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La scuola Ikuta

Gli allievi di Yatsuhashi Kengyô e la nascita delle scuole di sôkyoku

La successione di Yatsuhashi Kengyô fu piuttosto complessa e presto sorsero diverse scuole che in un modo o nell'altro derivano da lui; queste furono fondate da suoi allievi di prima o seconda generazione, perché egli personalmente non iniziò alcuna scuola.
A volte si indica con il nome di scuola Yatsuhashi la tradizione che arriva a Kitajima Kengyô (? - 1690), allievo diretto di Yatsuhashi, e che con lui si estingue. Quella che al giorno d'oggi viene chiamata "scuola Yatsuhashi" (o nuova scuola Yatsuhashi) è invece una distinta tradizione che venne iniziata a Ôsaka da Kagawa Kengyô (1684 ? - 1769), che era allievo di seconda generazione di Yatsuhashi Kengyô (ma che non era stato allievo di Kitajima). La scuola Yatsuhashi, pur non essendo stata fondata direttamente da Yatsuhashi Kengyô, è quella che conserva più fedelmente il repertorio da lui codificato; in particolare in essa non vengono suonati i brani derivati dai jiuta e non viene utilizzato lo shamisen. Attualmente la scuola Yatsuhashi ha un seguito molto ridotto.
La più importante tradizione che risale a Yatsuhashi Kengyô è costituita dalla scuola Ikuta che fu fondata da Ikuta Kengyô (1655 - 1715), allievo di Kitajima Kengyô e quindi allievo di seconda generazione di Yatsuhashi. Pare che Kitajima Kengyô avesse intenzione di fondare una propria scuola ma non lo fece mai (forse per rispetto nei confronti del proprio maestro). Egli comunque introdusse diverse novità nel repertorio e nella tecnica esecutiva del sô e le trasmise al proprio unico allievo Ikuta Kengyô. Per questo motivo è molto difficile stabilire se le innovazioni proprie della scuola Ikuta siano dovute a Ikuta Kengyô stesso (come vuole la tradizione) o non risalgano invece al suo maestro Kitajima. In ogni caso la nascita della scuola Ikuta avvenne molto rapidamente, pochi anni dopo la morte di Yatsuhashi. A Kitajima Kengyô sono attribuiti diversi kumiuta per sô tra cui Akashi, Hagoromo, Sue no Matsu, Utsusemi, Wakaba; molte di queste opere sono passate nel repertorio della scuola Ikuta. Secondo alcuni si dovrebbe a Kitajima Kengyô anche la revisione di Rokudan no shirabe. Anche la scuola Ikuta si è ben presto ramificata in varie scuole differenti. In parte ciò fu dovuto allo stesso successo del sôkyoku che dalla sua regione di origine (la zona attorno a Kyôto) si diffuse in tutta la nazione, dando origine a diverse tradizioni locali. In particolare si distingue tra una scuola Ikuta antica (o ko Ikuta), fondata a Ôsaka da Yoneyama Kengyô (allievo di Ikuta Kengyô), e una nuova scuola Ikuta (shin Ikuta), iniziata da Yasumura Kengyô (? - 1779) e diffusa a Ôsaka, Nagoya e nel Kyûshû. Le differenze tra queste tradizioni consistono sia nell'elenco preciso dei brani che vengono trasmessi al loro interno sia nel modo di interpretarli. Comunque i repertori di tutte queste scuole sono basati sui kumiuta per sô e sui danmono (i cui nuclei originari risalgono a Yatsuhashi Kengyô) e sui brani derivati dai jiuta e sono quindi piuttosto omogenei tra di loro. Una notevole estensione del repertorio sarà invece operata verso la fine del XVIII secolo dalla scuola Yamada, che introdurrà nel sôkyoku brani (composti da Yamada Kengyô e dai suoi successori) che derivano dalle musiche di scena del teatro e in particolare dal jôruri e che hanno quindi caratteristiche molto differenti dal sôkyoku di scuola Ikuta. Per questo motivo molto spesso si parla genericamente di scuola Ikuta al singolare, trascurando per semplicità le differenze tra le varie tradizioni particolari esistenti al suo interno di fronte alle maggiori differenze rispetto alla scuola Yamada.

Della vita di Ikuta Kengyô si conosce pochissimo. La tradizione dice che egli avrebbe fondato la sua scuola nel 1695 (cioè all'età di 40 anni) e gli attribuisce la composizione di alcune opere:
- kumiuta per sô:
* Omoigawa 思川
* Kagami no kyoku 鑑の曲
* Shiki Genji 四季源氏
- danmono:
* Godan no shirabe 五段の調
* Kinuta 砧
- nagauta per shamisen:
* Ozasa 小笹

Più che come compositore, Ikuta Kengyô è però importante per aver dato un contributo all'evoluzione della tecnica esecutiva del sô, introducendo nella musica d'arte la pratica di far suonare insieme koto e shamisen (pratica che era già diffusa in precedenza nella musica popolare) e avviando il processo di fusione del sôkyoku con il jiuta.

