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Le origini del jôruri
Il teatro classico dei burattini (ningyô jôruri, lett.
"jôruri dei burattini") nasce tra la fine del XVI secolo e
l'inizio del XVII dalla fusione di tre diverse tradizioni: l'arte di
manovrare i burattini, l'arte di declamare testi narrativi (il jôruri propriamente detto) e l'arte di suonare lo shamisen.
L'arte di manovrare i burattini è molto antica in Giappone e ha
un'origine religiosa, come del resto tutte le maggiori forme di
spettacolo tradizionale. I burattini vengono indicati in lingua
giapponese con il termine ningyô che letteralmente significa
"figura umana" e che si riferisce genericamente a ogni pupazzo o
bambola, indipendentemente dal fatto che si possa muovere o no. Si sa
che fin dall'antichità pupazzi venivano usati per eseguire riti di
purificazione, esorcismo o guarigione; la logica che stava dietro a
questi riti era probabilmente la credenza che il pupazzo costituisse
una specie di "doppio" o sostituto della persona umana e potesse
attirare su di sé le impurità o la malattia, liberando quindi la
persona per la quale il rito era eseguito (cenni a riti simili sono
attestati in letteratura a partire dal periodo Heian).
Molto presto per questo scopo vennero usati burattini, cioè pupazzi
che il celebrante faceva muovere durante la cerimonia. Riti di questo
tipo erano molto comuni, tanto che a partire dalla fine del periodo Heian nacquero gruppi organizzati di professionisti in questo campo. Non si
trattava di veri e propri sacerdoti ma di inservienti di basso livello
che giravano per tutto il Giappone con i loro amuleti e burattini.
Erano indicati con vari nomi (dôkunbô-mawashi, sanbasô-mawashi, ebisu-kaki, ningyô-mawashi,
ecc.) a seconda della regione e del tipo di rito che eseguivano.
Forse per il loro contatto con malattie e demoni, venivano considerati
impuri e tenuti a distanza dalla gente comune che pure ricorreva a
loro in caso di bisogno. Le loro abitazioni erano quindi in quartieri
separati (sanjo), solitamente prossimi a grandi santuari;
all'inizio del periodo Edo essi furono esclusi dalle quattro classi in cui il regime Tokugawa aveva diviso la società e considerati eta (fuori-casta). Durante il periodo Azuchi-Momoyama i due centri principali dei ningyô-mawashi erano il tempio di
Nishinomiya nel Kansai (tra le odierne città di Ôsaka e Kôbe)
e l'isola di Awaji.
Più o meno verso questa epoca alcuni gruppi di ningyô-mawashi si sottrassero all'autorità dei templi e continuarono la propria
attività in proprio, cioè senza l'autorizzazione della gerarchia
religiosa ufficiale.
I riti dei dôkunbô-mawashi sono stati molto comuni fino a tempi
recenti. Fino ai primi decenni del XX secolo in molte regioni del
Giappone uno degli elementi tradizionali delle celebrazioni di
Capodanno era l'arrivo di un dôkunbô-mawashi che eseguiva il
suo rito di purificazione davanti alla porta di casa
(kadozuke), liberando la famiglia dalle impurità accumulate
nell'anno passato e preparandola ad affrontare il nuovo anno (pratica
che forse si può paragonare alla benedizione annuale delle case che si
usava da noi).
Progressivamente molti di questi ningyô-mawashi "free-lance" cominciarono a differenziare la propria attività
affiancando alle proprie prestazioni religiose anche spettacoli di
puro intrattenimento. Questi burattinai ambulanti venivano solitamente
chiamati kugutsushi: essi portavano appesa al collo una
speciale cassetta che fungeva da palcoscenico e su cui muovevano i
pupazzi, declamando contemporaneamente la trama del racconto.
Furono appunto i kugutsushi che fornirono la manodopera come burattinai ai primi teatri di ningyô jôruri.
Bisogna notare che, mentre nelle grandi città dello Honshû il teatro dei burattini si sviluppava come spettacolo di divertimento essenzialmente profano, sull'isola di Awaji è continuata una tradizione indipendente di arte a carattere religioso. Le due tradizioni del bunraku e dello Awaji ningyô sono proseguite in parallelo fino ai giorni nostri, mantenendo ciascuna una propria autonomia di repertorio e di caratteristiche pur influenzandosi fortemente a vicenda.
L'arte di declamare del ningyô jôruri, cioè il jôruri propriamente detto (e il nome stesso di jôruri) derivano invece dalla tradizione dei biwa hôshi, artisti ciechi itineranti che declamavano racconti epici accompagnandosi con il biwa. Verso la fine dell'età medioevale il repertorio dei biwa hôshi aveva cominciato a differenziarsi arrivando a comprendere, oltre al tradizionale Heike monogatari, anche testi di argomento amoroso. Tra questi divenne molto diffuso il Jôruri hime monogatari, che inizialmente veniva semplicemente recitato, in seguito fu anche declamato con l'accompagnamento di biwa.
