Skin ADV
 
ASSOCIAZIONE
ATTIVITA' CULTURALI
SCUOLA DI GIAPPONESE
STUDIA IN GIAPPONE
LINGUA GIAPPONESE
TURISMO
LAVORO IN GIAPPONE

ARTI TRADIZIONALI
edo anime
geisha e arte
sumo
karate
kendo
go
arco e spada
tatuaggi
kimono
cerimonia del te
ikebana
bonsai
teatro e letteratura
pittura
carta
artigianato
musica
Caratteristiche
Aspetti tecnici
Generi musicali
Gagaku
Storia del gagaku
Classificazioni del gagaku
Il genere kangen (gagaku)
Il genere bugaku (gagaku)
Il genere saibara (gagaku)
Il genere rôei (gagaku)
Sôkyoku
Yatsuhashi Kengyô
Scuola Ikuta (sôkyoku)
Scuola Yamada (sôkyoku)
Il rinascimento del sôkyoku
Jôruri
Storia del jôruri
Apogeo del jôruri
Opere del gidayûbushi
Tecnica del ningyô jôruri
Scuole del jôruri
Bunraku (jôruri)
Strumenti musicali
FAQ musica
Artisti
origami
architettura
ARTI MODERNE
SOCIETA'
CUCINA
GLOSSARIO
PHOTOGALLERY
COLLABORATORI
TESSERA ASSOCIATIVA
LINK
CONTATTI
 
SITE MAP
 
 
 

Aspetti tecnici, strutturali e di linguaggio

Monofonia ed eterofonia, assenza di armonia e contrappunto

Come è noto una componente fondamentale della musica occidentale è costituita dall'armonia, cioè dall'uso deliberato e sistematico di suoni contemporanei di altezza diversa secondo una ben precisa sintassi che assegna ai diversi intervalli e accordi funzioni strutturali determinate all'interno del brano. L'armonia è stata oggetto di studio teorico a partire dal XV secolo (Johannes Tinctoris e la polifonia fiamminga) ed è stata successivamente sviluppata nella musica barocca e classica fino a diventare un elemento portante della struttura generale dei brani, secondo quell'insieme di convenzioni e regole che costituiscono il linguaggio della tonalità. Anche quando, dalla fine del XIX secolo, la tonalità è stata messa in dubbio o rifiutata, ciò non è avvenuto attraverso una rinuncia all'armonia, ma solo tramite un cambiamento delle convenzioni che ne regolano l'uso (atonalità, dodecafonia, ecc.).

Al contrario la musica tradizionale giapponese manca completamente di dimensione armonica ed è basata principalmente sulla monodia, cioè la sua struttura è legata alla successione orizzontale (temporale) delle note; in generale ciò non significa che in essa non si verifichi mai l'incontro di note simultanee di altezza differente, ma questo fatto non costituisce un elemento importante del linguaggio o della struttura del brano nel senso sopra descritto.

Un fenomeno molto frequente nella musica giapponese è costituito dall'eterofonia, che si verifica quando strumenti diversi (o strumenti e voci) eseguono la stessa melodia; in tali casi solitamente i diversi strumenti introducono nella comune linea melodica differenze più o meno grandi di tempo (anticipi o ritardi) o di intonazione o abbellimenti e diminuzioni (spesso legate alle diverse possibilità tecniche dello strumento). In questo modo, anche se in linea generale tutti gli strumenti eseguono la stessa melodia, si verificano frequentemente incontri di note diverse e quindi il risultato viene descritto con il termine di eterofonia, non potendosi parlare di unisono in senso proprio ma neppure di vera polifonia né di armonia (in quanto manca la ricerca deliberata di accordi predeterminati).

Tra gli altri esempi di sovrapposizione di suoni di altezza diversa che si possono incontrare nella musica tradizionale giapponese possiamo citare:

  • gli accordi dello shô che costituiscono il sottofondo armonico del gagaku;
  • le figurazioni ripetute simili ad un ostinato dello strumento di accompagnamento (spesso lo shamisen) in molti brani di musica popolare.