Accordatura kumoijôshi
Accordatura kumoijôshi
Accordatura hankumoijôshi
Accordatura hankumoijôshi
Accordatura nakazorachôshi
Accordatura nakazorachôshi

A questa pratica è legata anche l'introduzione di alcune novità techiche come l'ideazione di nuove accordature (kumoijôshi, hankumoijôshi e nakazorachôshi) che si adattavano a quelle utilizzate per lo shamisen e l'adozione anche per il koto di tecniche esecutive particolari che precedentemente erano utilizzate per lo shamisen (sukuizume, atooshi e oshibanashi). A Ikuta Kengyô è anche attribuita l'introduzione dell'uso degli tsume quadrati al posto di quelli di forma stretta e allungata usati fino ad allora.

I jiuta

Con il termine di jiuta si indicava originariamente un tipo di musica vocale accompagnata dallo shamisen che si era diffusa all'inizio del periodo Edo nella regione del Kansai. Si trattava di musica dal carattere sobrio e spiccatamente melodico (appartiene cioè alla categoria degli utaimono) che veniva eseguita soprattutto privatamente (nei salotti dei bushi e dei mercanti) e che era patrimonio dei musicisti ciechi del Tôdô.
Il vocabolo jiuta significa letteralmente "musica del luogo" e probabilmente veniva usato in contrapposizione alla musica vocale proveniente da Edo (Edo uta) che era invece legata al teatro (bunraku e kabuki) e aveva un carattere più vivace e ritmico. Già all'epoca in cui si è formata la scuola Ikuta i jiuta comprendevano generi diversi:
- i kumiuta per shamisen, cioè brani che utilizzano come testi diverse poesie indipendenti musicate con un'unica melodia; si tratta del primo genere di musica vocale per shamisen composto in Giappone verso la fine del periodo periodo Azuchi-Momoyama, subito dopo l'introduzione dello strumento nel paese (vedi al proposito il paragrafo I kumiuta per shamisen);
- i nagauta [lett. "canzoni lunghe"], canti basati su un unico testo poetico dal contenuto coerente e di tipo più sobrio e raffinato rispetto ai kumiuta, che cominciano ad essere composti attorno al 1660 - 1680. Pur essendo nato a Edo (ad opera di musicisti come Sayama Kengyô), in questa fase iniziale del suo sviluppo il nagauta fiorì soprattutto nella regione di Kyôto ed è perciò indicato con il nome di "nagauta del Kamigata" per distinguerlo dal nagauta che si svilupperà successivamente a Edo (come musica del teatro kabuki);
- gli hauta, brevi brani cantati composti più liberamente rispetto ai kumiuta e ai nagauta; comprendevano canti usati per intrattenere i clienti nei quartieri di piacere o gli ospiti dei banchetti. In seguito il livello artistico del genere fu elevato dalle opere di compositori come Tamaoka Kengyô, autore di Tsuru no koe [Il canto della gru], e Minezaki Kôtô;
- jôrurimono, cioè brani che subivano l'influenza dello stile declamatorio del jôruri (che è appunto un katarimono) soprattutto delle scuole dello handayûbushi e dello eikanbushi. A partire dall'era Kansei (1789 - 1800) furono inseriti tra i jiuta anche brani provenienti dallo shigetayûbushi (fatto notevole perché lo shigetayûbushi si è invece estinto come scuola di jôruri);
- shibaiuta, musica vocale accompagnata da shamisen e destinata al teatro kabuki di Kyôto e Ôsaka composta da Kishino Jirosa e dalla sua scuola.
A partire dall'inizio del XVIII secolo questi brani cominciarono ad essere accompagnati insieme da shamisen e koto. La tradizione dice che questa pratica sia stata iniziata da Ikuta Kengyô stesso; questo fatto non è documentato storicamente, ma è certo che verso la metà del XVIII secolo questo metodo esecutivo era molto diffuso e le raccolte di jiuta stampate in questo periodo menzionano esplicitamente l'uso del koto.
Ad ogni modo l'introduzione del repertorio del jiuta all'interno del sôkyoku diventerà una delle caratteristiche fondamentali della scuola Ikuta, tanto che in breve tempo si perde la distinzione tra le due tradizioni e si parla di sôkyoku-jiuta come di un unico genere musicale. I musicisti di sôkyoku (sia di scuola Ikuta che di scuola Yamada) sono sempre anche abili esecutori di shamisen e spesso si alternano tra i due strumenti anche nei concerti e nelle incisioni discografiche.

