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ANIME VAGANTI
Storie e filosofia di vita degli orfanelli più famosi dell’animazione nipponica.
Occhi che guardano i ricordi ma che, pieni di speranza, ricercano continuamente il modo più luminoso per animarsi di una nuova felicità. Sono gli occhi traballanti di lacrime dei tanti orfanelli che popolano gli anime, soprattutto quelli più datati (fine anni ’70 ed ’80), molti dei quali sono tratti da opere occidentali (come per esempio “Rittai anime il naki ko”, conosciuto in Italia come “Dolce Remì”, tratto dal romanzo “Sans famille” di Hector Malot) ed altri sono di ideazione tutta nipponica anche se si svolgono in un contesto puramente occidentale (Candy-Candy, Georgie…).
Avvolti dalla pesante coperta della solitudine che li abbatte solo a tratti, questi personaggi, tutti più o meno bambini, si scoprono continuamente mettendosi in gioco in vicende più grandi di loro stessi e nel corso delle puntate spesso tragiche, li vediamo crescere sì da un punto di vista fisico, ma anche mentale, sfiorando o toccando varie fasi e stati emozionali dei percorsi della vita.
Il tortuoso viaggio che intraprendono non è inteso solo come spostamento da un luogo all’altro, bensì è un vero e proprio viaggio introspettivo, di iniziazione e di conseguente crescita interiore.
Le guanciotte rosa della piccola Heidi si fanno spazio tra scenari svizzeri e tedeschi.
Heidi è un famoso romanzo di Johanna Spyri , ma con l’animazione nipponica, tocca le cime più elevate di colori infantili mescolati a sentimenti da adulti. Una bambina che corre felice sulle colline insieme all’amico Peter e le caprette e che si sente un pesce fuor d’acqua in città, una volta trasferitasi a Francoforte per esser educata al pari dei suoi coetanei. Anche qui, però, nonostante si senta imprigionata negli asettici spazi della vita cittadina e malinconica del nonno e delle sue care colline, riuscirà con la sua forza allegra e prorompente ad aggirare le angherie della governante Rottenmeier e a regalare aperti sorrisi alla povera Clara, dodicenne costretta da una malattia sulla sedia a rotelle.
Sarà proprio quest’ultima a rendersi conto dell’infelicità della piccola Heidi e a decidere di rimandarla, per il suo bene, nella casa di montagna del nonno. Le tanto sospirate colline danno di nuovo vita ad Heidi ed una nuova vita a Clara, che, andata a trovare la piccola amica, troverà in quella natura sconfinata la volontà, l’energia e la forza necessaria per camminare da sola.
Remì non smette di suonare l’arpa e di sorridere alla vita anche quando essa lo strappa ai genitori adottivi perché troppo poveri per sfamare una bocca in più o gli allontana per sempre l’amore dei suoi fedeli amici animali (due dei tre cani vengono sbranati dai lupi e la scimmietta muore di polmonite).
Negli episodi sussegue un elenco infinito di tragedie, ma, almeno si può godere del lieto fine: Remì ritrova la vera madre di cui ignorava l’esistenza. Il suo viaggio sembrerebbe conclusosi, ma, il piccolo protagonista, decide ancora una volta di non fermarsi e di raggiungere in tutto e per tutto la propria indipendenza, fino a quando, dieci anni dopo, non lo ritroveremo avvocato e sposato con la dolce Elisa.
Il messaggio che si vuole lanciare allo spettatore è chiaro e sempre lo stesso: mai mollare di fronte alle avversità della vita e lottare con tutte le forze per raggiungere un qualsiasi obiettivo.
Quando tutto sembra perduto, una fresca folata di vento, spalancherà la finestra ad un nuovo mondo.
Guardare la vita in modo sempre positivo quindi.
Concetto racchiuso anche nel “gioco della felicità”, tramandato dal padre alla piccola Pollyanna come insegnamento per sorridere ai tanti problemi dell’ esistenza. Pollyanna è una bambina di otto anni che, rimasta orfana, va a vivere con l’austera zia. La sua innata dolcezza, la grazia, la tenacia, la gioia sprigionata da ogni gesto, farà sì che la zia ammorbidisca la sua indole. Perfino nella vicenda più drammatica, Pollyanna farà fede a tutta la sua forza interiore che le permetterà di camminare di nuovo dopo esser rimasta paralizzata in un incidente.
