Skin ADV
 
ASSOCIAZIONE
ATTIVITA' CULTURALI
SCUOLA DI GIAPPONESE
STUDIA IN GIAPPONE
LINGUA GIAPPONESE
TURISMO
LAVORO IN GIAPPONE

ARTI TRADIZIONALI
edo anime
geisha e arte
sumo
karate
kendo
go
arco e spada
tatuaggi
kimono
cerimonia del te
ikebana
bonsai
teatro e letteratura
pittura
carta
artigianato
musica
Caratteristiche
Aspetti tecnici
Generi musicali
Gagaku
Storia del gagaku
Classificazioni del gagaku
Il genere kangen (gagaku)
Il genere bugaku (gagaku)
Il genere saibara (gagaku)
Il genere rôei (gagaku)
Sôkyoku
Yatsuhashi Kengyô
Scuola Ikuta (sôkyoku)
Scuola Yamada (sôkyoku)
Il rinascimento del sôkyoku
Jôruri
Storia del jôruri
Apogeo del jôruri
Opere del gidayûbushi
Tecnica del ningyô jôruri
Scuole del jôruri
Bunraku (jôruri)
Strumenti musicali
FAQ musica
Artisti
origami
architettura
ARTI MODERNE
SOCIETA'
CUCINA
GLOSSARIO
PHOTOGALLERY
COLLABORATORI
TESSERA ASSOCIATIVA
LINK
CONTATTI
 
SITE MAP
 
 
 

Trame di opere rappresentative del gidayûbushi

Sono riportate in questa pagina le trame e alcune notizie generali sulle più famose opere di gidayûbushi.

In generale le opere teatrali vengono divise nelle due grandi categorie dei jidaimono (drammi storici) e sewamono (drammi di soggetto contemporaneo). Solitamente i jidaimono hanno una trama che si basa sulla contrapposizione tra un eroe positivo e un personaggio negativo e sono divisi in cinque atti che ricalcano la progressione jo-ha-kyû tipica del teatro :

  • il primo atto funge da prologo (jo);
  • durante il secondo, terzo e quarto atto (ha) si svolge lo scontro tra i due protagonisti in cui inizialmente il "malvagio" ha la meglio e opprime il "buono" ma a poco a poco le posizioni si ribaltano; l'apice della tragedia è raggiunto alla fine del terzo atto (san no kiri) che solitamente è la "scena madre" che strappa le lacrime agli spettatori;
  • il quinto atto è la conclusione (kyû) in cui si assiste al trionfo finale dell'eroe positivo.

Anche i sewamono sono basati su una successione drammatica simile (antefatto - apice del dramma - risoluzione) che però solitamente è divisa in due o tre atti.

Nel seguito le varie opere sono riportate in ordine cronologico piuttosto che alfabetico per meglio dare un'idea anche dell'evoluzione storica dei temi trattati.

  Shusse Kagekiyo [Kagekiyo vittorioso]
Sonezaki shinjû [Suicidio d'amore a Sonezaki]
Horikawa nami no tsuzumi [Il tamburo delle onde di Horikawa]
Tanba Yosaku [Yosaku di Tanba]
Shinjû mannensô [Suicidio d'amore nel Tempio delle Donne]
Meido no hikyaku [Il corriere per l'Inferno]
Kokusen'ya kassen [Le battaglie di Coxinga]
Yari no Gonza [Gonza il lanciere]
Nebiki no kadomatsu [Il pino sradicato]
Hakata Kojorô namimakura [Kojorô di Hakata, o l'amore al mare]
Shinjû ten no Amijima [Suicidio d'amore ad Amijima]
Onnagoroshi abura jigoku [L'omicidio di una donna e l'Inferno di olio]
Sugawara denju tenarai kagami [I segreti della calligrafia di Sugawara]
Yoshitsune senbonzakura [Yoshitsune e i mille ciliegi]
Kanadehon Chûshingura [Manuale di calligrafia del Tesoro dei fedeli vassalli]

Nota: questa pagina è piuttosto lunga ed è stata inserita più come riferimento che per essere letta tutta di seguito. Ad una prima lettura del capitolo consiglio pertanto di soffermarsi soltanto sulle trame di alcune opere (ad esempio Kokusen'ya kassen come esempio di jidaimono; Shinjû ten no Amijima come esempio di sewamono; Kanadehon Chûshingura come esempio della produzione posteriore a Chikamatsu Monzaemon) oppure di passare direttamente alla pagina successiva.