I tegotomono

Originariamente i jiuta erano brani che davano un'importanza preponderante alla parte cantata: gli strumenti musicali (shamisen e koto) avevano unicamente la funzione di accompagnare la voce, oppure eseguivano brevi incisi strumentali (chiamati ai no te) tra una strofa e l'altra del testo cantato.
Nell'ultimo decennio del XVII secolo erano però cominciate ad apparire composizioni in cui gli ai no te andavano acquisendo una importanza maggiore ed erano concepiti come intermezzi strumentali indipendenti dal testo aventi lo scopo di mettere in evidenza il virtuosismo degli esecutori. Esempi in questo senso sono i brani Sandan shishi (di Sayama Kengyô), Rokudan renpo (di Kishino Jirosa) e Sarashi (di Fukakusa Kengyô).
A poco a poco questa tendenza si accentuò e venne fissata dalla tradizione in una nuova forma musicale in cui la parte più importante non era il canto ma un lungo interludio strumentale, che venne indicato con il nome di tegoto (lett. "cosa di mano", cioè "pezzo di abilità"). I brani basati su un tegoto erano chiamati tegotomono e si componevano di una successione di sezioni prefissate:
- maebiki ["preludio suonato"]: breve introduzione strumentale, generalmente su tempo lento;
- maeuta ["canto iniziale"]: sezione vocale in cui viene cantato un testo poetico, solitamente un tanka, con un accompagnamento discreto da parte degli strumenti musicali;
- tegoto: intermezzo solamente strumentale; generalmente il tegoto inizia con un tempo moderato ed accelera progressivamente fino ad assumere carattere brillante e virtuosistico e nel complesso costituisce la sezione più lunga e importante del brano; a volte nel tegoto sono riconoscibili diverse sezioni:
* tsunagi ["collegamento"]: passaggio di transizione dal precedente maeuta;
* makura ["cuscino"]: parte introduttiva;
* chirashi ["dispersione"]: svolgimento;
- atouta ["canto finale"]: sezione vocale finale, su testo costituito dalla conclusione del tanka iniziale o da un poema separato, in cui si ritorna ad un ritmo moderato;
- atobiki ["postludio"]: breve sezione strumentale finale.
Il tegotomono costituisce un caso (piuttosto raro all'interno della musica tradizionale giapponese) di un genere musicale che possiede una struttura formale ben definita; da questo punto di vista può quindi essere paragonato alle forme musicali della tradizione occidentale (preludio e fuga, forma sonata, tema con variazioni).
Sul ruolo della forma nella musica tradizionale giapponese in generale vedi anche il paragrafo Forma e struttura dell'Introduzione.
Come succede anche nella musica occidentale, questo schema formale non è sempre seguito in modo rigido (soprattutto a partire dal periodo Meiji in poi): ad esempio non sempre il maebiki e l'atobiki sono presenti; in composizioni particolarmente estese possono esserci due distinti tegoto, separati da un nakauta ["canto centrale"]. Comunque la successione maeuta - tegoto - atouta è sempre chiaramente distinguibile.
Il tegotomono è nato ad Ôsaka nell'ultimo decennio del XVIII secolo: opere rappresentative di questo genere sono Zangetsu, Echigojishi e Azumajishi (di Minezaki Kôtô) e Saigyôzakura (di Kikuzaki Kengyô).

Il sôkyoku in stile kaede

Inizialmente nei brani in cui i due strumenti suonavano insieme il koto si limitava a raddoppiare la parte dello shamisen all'unisono o all'ottava (pratica chiamata betatsuke). A partire da primi anni del XIX secolo nacque però l'uso di affidare al koto una melodia separata (kaede) che era una versione più o meno variata e abbellita della "melodia principale" (honte) suonata dallo shamisen; secondo un procedimento molto diffuso nella musica tradizionale giapponese, il rapporto tra i due strumenti non è quindi né di unisono né di vero e proprio contrappunto e viene descritto dal termine eterofonia. Si dice che il primo brano di questo tipo sia stato Oranda banzai, composto da Ichiura Kengyô aggiungendo un kaede a un brano tradizionale di jiuta intitolato Banzai.