Personaggi che si aggrappano all’immaginazione, che danno ampio respiro alle piccole e grandi cose della vita, che creano intorno a se stessi un alone di invidia nonostante il loro status e precario equilibrio…
Margherita: “perché sei così cattiva con lei?”
Lavinia: “perché nonostante quello che ha passato e che passa ogni giorno è serena ed io al suo posto sarei disperata, capisci? E’ ancora lei la più forte.”
Sara ( “Lovely Sara”, tratto dal romanzo “La piccola principessa” di Frances Hodgson Burnett), dieci anni, appartenente ad una ricca famiglia, mandata a studiare in collegio, vince quotidianamente sui momenti avversi e su Lavinia anche una volta rimasta orfana e, povera, costretta a lavorare come sguattera nell’istituto.
Protagonisti accecanti di energia vitale che trovano riscontro positivo nell’epilogo finale, alcuni addirittura ritroveranno, lungo il loro cammino, uno dei genitori; che non si fermano all’ostacolo dell’aspetto fisico (Anna, da “Anna dai capelli rossi”, odia le sue lentiggini ed i capelli di un rosso troppo acceso); che attingono energia dai preziosi oggetti spesso lasciati proprio dai genitori, come la bambola-amica Priscilla di Sara o lo scintillante bracciale di Georgie, o da gesti ripetuti, come nel caso di Judy Abot che, con periodioca costanza, indirizzerà le sue lettere al suo caro benefattore, di cui ha un’unica immagine: una lunga ombra dalle gambe sottili, per questo nominato dalla protagonista stessa “Papà Gambalunga”.
Episodi lacrimevoli, vicende struggenti, storie infinite.
La serie di Candy Candy, la bionda orfanella americana, conta ben 115 episodi.
Nell’episodio di partenza l’orfanotrofio religioso Casa di Pony accoglie Candy ancora in fasce, in quello finale si colora della sua essenza ormai di donna e del suo sorriso, rimasto intatto nonostante i più disparati drammi a cui è stato sottoposto.
Al volto spesso triste di Candy, la memoria di chi, come me è cresciuto con questo stereotipo di cartoni animati, non può non affiancare quello candido di Georgie; la vediamo lì, a terra, sotto la pioggia battente, tra lacrime che si mescolano alle gocce del cielo nel momento in cui viene a scoprire di esser stata adottata.
Vicende molto simili tra di loro, scenari spesso contrastanti, le verdi femminili colline di Candy o Georgie, si contrappongono alla natura arida del west in cui si muove un altro orfanello.
“Sam, il ragazzo del west”, ha il fuoco negli occhi, lo stesso fuoco che esplode dalle sue sempre più infallibili pistole, uno sguardo reso sapientemente più virile, intenso e forte dalle folte sopracciglia scure.
Ancora maggior virilità e forza vibra nel corpo tonico e pieno di muscoli di Naoto Date, più conosciuto come L’uomo Tigre.
Naoto è un orfano che, da bambino, scappato da una visita allo zoo con l’orfanotrofio, deciderà di divenire forte come una tigre per combattere le ingiustizie.
Entrerà a far parte della “Tana delle tigri”, un’organizzazione criminale che lo allenerà spietatamente e disumanamente come wrestler e che pretenderà la metà del compenso da ogni combattimento.
Il ring si tramuta in metafora del suo mondo, ma la forza che gli scorre non solo attraverso i muscoli, quella interiore ancor più dominante, lo porterà a ribellarsi alla Tana per aiutare tutti gli orfani con il denaro da destinare ai suoi ex-capi, divenendo così un lottatore onesto sul ring e nella vita.
Grandi e piccoli combattenti dunque, risucchiati dai continui vortici quotidiani, in cui anche un insetto come l’Ape Magà può divenire una specie di eroe ed un aiuto, per l’attento spettatore che osserva oltre la grafica degli stupendi disegni, a non arrendersi mai e poi mai…
Alessia Tino
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