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Breve storia del manga e dell’anime
Andai a visitare gli studi della Tei
e della Tokyo Movie Shinsha. […] Mi accorsi
che tutto era fatto a mano, tutto, da giapponesi
che il più delle volte arrivavano a lavoro in bicicletta.(1)
Raffaelli Luca
La parola giapponese manga 漫画è stata coniata dal pittore Hokusai
Katsushika(2), nel 1815 circa, come titolo per una raccolta di disegni satirici, "Hokusai Manga", combinando due
kanji: 漫(man) = strano, buffo e 画(ga)
= immagine, disegno. Il significato
letterale è “immagini divertenti” o
“immagini in movimento”. È stato il
mangaka Kitazawa Rakuten(3), agli inizi del Novecento, ad applicarla alle
produzioni a fumetti. Prima di lui, infatti, i fumetti umoristici erano
alternativamente indicati con i termini giga(4), odoke-e(5), ponchi-e(6).
Il fumetto giapponese ha radici molto antiche. Trova le sue origini nel
periodo Heian (749 – 1185) con i primi rotoli dipinti: gli emakimono(7).
Questi associano le immagini a testi calligrafati, raccontando una storia che
viene scoperta dispiegando il rotolo. È
importante notare che, nella maggior parte degli antichi emakimono, il testo di accompagnamento è molto
breve, quasi solo una didascalia, la preminenza è, quindi, data
all’immagine che può, da sola, raccontare la storia. Questa caratteristica si
conserva perfettamente nei moderni manga.
La forma attuale del fumetto nipponico si è definita, invece, all’inizio del
XX secolo sotto l’influenza delle strips d’importazione, soprattutto
americane. Stabilire una data precisa non è facile; i più indicano il 1862
come data di nascita ufficiale del fumetto made in Japan, quando, a
Yokohama, nasce The Japan Punch, rivista satirica fondata dall’inglese
Charles Wirgman(8). Si tratta di una pubblicazione in stile
europeo, che farà nascere i primi disegnatori nipponici.
Del 1914 è, invece, la prima rivista dedicata interamente
ai fumetti, prodotta dalla Kdansha col titolo Shnen
Club che, fin dal 1931, ospita il primo fumetto interamente giapponese: Norakuro(9). È la storia di un cane randagio arruolato nell’esercito imperiale, creato da Tagawa Suih(10), che negli anni della Seconda Guerra Mondiale sarà impiegato come utile mezzo propagandistico.
Nel dopoguerra, a differenza dei fumetti occidentali, che hanno subìto un periodo di crisi, il manga consolida il proprio stile, soprattutto attraverso le opere di Tezuka Osamu(11), che si guadagnerà ben presto il titolo di Manga no kamisama(12). Il 1947 è l’anno in cui vide la pubblicazione il suo Shin
Takarajima(13), la prima opera da professionista. Nelle sue narrazioni introduce un forte dinamismo e un montaggio di stampo cinematografico, totalmente innovativo rispetto agli esempi statici e teatrali fino allora conosciuti. I codici grafico narrativi del manga e dell’anime sono giunti a maturazione proprio grazie al suo lavoro, cosicché da prodotti per
l’infanzia, hanno potuto ottenere legittimazione come espressione creativa e culturale vera e propria.
Oggigiorno il manga ha una diffusione capillare in tutto l’arcipelago nipponico. Infatti, la sua produzione rappresenta più di un terzo delle pubblicazioni nazionali e più di un quarto delle entrate dell’intera editoria giapponese. Col tempo è diventato un vero e proprio oggetto cult, interessando tutte le classi sociali e tutte le generazioni, anche grazie a prezzi assolutamente accessibili e alla diversificazione dei soggetti. In effetti, il manga, non è solo uno specchio della società ma anche un modello di vita che tratta un ampio ventaglio d’argomenti: la vita scolastica di bambini e adolescenti, la quotidianità degli operai, lo sport, l’amore, la guerra, la letteratura, la storia, la cucina e molti altri ancora.Generalmente, i manga vengono differenziati in base al pubblico a cui sono destinati. Si hanno, infatti:
1. Kodomo manga: creati per bambini più o meno dai 6 agli 11 anni.
Utilizzano una grafica semplice e un’impaginazione regolare, fanno abbondante ricorso ad animali antropomorfi come protagonisti e comprimari.
2. Shnen manga: per adolescenti. Sono caratterizzati da una fisicità esagerata dei personaggi (gli uomini hanno muscolature
sproporzionate e le donne sono procacemente delineate) e dalla
prevalenza dell’azione sulla staticità. Sono il genere più venduto nel mondo.