orandajoshi
L'"accordatura olandese" del koto ideata da Ichiura Kengyô

Il titolo Oranda banzai significa letteralmente "Banzai olandese" e si riferisce al fatto che in esso il koto utilizza un'accordatura chiamata "accordatura olandese" o "accordatura di carillon"; si dice infatti che Ichiura Kengyô abbia ideato questa accordatura prendendo spunto dalle musiche dei carillon che venivano importati in Giappone dall'Olanda. Si tratterebbe quindi del primo esempio di influenza diretta della musica occidentale sulla musica tradizionale giapponese; si noti comunque che la scala musicale su cui il brano è basato non è di tipo occidentale ma una comune scala in giapponese. Ichiura Kengyô era di Ôsaka, ma nei primi decenni del XIX secolo il sôkyoku in stile kaede si diffuse ben presto nel Kansai e a Kyôto, dove acquisì un livello superiore di raffinatezza artistica. Le opere di questo periodo vengono chiamate kyôryû tegotomono o kyôfû tegotomono (cioè "tegotomono alla moda della capitale") o a volte brevemente kyômono; esse mostrano una notevole evoluzione nella tecnica strumentale del koto e nella scrittura quasi polifonica delle parti dei due strumenti, che vengono trattati su un piano di parità. In genere si trattava di brani che erano stati originariamente scritti come jiuta per shamisen (da compositori come Matsuura Kengyô, Kikuoka Kengyô, Mitsuzaki Kengyô e Ishikawa Kôtô) e a cui compositori di sôkyoku avevano successivamente aggiunto una parte per koto. Tra gli autori specializzati nella composizione di kaede ricordiamo Urazaki Kengyô, Kawarasaki Kengyô e soprattutto Yaezaki Kengyô, che scrisse kaede per quasi tutti i brani di jiuta della sua epoca. Il genere godette di tale popolarità che alcuni brani furono concepiti fin dall'inizio per avere un kaede e furono quindi composti congiuntamente da un musicista di shamisen e da uno di koto: l'accoppiata più famosa in questo senso fu quella tra Kikuoka Kengyô e Yaezaki Kengyô. Ancora oggi i kyôryû tegotomono sono considerati come una parte importante del repertorio della scuola Ikuta e vengono eseguiti in concerto e incisi su disco.
Con il kyôryû tegotomono si ha la completa fusione del sôkyoku con il jiuta, che possono ormai essere considerati come un unico genere.

Opere rappresentative della scuola Ikuta

Kudan no shirabe 九段の調
Brano solamente strumentale del tipo del danmono; è composto da nove dan e si basa sullo stesso materiale musicale di Rokudan no shirabe. Viene considerato uno dei brani più importanti della scuola Ikuta.
Discografia di Kudan no shirabe:
Fukami Satomi: sôkyoku jiuta shû [raccolta di sôkyoku e jiuta], Crown CRCM-60043-5, disco 1, traccia 7

Kurokami 黒髪
È un brano di origine oscura e di autore ignoto che è stato assorbito dal jiuta ma di cui esiste anche una versione nagauta usata come brano di meriyasu nel teatro kabuki. Quest'ultima versione (che forse è la più nota) è stata arrangiata da Kineya Sakichi in occasione della rappresentazione di Ôakinai hiruga kojima al teatro Nakamura di Edo nel 1784. La versione jiuta di cui si tratta qui è invece stata composta da Koide Ichijûrô ed è un esempio rappresentativo di hauta.
Il testo è il lamento di una donna abbandonata dall'amante dopo una notte passata insieme. Secondo una corrispondenza tra animo umano e natura che è uno degli elementi caratteristici della poesia giapponese a partire dal Man'yôshû e dal Kokinwakashû, ai sentimenti della donna fa da cornice la desolazione di una fredda notte invernale:

Kurokami no,
musubohoretaru omoioba,
tokete neta yo no
makura koso,
hitori neru yo no
adamakura,
sode wa katashiku
tsuma ja to iu te
Il cuscino di quella notte
in cui abbiamo dormito insieme
e su cui ho sciolto
i miei capelli neri
in questa notte in cui dormo sola
[è diventato] il cuscino del mio abbandono;
le maniche del vestito mi fanno da coperta.
«Sei la mia sposa» mi ha detto,
(ai no te)
guchina onna no
kokoro wo shirade,
shinto fuketaru
kane no koe,
yûbe no yume no
kesa samete,
yukashi natsukashi
yarusena ya,
tsumoru to shirade,
tsumoru shirayuki
ma non conosce l'animo
di una donna che geme senza speranza.
Nel silenzio della notte fonda
[s'ode] la voce di una campana:
in questo mattino mi ridesto
dal sogno della scorsa notte.
Sono presa dal desiderio, dal rimpianto
e dallo sconforto;
senza che me ne sia accorta
la bianca neve ha formato un alto strato.

L'espressione adamakura, sopra tradotta con "cuscino del mio abbandono", significa letteralmente "cuscino inutile" ed è un termine comunemente usato nella lingua letteraria per indicare la condizione di una donna abbandonata dall'amante o dal marito.
Accordandosi con il contenuto del testo anche il canto ha uno stile sobrio e dolente, sostenuto dagli interventi parchi e discreti dello shamisen.
Discografia di Kurokami:
- Fukami Satomi: sôkyoku jiuta shû [raccolta di sôkyoku e jiuta], Crown CRCM-60043-5, disco 3, traccia 3

Uji meguri 宇治巡り
Opera originariamente composta da Matsuura Kengyô come tegotomono per shamisen e a cui successivamente Yaezaki Kengyô ha aggiunto un kaede per koto. Come indicato dal titolo (che significa "In giro per Uji") il testo del brano è una descrizione di varie località nella zona di Uji (nella provincia di Yamashiro, nei pressi di Kyôto). Nel testo si fa riferimento in più punti al tè, di cui Uji era un importante centro di produzione; vengono inoltre citati diversi luoghi il cui nome, secondo una figura retorica comune nella poesia giapponese, ha un significato letterale attinente all'argomento trattato. Il testo del brano è piuttosto ellittico e spesso sottintende i verbi: più che di una sequenza di frasi di senso compiuto, si tratta di un elenco di nomi in cui il senso di ogni elemento è chiaro ma il loro nesso sintattico rimane sottinteso; avverto pertanto che la traduzione è soggetta a un certo margine di incertezza.