In entrambi i casi siamo però molto lontani dal concetto di armonia occidentale, in quanto manca completamente la funzione dinamica e strutturale che la successione di accordi ha nella musica europea, attraverso l'alternanza di tensione (dissonanza) e rilasciamento (risoluzione della dissonanza). Al contrario gli esempi sopra citati (e in modo particolare gli accordi dello shô nel gagaku) tendono a creare un sottofondo statico, che non segue la logica dell'evoluzione temporale della melodia ma vi sovrappone uno strato sonoro quasi cristallizzato che sembra avere soprattutto una funzione di arricchimento timbrico. Analogamente sembrano mancare completamente di finalità armoniche le esecuzioni in canone delle melodie del gagaku che si incontrano a volte nei preludi di bugaku.

Nella musica giapponese è anche rara la polifonia, cioè l'esecuzione simultanea di due o più melodie differenti. Un genere che almeno parzialmente costituisce eccezione da questo punto di vista è il sôkyoku, nella cui evoluzione storica sembra di poter scorgere uno sviluppo che, a partire dalle composizioni essenzialmente monodiche di Yatsuhashi Kengyô, arriva a forme di polifonia sempre più complesse (sôkyoku in stile kaede, kyôryû tegotomono, rinascimento del sôkyoku e Meiji shinkyoku); esemplare in questo senso è il brano Godanginuta di Mitsuzaki Kengyô (vedi Esempio musicale 18). Anche in questo caso si tratta però di una polifonia che, diversamente dalla polifonia occidentale, non si basa sull'armonia (è una "polifonia di tipo giapponese", secondo le parole di Hoshi Akira).

Forse collegata alla mancanza di armonia e polifonia è la mancanza di strumenti bassi nella musica giapponese, la quale si svolge tutta su un registro che ha un'estensione simile a quella della voce umana. è da notare a questo proposito che alcuni strumenti di registro basso (come lo u e lo hichiriki basso) erano stati importati ed utilizzati in Giappone durante il periodo Nara, ma sono poi rapidamente caduti in disuso.

Naturalmente tutte queste considerazioni si applicano alla musica composta prima dell'incontro con la musica occidentale e del suo assorbimento; infatti a partire dagli anni '20 del XX secolo non solo il linguaggio armonico europeo comuncia ad essere utilizzato nella musica giapponese, dando origine ad una musica che non è più solamente giapponese ma che non può neppure essere considerata semplice imitazione della musica occidentale, ma vengono anche creati nuovi strumenti musicali (come il jûshichigen) per far fronte alle nuove necessità tecniche che tale evoluzione comportava.

Utilizzo di piccoli organici strumentali

La musica tradizionale giapponese utilizza esclusivamente piccoli gruppi strumentali. Utilizzando la terminologia della musica occidentale si potrebbe dire che la musica giapponese ha un indirizzo prettamente cameristico: nella maggior parte dei casi essa viene eseguita da un cantante (più raramente da piccoli cori che cantano all'unisono) accompagnati da uno o pochi strumenti musicali.
Come esempi tipici possiamo citare:

  • il repertorio estremamente vasto della musica vocale accompagnata da shamisen, che comprende sia generi destinati ad un'esecuzione "da camera" (o "da salotto", come si dice in giapponese), sia generi legati al teatro;
  • la musica del teatro kabuki, che spesso rientra nella categoria precedente (tayûshamisen) e in altri casi prevede invece un piccolo gruppo strumentale (uno o due shamisen, flauto e percussioni);
  • la musica del teatro , il cui organico costituisce l'esempio più classico di hayashi;
  • i brani vocali del sôkyoku, in cui una poesia viene cantata con l'accompagnamento del solo koto, oppure da koto e shamisen (sôkyoku di scuola Ikuta), oppure da koto, shamisen e shakuhachi (sankyoku).

L'organico che più ricorda un'orchestra occidentale è forse quello del gagaku (e in particolare del kangen), che comprende strumenti a fiato, a corda e percussioni (16 strumentisti in tutto). Anche in questo caso però l'analogia è del tutto superficiale, in quanto:

  • nell'orchestra occidentale archi e fiati costituiscono due blocchi sonori distinti che si contrappongono, avvicendandosi o integrandosi nella conduzione della melodia; invece nel gagaku la melodia è eseguita solamente dai fiati; gli strumenti a corda hanno un ruolo solamente accessorio e non esiste contrapposizione o avvicendamento (tutti gli strumenti suonano per tutta la durata del brano);
  • nel gagaku manca completamente la struttura verticale dell'orchestra occidentale (divisione tra strumenti di registro acuto e basso) responsabile della produzione dell'aspetto armonico della musica;

perciò anche questo caso rientra in fondo in una concezione cameristica della musica.