3. Shjo manga: dedicati alle ragazze adolescenti. In essi è
esageratamente amplificata l’introspezione, con prevalenza di primi piani e scene a pieno campo in cui i protagonisti sono immersi nei loro pensieri. Conseguenza di ciò è che la fisicità è quasi eliminata, infatti, i corpi sono esili e affusolati, quasi immateriali.
4. Seinen manga: rivolti agli uomini in età adulta. Oggetti e ambienti vengono rappresentati in maniera realistica e i dettagli sono riportati con estrema minuzia. L’impostazione della tavola è rigorosa e ordinata. È il genere graficamente più sobrio.
5. R7disu o josei manga: indirizzati alle donne over 20. Graficamente più vivaci dei seinen manga e tematicamente più maturi. Fra i manga per adulti possiamo ancora individuare gli Shôjo-ai (romanzi sentimentali fra donne), gli Shôjo-yuri (romanzi sessuali fra donne), gli Shônen-ai (romanzi sentimentali fra uomini), gli Shônen-yaoi (romanzi sessuali fra uomini), gli Ecchi (manga erotici) e gli Hentai (manga
pornografici). Il termine giapponese anim7shon アニメーション, di cui anime アニメè abbreviazione, è un neologismo prodotto fra il 1977 e il 1983(14) derivato dall’inglese animation. Con questa parola i giapponesi indicano tutti i prodotti in animazione: serie televisive, lungometraggi, e OAV(15). I nomi originali del cinema d’animazione giapponese erano manga eiga(16) e
terebi manga(17). Nei primi anni del XX secolo, le creazioni cinematografiche della neonata industria europea e americana sbarcarono nelle maggiori città nipponiche, generando stupore sia negli ambienti popolari che artistici e andando ad aggiungersi ai nuovi prodotti della nascente produzione animata giapponese. I primi esperimenti d’animazione del Sol Levante risalgono al 1917, anno in cui viene proiettato il primo filmato interamente realizzato in Giappone, Imokawa Mukuzo genkanban no maki(18) di Shimokawa Hekoten(19), un vero e proprio esperimento che l’autore realizza ispirandosi ai cartoni animati realizzati negli States.Sono molti i cortometraggi che vengono proiettati nei cinematografi da questo momento in poi, ma nessuno è veramente degno di competere con quelli americani, soprattutto se firmati Disney. Queste prime pellicole raccontano storie affascinanti provenienti dal teatro kabuki e dalle leggende popolari e molte delle caratteristiche, che in seguito faranno la fortuna dell’animazione giapponese, sono già presenti: buffi animali antropomorfi, elementi soprannaturali, quell’inconfondibile senso dell'umorismo. Del 1932 è il primo cartone animato sonoro(20), una sorta di commedia familiare ricca di tradimenti intitolato Chikara to onna no yo no naka(21) e realizzato da Masaoka Kenz(22), uno degli animatori più prolifici e noti nel mondo dell’animazione giapponese.
A partire dal 1937 il Ministero dell'Esercito e quello della Marina Militare iniziano a commissionare film animati, controllando le produzioni della nascente industria e dando forte impulso alla nascita di studi locali. E’ proprio in quest’ambito che viene prodotto il primo mediometraggio, Momotar no umiwashi(23), e il primo lungometraggio nipponico, Momotar umi no shinpei (24), entrambi per opera del maestro Mitsuyo Seo(25). Le opere s’ispirano ad un personaggio mitologico giapponese, Momotar appunto, che nella tradizione è un fanciullo divino nato da una pesca gigante edestinato a sconfiggere gli oni, mentre qui il suo compito è vincere le
truppe bianche statunitensi.