Yorozu yo wo
tsumu ya saen no
harukaze ni
kotobuki soete
Saohime no
nigiwau sode no
Wakamidori
hitome wo nani to
Hatsumukashi
kasumi wo wakete
Aoyama no
Komatsu no shiro ya
Aya no mori
chitose sawari mo
naki mura ni
yowai oisenu
Babamukashi
darenimo toshi wo
yuzuri ha no
Chiyo no Midori no
Matsu no O no
kamiyo no sue no
Nochimukashi
hikari wo soete
Sono no Ume
nao Shiraume no
iroka ni mo
fukaku zo utsuru
Kawayanagi
kosui kosu da ni
Uji no nami

Nel vento primaverile
dei campi di tè
raccolti da mille generazioni
[c'è] Wakamidori ["giovane verzura"]
con le maniche fluttuanti
di Saohime
che porta longevità.
[Sfugge] gli occhi della gente
Hatsumukashi ["tè di prima raccolta"];
fendendo le nebbie
ad Aoyama ["montagna verde"]
[c'è] il castello di Komatsu ["piccolo pino"].
Nel villaggio di
Aya no Mori ["foresta dei disegni"]
per mille anni libero da calamità,
[c'è] Babamukashi ["vecchia donna"]
che non invecchia.
[C'è] Chiyo no Midori ["verzura di mille generazioni"]
dalle foglie che elargiranno
lunga vita a tutti;
[c'è] Matsu no O ["coda del pino"];
[c'è] Nochimukashi ["tè di ultima raccolta"]
[che durerà fino] alla fine dell'era dei kami.
Pieni di luce del sole
[sono] Sono no Ume ["prugno del giardino"]
e Shiraume ["prugno bianco"];
tra i colori e i profumi
profondamente si riflette
Kawayanagi ["salice di fiume"]
dove le onde di Uji
si riversano nelle acque del lago.

(primo tegoto)

Hatsuhana misuru
yamabuki no
Hanatachibana no nyô chô
yume wo musubu
Oritaka ya
Kodaka no tsume ni
eda shimete
kokage mo ôki
Ichimori no
Kisen no io no
natsu no mine
Taki no Oto wo mo

Mostra i suoi primi petali
la rosa selvatica;
[si sente] il profumo di Hanatachibana ["mandarino selvatico"].
Come in un sogno
dagli artigli di Oritaka ["falco del momento opportuno"]
e di Kodaka ["piccolo falco"]
è raccolto un ramo.
Tra l'ombra dei folti alberi
[c'è] Ichimori ["una foresta"];
[si vede] l'eremo di Kisen ["scelta felice"]
sui picchi in estate
e [si sente] anche Taki no Oto ["rumore della cascata"].

(secondo tegoto)

Kikusui no
Asahiyama no ha
Usumomiji
Takao no mine ni
karigane no
asaru koegoe
Kasadori no
kazuman tokoro
omoshiro ya
kokoro wo sumasu
Oiraku wa
iwai no shiro ni
utau Maizuru

A Kikusui ["acqua dei crisantemi"],
all'estremità del monte Asahi ["sole del mattino"],
[c'è] Usumomiji ["sottili foglie d'autunno"].
Sul picco di Takao ["uomo alto"]
[si odono] voci di anitre selvatiche
che cercano cibo;
[c'è] Kasadori ["prendere l'ombrello"].
Un'infinità di luoghi
meravigliosi!
Rende limpido l'animo
Oiraku ["antico piacere"];
nelle celebrazioni
canta Maizuru ["gru danzante"].

Uji meguri è un brano di notevole estensione e comprende due distinti tegoto. Dal punto di vista musicale è contraddistinto da un frequente uso di sezioni di kakeai tra shamisen e koto.
Discografia di Uji meguri:
Fukami Satomi: sôkyoku jiuta shû [raccolta di sôkyoku e jiuta], Crown CRCM-60043-5, disco 3, traccia 4

Yaegoromo 八重衣
Opera rappresentativa del kyôryû tegotomono, originariamente composta da Ishikawa Kôtô per shamisen e a cui in seguito Yaezaki Kengyô ha aggiunto un kaede per koto.
Il testo del brano è formato da 5 tanka tratti dall'Ogura hyakunin isshu che sono accomunati dal fatto di avere per tema un vestito:

Kimi ga tame
haru no no ni idete
wakana tsumu
waga koromode ni
yuki wa furi tsutsu

 

Per causa tua
vago nei campi di primavera
raccogliendo tenere erbe,
mentre sulle maniche della mia veste
cade la neve.