Forma e struttura

In generale la musica occidentale è costruita in modo logico, secondo una struttura che combina in modo razionale e ordinato i costituenti più piccoli (i motivi) in elementi sempre più grandi (frasi, movimenti e brani). In alcune composizioni questa logica è perseguita con un rigore geometrico (vedi ad esempio l'Arte della fuga di J. S. Bach), ma anche in casi meno estremi è solitamente riconoscibile un disegno ben definito che fa da struttura portante al brano (si pensi all'importanza che la forma sonata ha nella musica del Classicismo e del Romanticismo).

Si può dire invece che gran parte della musica tradizionale giapponese sia priva di una tale organizzazione formale. In parte ciò è legato alla già citata preponderanza dell'elemento vocale e narrativo: in un brano di heikyoku, di o di jôruri la musica funge da commento e da sottolineatura al testo cantato/declamato e i brani si organizzano secondo una successione di momenti che sono dettati dallo svolgimento della narrazione o della trama teatrale. Si può forse dire che tale successione costituisca una sorta di struttura del brano, ma si tratta di una struttura fluida e non preordinata, che obbedisce a criteri emozionali piuttosto che logici. Ad esempio è raro che in un brano di musica giapponese si possa riscontrare una cellula tematica che abbia una funzione paragonabile ad un motivo musicale in senso occidentale.

Questa tendenza generale ha comunque alcune importanti eccezioni:

  • all'interno del sôkyoku i tegotomono e soprattutto i danmono sono due generi caratterizzati da una struttura ben definita; probabilmente si tratta dei generi di musica tradizionale giapponese che più si avvicinano al concetto di "musica assoluta" occidentale;
  • in alcuni casi anche i brani di gagaku hanno una struttura generale riconoscibile (vedi quanto detto a proposito dei moduli ritmici del kangen e della struttura del brano Etenraku).

Un concetto fondamentale nella descrizione della struttura dei brani di musica tradizionale giapponese è quello riassunto dalla terna jo - ha - kyû. Originariamente questi termini descrivevano la successione dei brani in una rappresentazione di bugaku, in cui jo rapprensenta l'introduzione in tempo libero, ha la parte principale del brano su ritmo regolare e kyû la conclusione su tempo accelerato (per i dettagli vedi il paragrafo Il bugaku). Una successione simile caratterizza però anche i brani di kangen, che spesso hanno un'introduzione in tempo libero e si concludono con un tempo progressivamente accelerato, ed in seguito è stata assunta come principio estetico applicabile a tutti i generi musicali.

La sistematizzazione del concetto di jo - ha - kyû si deve soprattutto a Zeami, che nei suoi trattati teorici (soprattutto nel Fûshikaden) ne fa uno dei principi informatori del teatro a tutti i livelli, dalla successione dei momenti in una scena, alla successione delle scene in un dramma, alla successione dei 5 drammi che tradizionalmente costituivano una rappresentazione di . Zeami anzi si spinge più in là e sembra attribuire al concetto una portata universale: così spiega che una successione jo - ha - kyû esiste nella vita di ogni uomo (infanzia - maturità - vecchiaia), nello svolgimento di un compito assegnato (preparazione - svolgimento - conclusione), nei cicli naturali della giornata (mattino - meriggio - sera) e dell'anno (primavera - estate - autunno). In questo senso l'opera d'arte diventa, in qualche modo misterioso eppure tangibile, uno specchio di ritmi e armonie cosmiche.

Si può quindi dire che i termini jo - ha - kyû costituiscano, più che una prescrizione formale in senso stretto, l'indicazione di una successione emozionale che può applicarsi a diverse forme di rappresentazione musicale e teatrale e che può di volta in volta essere resa con mezzi tecnici differenti (accelerazione dei tempi, variazioni dei ritmi delle percussioni, concitazione ed enfasi della declamazione) senza di per sé coincidere con nessuno di essi. Si tratta quindi di un ambito molto diverso da quello indicato ad esempio dai termini esposizione - sviluppo - ripresa della forma sonata occidentale, che indicano invece una successione di elementi formali ben definiti.