E’ ancora una leggenda popolare ad ispirare il primo lungometraggio a colori: Hakujaden(26) diretto da Yabushita Taiji,
presentato anche in Europa e molto apprezzato soprattutto in Italia, dove vince nel 1959 il Premio speciale al Festival del
cinema per ragazzi di Venezia. In questo periodo arrivano nelle sale giapponesi i maggiori capolavori Disney. Fra gli spettatori più assidui e appassionati c’è il giovane Tezuka Osamu che è convinto di poter emulare la fluidità e la ricchezza formale dell’animazione totale(27) di stampo Disneyano. Dopo svariati tentativi si rende conto che né la sua società, la Mushi Productions, né altre in Giappone potevano osare tanto. Occorrono, infatti, non solo orari lavorativi più intensi e un numero di professionisti maggiore rispetto a quelli che generalmente lavoravano agli anime dell’epoca; ma, soprattutto, fondi più sostanziosi che le poche case di produzione esistenti non possono permettersi. Tuttavia, nel 1963, gli studi Mushi accettano, per la Fuji TV, la trasposizione seriale in disegni animati di un famoso fumetto di Tezuka, Tetsuwan Atom(28). Ben presto, però, si trovano in ritardo con la produzione, anche a causa dell’ingente quantità di lavoro che Tezuka doveva svolgere quotidianamente per finanziare laneonata casa di produzione. Per tagliare i costi e abbreviare i tempi, un
suo collaboratore, nonché coautore della serie, Sakamoto YVsaku, è
costretto a prendere decisioni drastiche:
Sakamoto prese le seguenti decisioni: riciclare piùrodovetri(29) possibile dalle prime tre puntate; portare l’animazione da duemila rodovetri per puntata a mille. Per
ovviare alla povertà dell’animazione vengono sfruttate le tecniche di ripresa. In quel momento si definirono le tre
regole che avrebbero fatto da base agli standard produttivi delle serie televisive giapponesi: enorme lavoro per lo staff, pochi movimenti ma sfruttati al massimo,
storia incalzante.(30) Per colmare questa scarna veste grafica, data da movimenti rigidi e scattosi, il ritmo della storia viene modificato, diventando maggiormente incombente, attivo ed emozionante. Le scene in cui l’immobilità dei protagonisti è troppo palese vengono rese dinamiche grazie all’uso di strumenti tipici del cinema: carrellate, panoramiche, musica coinvolgente e dialoghi vivaci. In tal modo, riescono a terminare i primi episodi della serie con un ritardo minimo, ma con un’animazione meno fluida di quanto Tezuka sperava. Durante la trasmissione delle prime puntate, i realizzatori temono che il prodotto non avrà successo; invece, è avvenuto proprio il contrario, il pubblico gradisce moltissimo il cartone animato di Tetsuwan Atom.
La nuova tecnica viene definita “semianimazione” o “animazione
limitata”, in contrasto all’animazione totale dei cartoons americani. Inseguito, viene applicata a tutte le produzioni, dando vita ad un vero e proprio codice narrativo e linguistico esclusivo degli anime, che caratterizza tutta la produzione a partire dagli anni dell’Anime boom(31) fino ai giorni nostri.
Prima dell’arrivo nei palinsesti televisivi italiani dei maggiori anime, alcuni lungometraggi giapponesi erano già conosciuti(32), ma non erano particolarmente apprezzati dalla critica cinematografica nostrana in quanto nettamente inferiori alle produzioni del grande impero disneyano. Il biennio 1975-76 è sicuramente fondamentale per l’arrivo dei prodotti giapponesi in Italia, principalmente per tre motivi: 1) nel 1975 la RAI decide di introdurre nella programmazione quotidiana telefilm e cartoni animati americani con cadenza giornaliera; 2) nel 1976, grazie ad un cambiamento legislativo, le emittenti televisive nazionali e, soprattutto, locali si moltiplicano, rendendo sempre più urgente e necessario colmare le ore di programmazione vuote con programmi poco costosi e di discreta qualità; i prodotti Hanna & Barbera(33) e gli anime soddisfano a pieno entrambe le condizioni; 3) in Italia arrivano le prime due serie televisivegiapponesi: Wickie il vichingo(34), nel 1975 e Heidi(35), nel 1976, conseguendo entrambe un enorme successo e suscitando, contemporaneamente, tante polemiche.