 

Imperatore Kôkô (r. 884 - 887)

Haru sugite
natsu ki ni kerashi
shirotae no
koromo hosu chô
ama no Kaguyama

 

La primavera è passata
e ritorna l'estate;
le vesti di seta bianca
sono stese ad asciugare
sul Monte del Profumo Celeste.

 

Imperatrice Jitô (645 - 702)

Miyoshino no
yama no akikaze
sayo fukete
furusato samuku
koromo utsu nari

 

Il vento delle montagne
di Miyoshino
a notte fonda ...
l'antico villaggio è al freddo;
s'ode il suono di vestiti battuti.

 

Fujiwara no Masatsune (1170 - 1221)
(primo tegoto)

Aki no ta no
kario no io no
toma wo arami
waga koromode wa
tsuyu ni nure tsutsu

 

È sconnessa la tettoia di paglia
del rifugio temporaneo
nelle risaie autunnali;
le maniche della mia veste
sono bagnate di rugiada.

 

Imperatore Tenji (r. 662 - 671)

Kirigirisu
naku ya shimo yo no
samushiro ni

 

Mentre i grilli cantano
nella gelida notte,
nel mio freddo giaciglio

 

(secondo tegoto)

koromo katashiki
hitori kamo nen

 

distendo il mio vestito
e dormo solitario.

 

Fujiwara no Yoshitsune (1169 - 1206)

Il brano inizia su un ritmo lento e solenne, in un'atmosfera rarefatta che ben si adatta al testo del primo waka; successivamente, a partire dal secondo waka, il ritmo si fa più vivace e l'accompagnamento più serrato, fino ad arrivare al primo tegoto in cui gli strumenti (a illustrazione del testo del poema appena cantato) imitano il suono del kinuta. Viene quindi cantato il quarto waka e il kami no ku del quinto, seguito dal secondo tegoto che (sempre rifacendosi al testo poetico precedente) imita il canto dei grilli. A conclusione viene cantato per due volte lo shimo no ku dell'ultimo poema. È considerato un brano di difficile esecuzione.
Discografia di Yaegoromo:
Fukami Satomi: sôkyoku jiuta shû [raccolta di sôkyoku e jiuta], Crown CRCM-60043-5, disco 3, traccia 1
Japon: Jiuta - Ensemble Yonin no Kai, Ocora C 580069 HM 79, traccia 1

Yodanginuta 四段砧
Brano del genere del kinutamono tradizionalmente attribuito a Ikuta Kengyô. Pare che originariamente fosse un brano per shamisen che successivamente è stato trascritto per koto ed è rimasto come tale nella scuola Ikuta, dove peraltro si è quasi estinto.
Per questo brano è stato anche composto un kaede per koto che utilizza l'accordatura kumoijôshi, opera di Hasegawa Kengyô (secondo un'altra versione, di Hasetomi Kengyô); con questa aggiunta l'opera assume la forma di un brano per due koto con accordature differenti come il successivo e più famoso Godanginuta di Mitsuzaki Kengyô, che utilizzerà ampiamente materiale proveniente da Yodanginuta.
Discografia di Yodanginuta:
Fukami Satomi: sôkyoku jiuta shû [raccolta di sôkyoku e jiuta], Crown CRCM-60043-5, disco 1, traccia 2.

Yûgao 夕顔

Brano di jiuta in forma di tegotomono originariamente composto per voce e shamisen da Kikuoka Kengyô (il kaede per koto è stato aggiunto da Yaezaki Kengyô).
La parola yûgao significa letteralmente "viso della sera" ed è il termine usato in giapponese per indicare il fiore "bella-di-notte" (Calonyction aculeatum). Il titolo del brano costituisce un riferimento a un episodio narrato nel quarto capitolo del Genji monogatari: il principe Genji, allora diciassettenne, mentre sta visitando la sua vecchia balia ammalata vede per caso nel giardino confinante alcune belle-di-notte e ordina al suo servo di coglierle. Mentre il servo esegue viene avvicinato da una fanciulla (una domestica della casa) che per conto della sua padrona gli offre un ventaglio profumato per poter trasportare i fiori (notoriamente delicati) senza rovinarli. Genji è colpito dalla gentilezza del gesto e dalla squisita fattura del ventaglio, su cui è anche tracciata con aggraziata calligrafia femminile una poesia. Genji risponde a sua volta con una poesia e si ripropone di trovar l'occasione per poter incontrare la misteriosa dama. Egli incarica quindi un suo servo di fiducia di prendere contatti con gli abitanti della casa: dopo alcuni giorni riesce a combinare un incontro con la donna e ne viene conquistato.
La storia d'amore è breve e intensa e ha un finale tragico. Solo pochi giorni dopo il loro primo incontro, Genji e la dama (di cui non si conosce il vero nome, ma che è ormai soprannominata Yûgao) stanno trascorrendo la notte in una villa appartata e solitaria, quando appare un fantasma. Yûgao non resiste all'influsso malefico dell'apparizione e muore tra le braccia di Genji. Si scoprirà poi che il fantasma è lo spirito ingelosito della precedente amante di Genji; ciò accresce il dolore del principe, che in un certo senso si sente responsabile dell'accaduto.
Il testo del brano non è una citazione letterale del romanzo ma consiste in un poema che riassume liberamente la vicenda, soffermandosi soprattutto sulla scena iniziale (il dono del ventaglio):