Assenza di contrasto e staticità

Molto spesso la musica occidentale è basata sul contrasto: contrasto di intensità sonora (forte - piano) di velocità e ritmo (allegro - adagio), di timbri (archi - fiati) e di materiale sonoro (soggetto - controsoggetto). Al paragone la musica giapponese ha un andamento statico: ciò non significa che all'interno dei brani non si verifichino cambiamenti, ma solitamente essi sono più sfumati e progressivi, meno marcati. Per questo motivo un orecchio occidentale abituato alle forti emozioni espresse da una sinfonia o da un'opera lirica potrebbe trovare la musica giapponese eccessivamente monotona e noiosa.

In realtà non è vero che in generale la musica giapponese non sia veicolo di sentimenti intensi ed emozioni forti: molti brani di teatro , di kabuki o di jôruri presentano vicende dalle tinte emotive altrettanto intense (sia nel tragico che nel comico) dell'opera lirica occidentale, e considerazioni analoghe si possono fare per le narrazioni dello heikyoku o per i poemi che sono la base di molti brani di sôkyoku e sankyoku. In molti casi fa parte però della sensibilità giapponese esprimere queste emozioni con uno stile sobrio ed un linguaggio trattenuto che a prima vista può sembrare meno incisivo ma che in realtà può risultare anche più efficace ed espressivo.

In generale questa attitudine alla sobrietà di espressione e ad evitare il contrasto verbale può essere fatta risalire agli ideali confuciani di cortesia e di armonia sociale che sono profondamente radicati nella mentalità giapponese. è interessante notare come la dottrina confuciana, importata in Giappone ancor prima del periodo Nara, assegnasse anche alla musica una ben precisa funzione, secondo la cosiddetta ideologia di "musica e li".

Il termine cinese li 礼 (in giapponese rei) esprime una delle principali virtù umane secondo il confucianesimo. Il termine ha una grande ricchezza di sfumature e quindi è difficilmente traducibile con una sola parola: in generale indica l'attitudine della persona a rientrare nell'ordine cosmico e sociale, rispettando ed onorando i propri antenati e superiori, osservando le regole di convivenza sociale e l'armonia con il prossimo (può quindi valere, a seconda del contesto: umanità, gentilezza, educazione, armonia, buone maniere, cortesia, etichetta, cerimoniale, riconoscenza, gratitudine).

Hoshi Akira mette in diretta relazione l'importazione di tale ideologia con le caratteristiche della musica giapponese (sobrietà, assenza di forti contrasti e cambiamenti) a partire dall'inizio dell'VIII secolo (vedi Hoshi Akira, Nihon ongaku no rekishi to kanshô [Storia e apprezzamento della musica giapponese], capitolo 2, paragrafo 5).

Ritmo

Quasi sempre la musica occidentale (perlomeno a partire dalla fine del XVI secolo) ha una struttura ritmica ben definita, basata su una successione di cellule ritmiche (battute) che riproducono invariata la stessa successione di tempi forti (tesi) e deboli (arsi). Al contrario i diversi generi e brani di musica giapponese possiedono una varietà molto ampia di strutture ritmiche che possono a grandi linee essere raggruppati in due categorie:

  • brani che hanno una struttura ritmica definita: rientrano in questa categoria la musica per shamisen, il sôkyoku e gran parte del gagaku. I brani di questo tipo sono i più vicini alla musica occidentale, ma spesso presentano una struttura ritmica più complessa; ad esempio è tipico della musica vocale accompagnata utilizzare una struttura ritmica differente per la parte vocale e per la parte strumentale (ritmo doppio, vedi Esempi musicali 24 e 26);
  • brani senza struttura ritmica definita, in cui cioè il ritmo musicale non segue schemi fissi e divisibili in cellule ripetute. Esempi tipici in tal senso sono i brani del repertorio classico per fuke shakuhachi o alcuni generi di musica popolare, ma occorre notare che anche generi musicali che solitamente utilizzano un ritmo definito comprendono spesso passaggi o sezioni senza ritmo definito. Tra questi si possono citare: i preludi (netori e chôshi) dei brani strumentali di gagaku, le intonazioni iniziali dei brani di saibara e rôei, passaggi in stile declamato o quasi parlato in alcuni generi di musica da teatro (gidayûbushi e ).