La vera fortuna dei serial nipponici è, quindi, di essere acquistati già pronti, con un’unica modifica da eseguire: l’adattamento. Inoltre l’estrema e inaspettata originalità e spettacolarità della maggior parte, ne assicura il successo in breve tempo. «Sergio, ho visto dei cartoni animati giapponesi…
incredibili… una cosa nuovissima… mai vista… non si può dire nemmeno che siano di fantascienza!» […] Mi mostra in moviola un episodio di questi Atlas Ufo-Robot e devo dire che resto impressionato dalla suspense che i giapponesi riescono a suscitare con mezzi tutto sommato modesti. […] Do senz’altro la mia approvazione ad inserirli nel nuovo ciclo di Buonasera con. I funzionari [RAI] invece restano ancora scettici. Non sanno che
fatturato li aspetta con Mazinga & Co.(36) Queste le parole di Nicoletta Artom(37) e di Sergio Trinchero(38), nel 1978, quando si ritrovano tra le mani le puntate di Ufo robo GurendaizE(39), che, in brevissimo tempo, modifica la concezione stessa di cartone animato nella mente dei bambini italiani. Di lì a poco, cominciano ad arrivare giocattoli, riviste, libri illustrati e, soprattutto, nuove serie televisive importate dal Giappone. Sono gli anni dell’anime boom anche in Italia; ma, nel nostro paese si crea una divisione netta fra gli amatori dei prodotti nipponici, soprattutto bambini e adolescenti, e la critica negativa nutrita dalla generazione immediatamente precedente, con atteggiamenti che vanno dalla comprensibile preoccupazione per l’eccessiva esposizione dei figli alla televisione e “un’insana nevrosi nippofobica di cui ancora oggi si sentono gli effetti nei discorsi sulla TV e sull’animazione giapponese”(40), come afferma giustamente Marco Pellitteri nell’opera Mazinga nostalgia. Sono anni di profonde battaglie giornalistiche, durante i quali i giovani otaku(41) italiani si sentono chiamati in causa per difendere a spada tratta i loro
nuovi eroi. Da alcuniS anni, non si può negare, un intenso revival sta interessando tutto il territorio nazionale. Ciò è reso possibile dal lavoro magistrale di riviste specializzate,
come Yamato, Manga!, IF e dei grandi distributori come Yamato Video, Pan Distribuzione, Star Shop. Inoltre, la bibliografia critica sull’argomento sta aumentando a vista d’occhio.
In conclusione possiamo dire che, tutto ciò, ha portato i giovani moderni ad una conoscenza più approfondita e dettagliata di un paese, a detta di molti, così diverso e distante dal nostro immaginario: attraverso i fumetti e i cartoni animati, due mezzi considerati ancora nettamente inferiori nel nostro panorama letterario, siamo entrati in contatto con esperienze,abitudini e credenze che ci aiutano a capire di più un mondo che i nostri nonni, se non anche i nostri genitori, etichettano negativamente senza conoscere. Insomma, come disse Umberto Eco, “non puoi parlare dei juke-box se ti fa schifo metterci dentro la monetina”(42).
Manga & Nagai G
Articolo tratto dalla tesi di laurea:
"I fumetti tra Italia e Giappone"
scritto da: Liotta Daiana
1 Raffaelli Luca, Le anime disegnate. Il pensiero dei cartoon da Dysney ai giapponesi e oltre, E. Minimum fax, Roma
2005, pag. 221.
2 Hokusai Katsushika (Edo, 1760 – 1849). Famoso pittore giapponese e realizzatore degli Ukiyo-e. (Ukiyo-e:
letteralmente “dipinti del mondo fluttuante”. Genere di pittura e di stampe su matrici di legno, popolare a Edo dalla
fine del XVII sec. alla metà del XIX sec. Ha per soggetto quartieri di piacere, bellezze femminili, attori di teatro, scene
di vita quotidiana.).
3 Kitazawa Rakuten (1876 – 1955). Fumettista e fondatore della rivista a colori Tokyo Puck.
4 Giga: caricatura.
5 Odoke: scherzo, burla. E: figura, immagine,7 Nella storia della pittura giapponese, dicesi di disegno eseguito generalmente in stile Yamato-e, all'inchiostro o
colorato, che poi viene arrotolato. Si svolge da destra verso sinistra e generalmente le immagini trovano
corrispondenza in un testo esplicativo calligrafato. Il massimo sviluppo si è avuto tra il X e il XII secolo.
8 Charles Wirgman (31 agosto 1832 – 8 febbraio 1891). Cartoonist inglese.
9 Letteralmente “Il randagio nero”, conosciuto in Italia come “Nero, cane di leva”.
10 Tagawa Suih (Tokyo, 10 febbraio 1899 – 12 dicembre 1989).
11 Tezuka Osamu (Toyonaka - Osaka-, 3 novembre 1928 - 9 febbraio 1989).
12 Dio del manga.
13 “La nuova isola del tesoro”. Pubblicato in forma di libro dalla casa editrice Ikuei Shuppan, il 1 Aprile del 1947
14 Anni del Anime boom, a cui dà il nome.
15 Acronimo di Original Anime Video. Disegni animati prodotti appositamente per l’home-video. I primi OAV
comparvero in Giappone fra il 1982 e il 1983.
16 Film di manga.
17 Fumetti televisivi18 “Il portinaio”. 1917. E’ un breve episodio animato muto di circa 5 minuti, consiste in 50 fotogrammi tenuti insieme
da colla e stampati su celluloide con inchiostro nero e rosso, che descrivono un ragazzo vestito da marinaio mentre
scrive i caratteri cinesi ''Katsud shashin'' (immagine commovente) per poi togliersi il cappello e salutare.