Il terzo elemento del ningyô jôruri, l'accompagnamento musicale con lo shamisen, venne introdotto in Giappone verso la fine del periodo Muromachi, quando questo strumento musicale fu importato dalla Cina attraverso le isole Ryûkyû. Lo shamisen ebbe un immediato successo e venne adottato da molti biwa hôshi al posto del biwa. Verso la fine del periodo Azuchi-Momoyama alcuni biwa hôshi di Kyôto (Sawazumi Kengyô e Takino Kengyô, non è chiaro chi sia stato il primo) iniziarono a declamare anche il Jôruri hime monogatari con l'accompagnamento dello shamisen, iniziando quello stile di recitazione cantata che sarà in seguito chiamato jôruri. Pochi anni dopo, all'inizio del XVII secolo, Menukiya Chôzaburô, un allievo di Sawazumi Kengyô, si mise insieme a un kugutsushi di Awaji e ideò uno spettacolo che univa la recitazione del jôruri all'azione dei burattini. In breve tempo questo tipo di rappresentazione ebbe un grande successo e si trasferì dalle strade ai teatri: era nato lo spettacolo che in seguito sarebbe stato chiamato con il nome di jôruri o bunraku.
Precisazione terminologica
Rispecchiando l'evoluzione storica del genere, il termine jôruri viene usato con significati abbastanza differenti. Infatti esso può indicare sia lo spettacolo nella sua totalità (rappresentazione di burattini accompagnata dalla declamazione del tayû e dalla musica dello shamisen), sia il suo aspetto solamente musicale (declamazione e accompagnamento strumentale). Lo stile di recitazione del jôruri ha avuto un tale successo che a partire dal XVIII secolo esso ha cominciato ad essere utilizzato anche al di fuori del teatro dei burattini, come accompagnamento di scene particolari del kabuki o anche in forma di concerto indipendente da ogni tipo di teatro: in questo senso quindi il termine jôruri indica solamente un genere musicale. È questa forse l'accezione del termine più comune al giorno d'oggi, mentre per indicare lo spettacolo nella sua totalità a volte si usa il termine più specifico ningyô jôruri.
Il termine oggi più usato per indicare lo spettacolo del teatro classico dei burattini nella sua globalità è tuttavia bunraku. Si tratta di un termine di introduzione abbastanza recente in quanto deriva dal nome del teatro Bunrakuza di Ôsaka a cui si deve la rinascita del genere verso la fine del XVIII secolo.
Il "jôruri antico"
Il ningyô jôruri fu una forma di spettacolo tipicamente borghese e cittadino e si sviluppò principalmente nelle grandi metropoli: nato a Kyôto, agli inizi del XVII secolo si trasferì a Edo dove ebbe una prima fioritura ma in seguito (dopo la metà del secolo) fece ritorno nel Kansai, a Kyôto e soprattutto a Ôsaka che ne divenne la capitale indiscussa.
Il "jôruri antico" a Edo
La prima fase dello sviluppo del jôruri è indicata con il nome di jôruri antico (kojôruri) e si svolge inizialmente a Edo, dove il jôruri fu introdotto da Satsuma Jôun (allievo di Sawazumi Kengyô) che vi si trasferì da Kyôto nel 1620. Satsuma Jôun (1593 - 1672) aveva uno stile di declamazione vigoroso ed enfatico che piaceva molto al pubblico della città, forse influenzato dai gusti dei numerosi samurai che popolavano la residenza shôgunale. Egli ebbe numerosi allievi che continuarono la sua tradizione interpretativa. Tra di essi fu particolarmente famoso Sakurai Tanba no shôjô: il suo jôruri aveva per tema gesta eroiche di grandi guerrieri, raccontate con stile vigoroso e con molte scene violente (duelli, decapitazioni, combattimenti con mostri spaventosi, ecc.). Il protagonista principale di questo genere di teatro, che per molti aspetti può forse essere avvicinato agli spettacoli dei pupi siciliani, era Kinpira, un super-eroe leggendario dotato di poteri soprannaturali; per questo motivo la scuola che discende da Sakurai fu indicata con il nome di kinpirabushi. In generale i brani di kinpirabushi avevano trame semplici, prevedibili e senza alcuna unità formale, costituite da una sequenza di episodi che erano legati piuttosto debolmente tra di loro, e con testi senza grandi pretese letterarie. Un altro allievo di Satsuma Jôun, Satsuma Geki (1652 - 1716), introdusse il jôruri come musica di scena del teatro kabuki.