Melodia

Forse perché priva di aspetto armonico, la musica giapponese dà una grande importanza alla melodia ed è solitamente molto sviluppata sotto questo punto di vista. Ad esempio le parti cantate dei brani vocali di tipo utaimono abbondano di melismi, cioè di passaggi in cui una vocale viene prolungata e cantata su figurazioni melodiche che comprendono parecchie note.

Una caratteristica specifica delle melodie giapponesi (e di altri paesi orientali) è il frequente ricorso a variazioni microtonali. Una tecnica di questo tipo può a prima vista apparire strana ad un orecchio occidentale, abituato a considerare come una "stonatura" qualsiasi suono intermedio tra i dodici gradi della scala cromatica, ma in realtà costituisce un notevole arricchimento della melodia e delle possibilità espressive della musica. Tali sottili variazioni di intonazione sono usate non solo nel canto ma anche nella tecnica esecutiva di diversi strumenti a fiato (shakuhachi, hichiriki e vari tipi di flauti traversi) e a corda (soprattutto biwa e koto).

Va comunque ricordato che in generale il temperamento delle scale musicali utilizzate nella musica giapponese è diverso da quello occidentale e presenta anche sensibili variazioni da un genere musicale all'altro; tali differenze di temperamento fanno parte delle particolarità stilistiche ed espressive dei diversi generi (per una trattazione di questo punto vedi l'articolo di Koizumi Fumio che costituisce la seconda parte del volume Musica giapponese. Storia e teoria).

Sensibilità timbrica

In generale la musica tradizionale giapponese dimostra una acuta sensibilità timbrica. Tra gli esempi in questo senso si possono citare:

  • la grande varietà di strumenti a percussione (ad esempio i numerosi tipi di taiko o di idiofoni di legno) e di tecniche per suonarli;
  • l'esistenza di diversi tipi di flauti traversi, che sono tutti simili tra di loro ma presentano sottili differenze timbriche;
  • le notevoli differenze di tecnica di emissione vocale che sono caratteristiche delle diverse scuole di jôruri, nagauta, ecc.

Anche la pratica dell'eterofonia sopra citata in molti casi sembra dettata da un'esigenza di arricchimento timbrico. Un esempio tipico in tal senso è costituito dal sankyoku, un genere di musica vocale accompagnata da tre strumenti (koto, shamisen e shakuhachi) che eseguono essenzialmente la stessa linea melodica e la cui presenza è quindi giustificabile solo in base al loro differente colore strumentale. Si tratta di un concetto diametralmente opposto a quello del trio o del quartetto della musica classica occidentale, in cui i diversi strumenti hanno soprattutto un ruolo contrappuntistico e armonico, si direbbe quasi la funzione di materializzare un'altezza sonora astratta a prescindere dal timbro materiale (non a caso le diverse voci sono spesso timbricamente omogenee, come nei quartetti d'archi o nella letteratura per organo).

La preminenza data all'aspetto timbrico del suono può essere anche vista nell'utilizzo di effetti sonori estremi prossimi al rumore, come ad esempio:

  • l'abbellimento tipico della musica per koto chiamato suritsume, in cui si strofina una corda nel senso della sua lunghezza con il retro degli tsume (si paragoni questa pratica alla cura con cui un chitarrista occidentale cerca di evitare in ogni modo che si percepisca il suono prodotto dallo sfregamento delle dita contro le corde dello strumento);
  • la tecnica di suono dello shakuhachi chiamata muraiki, che consiste nell'improvvisa emissione di una quantità di fiato molto superiore a quella necessaria per ottenere una nota normale e che produce un suono sibilante esplosivo di altezza indefinita (al contrario un flautista occidentale tende a produrre un suono il più possibile "pulito", in cui non si avverta il soffio del suonatore);
  • lo hishigi, la nota più acuta del nôkan, dal suono penetrante e in cui parimenti si sente fortemente il soffio del suonatore, e che per queste sue caratteristiche ha una funzione particolare all'interno dei drammi del teatro ;
  • il sawari del biwa e dello shamisen.

