbe pienamente l’arte giapponese del tatuaggio. Sailor Jerry fu il primo tatuatore ad includere disegni di dragoni e altri design orientali sulla propria pelle, e fu anche il primo a far conoscere i tatuaggi occidentali in Giappone quando inizio’ a fare affari con Horihide (Kazuo Ôguri), scambiando aghi e macchinette statunitensi con disegni e consigli. Presento’ il mondo del tatuaggio giapponese a Don Ed Hardy, e lui e Horiyoshi III furono i responsabili della popolarita’ del tatuaggio occidentale in Giappone e dell’introduzione di draghi, sakura, ideogrammi e demoni giapponesi nel mondo occidentale.
E’ da verificare se questo incontro di idee sia stato un beneficio o un danno al mondo del tatuaggio giapponese, e ne discuteremo piu’ avanti.