19 Shimokawa Hekoten (1892 – 1973). Vignettista del giornale satirico Tokyo Puck.
20 In ritardo di ben cinque anni rispetto agli Stati Uniti.
21 “Quello che conta al mondo sono il potere e le donne”. Cortometraggio prodotto dalla Masaoka Eigasha nel 1932.
22 Masaoka Kenzo (1898 - 1956). Fondatore della casa di produzione Masaoka Eigasha.
23 “Momotar l'aquila dei mari”. Prodotto dalla Geijotsu Eigasha nel 1943. Durata: 37 min. in animazione.
24 “Momotar il divino marinaio”. Prodotto dalla Shchiku Dga Kenky@sho nel 1944. Durata: 74 min. in animazione.
25 Mitsuyo Seo (nato nel 1911).
26 Conosciuto in Italia come “La leggenda del serpente bianco”. Prodotto nel 1958 dalla Toei Animation.
27 Conosciuta come Full animation, è la tecnica usata fin da principio dagli studi di Walt Disney.
28 “Atom dal pugno di ferro”, in Italia conosciuto come “Astro Boy”. Nasce nell'aprile del 1952 in forma seriale sulle pagine della rivista Shnen Manga e le sue avventure durano fino al marzo del 1968.
29 Nel cinema d’animazione classico è un foglio di acetato sul quale sono disegnati i personaggi e gli oggetti da animare. Si possono sovrapporre vari rodovetri gli uni agli altri per far muovere più oggetti contemporaneamente su diversi piani.
30 Murakami Saburo, Anime in TV. Storia dei cartoni animati giapponesi prodotti per la televisione, citato in Marco Pellitteri, Mazinga nostalgia. Storia valori e linguaggi della Goldrake-generation, II ed. riv. e ampl., King|Saggi, Roma 2002, pag. 225.
31 In Giappone corrisponde al periodo che va dall’anno 1977 al 1983. Indica il periodo di maggior successo e vendita dei prodotti d’animazione made in Japan.
32 In particolare: Saiyuki (in Italia: “Le tredici fatiche di Ercolino”), Anju to Zushiomaru (“Robin e i due moschettieri e mezzo”), Nagagutsu o haita neko (“Il gatto con gli stivali”), Andersen monogatari (“Le meravigliose favole di Andersen”).
33 Casa di produzione americana, oggi nota come Cartoon Network Studios. Fondata nel 1944 dai direttori dell’animazione della Metro-Goldwyn-Mayer: Joseph Roland Barbera (1911) e William Denby Hanna (1910-2001). Responsabile di fortunate serie televisive come The Flinstones, The Jetsons e Scooby-Doo.
34Titolo originale: Chiisana Viking Wickie. Prodotto nel 1973 dalla casa di produzione giapponese Zuiyo Enterprise Co. in collaborazione con la tedesca München Merchandising.
35 Titolo originale: Alps no shjo Haidi. Coprodotto dalla München Merchandising e la Zuiyo Enterprise Co., nel 1974. Tratto dall’omonimo romanzo di Johanna Spyri.
36 Sergio Trinchero, Vita col fumetto, citato in Luca Raffaelli, op. cit., pag. 220.
37 Curatrice della trasmissione Gli eroi di cartone della RAI e responsabile della scoperta dei cartoni giapponesi.
38 Uno dei primi appassionati di fumetto in Italia e uno dei primi ad occuparsi dei cartoni animati americani nel programma Gli eroi di cartone della RAI.
39 “Ufo Robot Grendizer”, conosciuto in Italia come “Atlas Ufo Robot” o semplicemente Goldrake, tratto dall’omonimo manga di Nagai G e trasposto in animazione nel 1975 dalla Toei Animation. In Italia fu introdotto attraverso la mediazione di una casa di distribuzione francese.
40 Marco Pellitteri, op. cit., pag. 259.
41 In Italia, questa parola di provenienza nipponica, indica coloro i quali hanno una forte passione per tutto ciò che concerne il Giappone o ha a che fare con i manga e gli anime. Nell’isola di provenienza, invece, ha una connotazione fortemente negativa; designa, infatti, giovani incapaci di comunicare con gli altri, con atteggiamenti marcatamente asociali e che sono appassionati di informazioni dettagliate riguardo ad un campo di interessi estremamente limitato.
42 Marco Pellitteri, op. cit., pag. 443. |