SAMURAI FICTION
Samurai Fiction è esattamente ciò che il titolo vuole suggerire: un film molto leggero, un pezzo elegante di cinematografia che cerca di imitare Pulp Fiction oltre che cercare di somigliare ad una commedia. Non che la cosa non faccia sorridere, ma si colloca a metà tra un tipo di umorismo giovanile e un tipo di umorismo più adulto, sfiorandoli entrambi. Combattimenti con la spada, duelli di arti marziali, incantesimi e uno dei “cattivi” più spaventosi che il cinema abbia visto dopo Darth Maul (con l’unica differenza che però chi lo interpreta non ha una maschera ma mostra la sua vera faccia…)
SHARK SKIN BOY, PEACH HIP GIRL
Una pellicola fichissima che mostra la fuga di un ladruncolo (Il ragazzo dalla pelle di squalo) da degli assassini della Yakuza da lui derubati, eliminandoli ad uno ad uno in un luogo molto frequentato nella foresta.
Nella vicenda sono coinvolti una ragazza che salva la vita a “Shark Skin Boy” (ed è lei “Peach Hip Girl”), il proprietario di un albergo molto invidioso e desideroso della ragazza, che assolda un killer per far fuori il ragazzo, un consulente di moda/falsario di passaporti e la gelida moglie di un membro della Yakuza che non si toglie mai gli occhiali. Nel film abbondano gli atteggiamenti decisamente appariscenti dei personaggi, c’è una ritmicità abbastanza incisiva ma languida che denota un certo stile, c’è la giustapposizione di flashback di luoghi contorti e non c’è nessuno più fantastico di Asano Tadanobu nei panni dello “Shark Skin Boy”. Grandioso!
SHIKO FUNJATTA o SUMO DO, SUMO DON'T
I film dedicati al sumo sono una cosa decisamente rara, persino in Giappone, in cui nel cinema si dedica spazio non altrettanto raramente al ping pong, alla pallavolo, alla maratona, al judo e al kendo. Questo in particolare è una commedia toccante (ad opera del regista di Shall We Dance) che parla di un gruppo di studenti universitari i quali, per un motivo o per un altro, entrano nella zona del college dedicata al sumo, nella quale le cose non funzionano proprio come dovrebbero. Il film contiene molti più elementi fisici rispetto al pressoché moribondo Shall We Dance, è ricco di elementi caratterizzanti di una pellicola dedicata allo sport (una storia d’amore che sta sbocciando, i molti elementi a sorpresa, una continua scalata fino alla finale sportiva e il finale nel quale ognuno prende la propria strada), ed è qualcosa di molto innovativo in un film sul sumo in cui i personaggi, di solito, devono avere un forte senso dell’umorismo anche durante le scene preparatorie prima della salita sul ring. Soprattutto quando la persona più grassa della squadra è la manager donna.
SLEEPLESS TOWN
Girato a Tokyo e diretto dal regista di Hong Kong Chi-Ngai-Lee, un film che ha come protagonista il Taiwanese-Okinawano Kaneshiro Takeshi e Mira Yamamoto, con delle parti minori interpretate da Seijun Suzuki (un famoso regista giapponese) e Shihung Lung (il padre taiwanese di “The Wedding Banquet” e altri film di Ang Lee). Sviluppato sull’interpretazione di un romanzo di Hase Seishu (autore affascinato dalla cultura cinese al punto di usare questo pseudonimo ricavato da un interprete di Hong kong di film di serie B) , mostra il giovane protagonista nei panni di una sorta di Antonio Banderas in un ruolo che sarebbe calzato meglio ad un Humphrey Bogart. In un film quasi completamente popolato da attori cinesi o personaggi cinesi sarebbe facile credere che possa essere un altro drama alla John Woo, nel quale l’eroe ha una mira infallibile, dove c’è la contrapposizione amore-tradimento e dove gli spettatori possono indovinare già da subito lo sviluppo della trama del film. In sostanza il film è ambientato nel Kabuki-cho di Tokyo come se fosse la “casa dolce casa” del protagonista, attraverso una serie di tradimenti tra le mafie di Shangai, Pechino e Taipei e a causa dei quali il protagonista dovrà trovare la via d’uscita dal labirinto di problemi nel quale finisce coinvolto, per salvare non solo la propria vita ma anche quella di tutti coloro i quali gli stanno vicini.
Sukiyaki Western Django
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SWALLOWTAIL BUTTERFLY
Immaginate un film di grande spessore nel vostro paese, che usa interpreti di grande fama ma dove la metà dei dialoghi sono in una lingua straniera (in questo caso specifico cinese e inglese). Ecco, un film così è Swallowtail Butterfly, opera del regista Iwai Shunji, con protagonisti Chara e Watabe Atsuro (dal drama di successo Stalker) e Hiroshi Mikami. (Se guardate attentamente vedrete che l’attore che interpretava Suzuki-san negli spot della Nova è uno degli impiegati). Il film è ambientato in una sorta di interzona futuristica del Giappone alla Burroughs o alla Murakami Ryu, nel quale la caduta a picco dello Yen ha di fatto intrappolato gli stranieri in una sorta di Yentown cavernosa nella quale passano il tempo, si cacciano in diversi problemi oppure partoriscono idee geniali. Ci sono droga, violenza, erotismo, soldi contraffatti e pugilato americano. Dal punto di vista dello stile a questo film non manca nulla, e nonostante la sua scoraggiante lunghezza di 145 minuti tutto risulta ben proporzionato. La trama non è così importante, dato che è ispirata da spezzoni di Naked Lunch , the Commitments , La Femme Nikita eccetera, ma ciò che è importante è la quantità di personaggi non convenzionali e stranamente adorabili che popola il paesaggio brullo. Uno dei personaggi più interessanti è sicuramente il gestore americano dell’immaginaria Yentown Band (capeggiata da Chara, la quale dice molte delle sue battute in cinese), il quale è nato e cresciuto in Giappone ma sa parlare solo giapponese a causa della “pessima educazione della lingua inglese nelle scuole in Giappone”. Sarebbe potuto essere Sick Boy di Trainspotting. I protagonisti del film sono comunque cinesi, e sono comunque eccezionali. Forse questo è il Giappone che noi stranieri, partendo dai nostri paesi di origine, ci siamo immaginati e che siamo contenti di non aver trovato, fortunatamente. E se non avete il tempo di guardarlo tutto, almeno dedicate un po’ di tempo all’ascolto della sua colonna sonora: è fantastica!
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