Nello stesso periodo riscuoteva un certo successo a Edo anche un genere di jôruri caratterizzato da uno stile più sobrio, delicato e melodico. Questa tradizione discendeva da Sugiyama Tango no jô, un allievo di Takino Kengyô che si era trasferito a Edo nel 1616, e aveva come principali esponenti Edo Hizen no jô (attivo nel periodo 1661 - 1704), iniziatore dello hizenbushi, ed Edo Handayû (? - 1743), iniziatore dello handayûbushi.
Il suffisso bushi che compare nei nomi delle scuole di jôruri è una modificazione eufonica del termine fushi [節], che significa "melodia" (come spiegato nella sezione Trascrizione delle parole giapponesi , questo tipo di sonorizzazione delle consonanti è comune nella formazione delle parole composte). Quindi termini come handayûbushi, gidayûbushi, ecc., significano letteralmente "melodia/e di Handayû", "melodia/e di Gidayû", ecc., e indicano propriamente l'insieme di opere tramandate dal caposcuola (iemoto) ai propri allievi, insieme a tutto il corredo tecnico necessario per la loro corretta esecuzione; in senso lato, tali termini vengono anche usati per indicare il corrispondente stile compositivo e la scuola stessa. In molti casi per brevità tale suffisso viene omesso e quindi, ad esempio, il gidayûbushi viene anche chiamato semplicemente gidayû.
I termini jô e shôjô che compaiono come suffissi a molti nomi propri di interpreti di jôruri sono termini onorifici che originariamente (in epoca Heian) corrispondevano a cariche ufficiali all'interno della complessa burocrazia statale introdotta dalla riforma Taika e che equivalevano più o meno ad un governatore di provincia. In seguito, con il passaggio del potere reale nelle mani dello shôgun e dei suoi funzionari, questi titoli avevano perso ogni significato reale ma rimanevano ancora come termini onorifici (un po' come i titoli di marchese, conte o barone rimangono in uso ancora oggi, molto tempo dopo la fine della struttura feudale che dava loro un significato politico effettivo).
In epoca Edo era nata l'usanza tra i tayû di fregiarsi di tali titoli onorifici (di solito acquistandoli dal precedente detentore). In questi casi è consuetudine citare il nome del musicista indicandone anche il titolo: ad esempio "Sugiyama Tango no jô" significa letteralmente: "Sugiyama, jô (governatore) di Tango".
Il "jôruri antico" a Kyôto
Nel 1657 la città di Edo fu distrutta da un incendio (il famoso Grande Incendio dell'era Meireki) e in questa occasione molte compagnie di jôruri si spostarono a Kyôto e Ôsaka. Mentre a Edo continuava la moda del kinpirabushi (che vi godette di grande favore del pubblico fino agli inizi del XVIII secolo), nel Kansai il jôruri andò progressivamente trasformandosi nel senso di uno spettacolo più raffinato.
Nel 1660 Toraya Gendayû (detto anche Satsuma Gendayû) si era trasferito da Edo a Kyôto e vi aveva introdotto lo stile virile e altisonante del jôruri del suo maestro Satsuma Jôun. Questo orientamento stilistico di Gendayû fu proseguito dal suo discepolo Inoue Harima no jô (1632 - 1685); tuttavia altri tayû arricchirono e differenziarono le sfumature espressive della declamazione introducendovi elementi lirici e melismatici, forse adeguandosi ai gusti del pubblico della capitale che prediligeva generi musicali spiccatamente melodici come il jiuta. Questa tendenza è particolarmente evidente in Yamamoto Tosa no jô (1661? - 1712) e Uji Kaga no jô (1635 - 1711). Quest'ultimo produsse copioni che, ispirandosi direttamente al teatro nô, rappresentavano situazioni più realistiche, prestavano maggior attenzione ai sentimenti umani e soprattutto avevano una maggior coerenza drammatica, improntata alla progressione emozionale jo-ha-kyû (o introduzione - crisi - risoluzione) tipica del nô.
La tradizione del "jôruri antico" è ormai estinta da tempo e quindi non sappiamo quasi nulla del contenuto musicale delle opere di questo periodo; tuttavia molti dei loro testi (circa 400) sono stati conservati dagli shôhon, specie di libretti che venivano stampati per gli spettatori a cura dei teatri (similmente ai libretti delle opere liriche occidentali).
Il "jôruri antico" a Ôsaka
A Ôsaka il jôruri, introdotto soprattutto ad opera di Inoue Harima no jô e del suo allievo Kiyomizu Rihee, raggiunse un perfetto equilibrio tra le diverse tendenze stilistiche preesistenti. Questa sintesi fu operata da due grandi artisti grazie ai quali il jôruri raggiunse la sua maturità e si affermò come uno dei grandi generi drammatici del Giappone: Chikamatsu Monzaemon e Takemoto Gidayû.
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