Sumu ya dare.
toite yaminto
tasogare ni,
yosuru kuruma no
otozuremo,
taete yukasiki
nakagaki no,
sukima motomete
kaimami ya.
kazasu ôgini
takishimeshi,
sora daki mono no
honobono to,
nushi wa shiratsuyu
hikari wo soete,

«Chi abita qui?»
un servo chiede
al crepuscolo,
mentre il carro [di Genji]
giunge per la visita.
«L'elegante recinzione [di questa casa]
dove nessuno viene a far visita
ha una fessura:
diamo un'occhiata!»
Reggendo un ventaglio
impregnato
di una leggera fragranza
di incenso,
la padrona offre fiori che la rugiada
fa brillare ancora di più.

(tegoto)

itodo hae aru
yûgao no,
hana ni musubishi
karine no yume mo,
samete minishimu
yowa no kaze.

A un fiore ancora più splendido,
a Yûgao
egli si unisce;
dal breve sogno
egli si risveglia rabbrividendo
nel vento di mezzanotte.

Dscografia di Yûgao:
Japon: chants courtois, Buda 1987862, traccia 5

Yuki 雪
Yuki [Neve] è un brano vocale con accompagnamento di shamisen appartenente al genere degli hauta ed è stato composto da Minezaki Kôtô. È un brano molto famoso, considerato uno dei capolavori del jiuta; in esso viene dato grande risalto alla semplice e intensa espressività del canto che è sottolineato dall'accompagnamento sobrio e discreto dello shamisen.
Il testo si riferisce alla vicenda di una geisha che, a causa di una delusione amorosa, rinuncia al mondo e si ritira in un monastero buddhista e, da questa sua nuova condizione, ricorda le vicende del passato:

Hana mo yuki mo haraeba
kiyoki tamoto kana
hon ni mukashi no koto yo
wa ga matsu hito mo
ware wo machiken
oshi no otori ni
monoomoi wa no
kôru fusuma ni
naku ne wa sazo na
sanaki dani kokoro mo
tôki yowa no kane

Se le libero dai fiori e dalla neve
come sono pure le mie maniche!
Veramente è una faccenda del passato
ma l'uomo che io cercavo
forse ora sta cercando me.
Il grido dell'anitra selvatica
che chiama il suo compagno
dal suo gelido giaciglio
mi rende triste;
risveglia il mio cuore
la campana lontana di mezzanotte;

(ai no te)

kiku mo sabishiki
hitori ne no makura ni
hibiku arare no oto mo
moshiya isso sekikanete
otsuru namida no tsurara yori
tsuraki inochi wa
oshikaranedomo
koishiki hito wa
tsumi fukaku
omowan koto no
kanashisa ni
suteta uki
suteta ukiyo no
yama ka zura

al solo sentirla divento triste.
Udendo il rumore della grandine
che risuona sul giaciglio dove dormo sola
non sono più capace di trattenermi;
le lacrime mi scendono come ghiaccioli.
Di questa vita dolorosa
non più mi curo.
All'uomo che amavo
solo con un profondo senso di colpa
posso pensare;
e ciò mi addolora.
Ah, dolori che ho abbandonato!
Ah, abbandonata moltitudine
di affanni terreni!