Semplicità e complessità

Alcuni dei caratteri della musica tradizionale elencati fino a qui (assenza di armonia e polifonia, predilezione per la monodia accompagnata o comunque per organici strumentali limitati) possono essere riassunti dal termine semplicità; sicuramente dal punto di vista armonico o contrappuntistico non esiste nessun brano musicale giapponese che abbia una complessità confrontabile ad un'opera per organo di Bach o ad una sinfonia di Brahms.

Il monaco Saigyô guarda il monte Fuji

Il monaco Saigyô guarda il monte Fuji di Hara Zaizen (periodo Edo).

Flowers and Birds
Fiori e piante di Kôno Bairei (XIX secolo).
Due dipinti a inchiostro di china (sumi-e), un genere di pittura basato su un uso sobrio ed essenziale del pennello, in cui una raffinata armonia compositiva è raggiunta anche attraverso ampi spazi bianchi.

Immagini gentilmente fornite dal Kyôto National Museum

Si può quindi riconoscere nella musica tradizionale gli stessi ideali di semplicità, sobrietà ed essenzialità che sono caratteristici di molte forme d'arte giapponesi, dalla pittura a inchiostro di china (sumi-e) e calligrafia all'architettura (costruzione di edifici e giardini) e alla poesia (tanka). Come è noto concezioni estetiche di questo tipo sono legate anche all'influenza che il buddhismo zen ha esercitato sulla cultura giapponese a partire dal XII - XIII secolo, non solo lasciando una forte impronta sulle forme d'arte esistenti ma anche generandone di nuove, tipicamente giapponesi (come l'architettura dei giardini rocciosi, la cerimonia del tè e l'ikebana).

Tutto ciò è sicuramente vero, ma occorre intendersi bene sul significato dei termini e riconoscere che la "semplicità" di queste forme artistiche (e in particolare della musica giapponese) non è dovuta a elementarità, primitività, rozzezza o scarsità di contenuti, ma è il risultato di un laborioso processo di distillazione e di separazione dell'essenziale dall'accessorio. Si tratta dunque di un'arte estremamente raffinata in cui ogni singolo particolare (l'inclinazione di una pietra o la curvatura di un ramo, un tratto di pennello o una sfumatura di suono) trova la propria collocazione esatta attraverso uno studio meticoloso e una grande padronanza del mezzo tecnico.

La meticolosità degli artisti giapponesi è proverbiale e la letteratura abbonda di aneddoti al proposito. Ad esempio John Stevens, nel suo libro sulla vita del maestro di spada e calligrafo Yamaoka Tesshû (1836 - 1888) (John Stevens, Lo Zen e la Spada, Luni Editrice, 1999) riporta che il grande calligrafo Iwasa Ittei, maestro di Tesshû, si era addestrato per tre anni a riprodurre solamente il carattere ichi, usando per l'allenamento circa mezzo litro d'inchiostro ogni giorno.

Esempi di questa cura estrema dei particolari sono riscontrabili anche in campo musicale:

  • la tecnica esecutiva degli strumenti a corda (e soprattutto del koto) comprende una grande varietà di effetti speciali che possono essere in qualche modo paragonati agli "abbellimenti" (portamenti, appoggiature, acciaccature, mordenti, trilli, arpeggi, ecc.) della musica occidentale e che si ottengono tendendo, sfregando o manipolando in vario modo le corde. Riguardo alla musica per koto Hoshi Akira cita 9 differenti "tecniche della mano destra" e 8 "tecniche della mano sinistra", ciascuna delle quali è indicata con una sua notazione specifica sulle intavolature per lo strumento (vedi Hoshi Akira, Nihon ongaku no rekishi to kanshô [Storia e apprezzamento della musica giapponese], parte 2, capitolo 2);
  • la tecnica esecutiva dei vari tipi di flauto traverso (ryûteki, komabue, nôkan, ecc.) e delloshakuhachi richiede l'emissione di sottili variazioni di intonazione e di timbro, ottenute modificando la posizione delle labbra o la pressione del soffio, ruotando il corpo dello strumento e aprendo parzialmente i fori.


Altri siti

Siti relativi ad alcuni degli argomenti toccati in questa introduzione:

 
 

>