Al centro del brano, immediatamente dopo il punto del testo che accenna alla "campana lontana di mezzanotte", è inserito un interludio strumentale (ai no te) che descrive la solitudine di una notte di neve e i rintocchi lontani della campana del tempio. Anche in questo caso si tratta di un passaggio estremamente sobrio, lontanissimo dal virtuosismo dei tegotomono, in cui le rade note dello shamisen riescono a creare un'atmosfera di eccezionale potenza espressiva. Questo ai no te è giustamente famoso ed è stato spesso usato in opere successive di jôruri e nagauta per evocare atmosfere malinconiche e solitarie.
Discografia di Yuki:
Fukami Satomi: sôkyoku jiuta shû [raccolta di sôkyoku e jiuta], Crown CRCM-60043-5, disco 3, traccia 2
Shamisen II (utaimono), King Record KICH 2009, traccia 9
Edo no bunka - 2: Uta [La cultura di Edo - 2: Uta], Columbia COCJ 32072, traccia 10

Zangetsu 残月
Brano composto attorno al 1790 da Minezaki Kôtô; è un'opera rappresentativa del tegotomono per shamisen della fine del XVIII secolo.
Si dice che il testo sia stato composto da Minezaki Kôtô stesso in ricordo di una sua studentessa di nome Matsuya, morta prematuramente; il titolo del brano si riferisce al nome postumo della ragazza, Shinjo Zangetsu (secondo la tradizione buddhista si assegna ai defunti un nuovo nome religioso con il quale vengono ricordati e onorati dopo la morte). Il termine zangetsu significa letteralmente "luna rimasta" e indica la luna che rimane ancora visibile nel cielo del mattino, sbiadendo progressivamente nella luminosità del giorno: si tratta di un'immagine poeticamente molto espressiva per alludere al distacco dalla defunta.
Nella cultura giapponese la luna (tsuki) è considerata una delle manifestazioni più belle della natura e la festa per la contemplazione della luna in autunno (tsukimi, lett. "guardare la luna") era un evento altrettanto importante che la festa per la fioritura dei ciliegi (hanami) in primavera.
Il rimpianto per lo sbiadire della luna all'alba è un tema ricorrente nella poesia giapponese; l'immagine è spesso utilizzata in relazione al dolore per il distacco di una coppia di amanti dopo una notte trascorsa insieme.
Di maggior rilevanza per questo brano è forse il significato che la luna riveste all'interno della simbologia religiosa buddhista come immagine dell'illuminazione suprema.
Partendo da questo termine, il testo è costruito attraverso un doppio contrasto tra immagini che hanno come filo conduttore la luna e la luce. Così nel maeuta all'immagine della luna che scompare nel mare viene contrapposta la nuova "luce della verità suprema", allusione al paradiso buddhista. Nell'atouta però anche questa consolazione religiosa viene meno e ciò che rimane è solo una triste successione di giorni bui. Si noti che il termine oboroyo, sotto tradotto come "fosche notti", indica propriamente la notte/le notti in cui la luce della luna è offuscata dalle nuvole. Un ulteriore richiamo alla luna (tsuki) è anche contenuto nel termine tsukihi (lett. "lune e soli", cioè "mesi e giorni" o, più genericamente, "scorrere del tempo") che crea quindi un contrasto secondario: mentre tu, luna splendente, sei tramontata, le "lune e soli" (mesi e giorni) che ci restano sono solo mesi e giorni cupi, non rischiarati dalla luce della luna.

Maeuta

Isobe no matsu ni
hagakurete
oki no katae to
iru tsuki no
hikari ya yume no
yo wo hayô
samete shinnyo no
akirakeki
tsuki no miyako ni
sumu yaran

Come la luna
si immerge al largo nel mare
scomparendo dietro le foglie
dei pini sulla spiaggia
così, troppo in fretta, hai lasciato
questo mondo di sogno.
Risvegliandoti illuminata
dalla verità suprema
possa tu vivere
nella capitale della Luna.

Atouta

ima wa tsute dani
oboroyo no
tsukihi bakari wa
meguri kite

Ora solo il ricordo [di te rimane],
solo giorni e mesi
di fosche notti
si susseguono.

Il tegoto del brano interrompe l'atmosfera mesta e solenne della sezione cantata con un ritmo più veloce ma pur sempre delicato, che sembra richiamare l'immagine della persona come era da viva. Nel complesso si può quindi descrivere la successione dei momenti emotivi del brano nel seguente modo:
- dolore per la scomparsa prematura (immagine del tramonto della luna, prima parte del maeuta);
- consolazione religiosa (seconda parte del maeuta);
- parentesi di relativa serenità nel ricordo della ragazza come era da viva (tegoto);
- ritorno al dolore iniziale (atouta).
Il tegoto è diviso in 5 sezioni di cui la prima ha lunghezza uguale alla seconda e la terza ha lunghezza uguale alla quarta; le sezioni sono state composte in modo da poter essere suonate sia una di seguito all'altra sia suonando insieme con due shamisen le sezioni 1-2 e 3-4 creando un effetto contrappuntistico.
La parte per koto non è originale di Minezaki Kôtô ma è stata aggiunta successivamente (ne esistono versioni diverse a seconda della scuola dell'esecutore).
Discografia di Zangetsu:
Nanae Yoshimura - The art of the koto - Volume 1, Celestial Harmonies 13186-2, traccia 3
Midare - Kazue Sawai plays koto classics, Kyôto Records KYCH-2005, traccia 3