Shusse Kagekiyo [Kagekiyo vittorioso]

Prima opera composta da Chikamatsu Monzaemon per Takemoto Gidayû, rappresentata per la prima volta nel 1686. Benché si tratti di un jidaimono dalla trama piuttosto convenzionale, l'attenzione con cui viene delineata la figura di Akoya è del tutto rivoluzionaria per l'epoca e prelude all'introspezione psicologica dei successivi sewamono. Per questo motivo l'opera viene considerata come un punto di svolta nella storia del jôruri e l'anno della sua prima esecuzione viene assunto convenzionalmente da molti musicologi come data del passaggio dal jôruri antico al jôruri moderno.

Atto I
Il guerriero Kagekiyo, congedatosi dalla sua consorte Ono, si reca al tempio Tôdaiji di Nara dove, travestito da operaio, cerca di uccidere il suo mortale nemico Minamoto no Yoritomo. Egli viene però scoperto e riesce a salvarsi solo grazie ai propri poteri magici, sottraendosi volando ai suoi inseguitori.

Atto II
Kagekiyo cerca rifugio presso Akoya, la sua precedente moglie; essa dapprima lo rimprovera per averla abbandonata, ma Kagekiyo le giura di aver sempre amato solo lei e che Ono non rappresenta nulla per lui. Pur dubbiosa e rosa dalla gelosia, Akoya vuole credergli e gli dà rifugio. Il giorno seguente, mentre Kagekiyo si reca al tempio Kiyomizu per chiedere aiuto a Kannon, Akoya riceve una lettera d'amore di Ono per Kagekiyo e da essa capisce che questi le ha mentito. Furente Akoya rivela ai nemici di Kagekiyo dove egli si trovi; essi attaccano il tempio Kiyomizu ma ancora una volta Kagekiyo riesce a fuggire volando.

Atto III

Ono si reca a Kyôto in cerca di Kagekiyo ma viene catturata dagli uomini di Minamoto no Yoritomo e soggetta a terribili torture perché riveli dove si trova il marito. Ono non parla ma Kagekiyo si consegna ai nemici in cambio della libertà dell'amata.

Atto IV
Kagekiyo è in prigione, legato con ceppi e catene per impedirgli la fuga. Akoya, accompagnata dai due figli, viene a trovarlo per chiedergli perdono del suo tradimento ma Kagekiyo la insulta e la respinge. Disperata, Akoya uccide i due bambini e si uccide davanti a suoi occhi. Con uno sforzo terribile Kagekiyo si libera dalle catene e uccide il carceriere ma, ricordandosi che se egli fuggirà i suoi nemici si vendicheranno su Ono, riprende il suo posto nella cella.

Atto V
Kagekiyo è stato decapitato ma la sua testa, esposta in una strada della città di Kyôto, si è miracolosamente trasformata in una testa di Kannon; si scopre anche che la statua di Kannon del tempio Kiyomizu sanguina e manca della testa. È chiaro che Kagekiyo è stato salvato dal miracoloso intervento della divinità a cui era devoto. Yoritomo, impressionato dal miracolo, si riconcilia con Kagekiyo e lo nomina suo vassallo, facendolo signore di una provincia.

Sonezaki shinjû [Suicidio d'amore a Sonezaki]

Opera composta da Chikamatsu Monzaemon e rappresentata per la prima volta il 20 giugno 1703 dalla compagnia di Takemoto Gidayû. Si tratta del primo esempio di sewamono all'interno del jôruri; è basato su un caso di shinjû realmente accaduto il mese precedente alla rappresentazione.

Scena I
Il giovane Tokubei lavora presso un mercante di soya di Ôsaka ed è innamorato di Ohatsu, una prostituta di una casa di piacere. Nonostante il mestiere di lei, l'amore del giovane è ricambiato e i due si considerano promessi sposi. Per questo motivo Tokubei ha rifiutato l'offerta del suo datore di lavoro di sposare la nipote di lui e di iniziare un'attività in proprio. Tuttavia la madre adottiva di Tokubei, all'insaputa del figlio, ha accettato la proposta di matrimonio e ritirato la somma pattuita per la dote. Tokubei però persiste nel suo rifiuto e per questo motivo litiga con il padrone che lo scaccia, chiedendo la restituzione della dote. Tokubei riesce a stento a convincere la madre a restituirgli il denaro ma, prima di renderlo al padrone, lo presta all'amico Kuheiji, un mercante di olio, che dice di averne bisogno disperato solo per pochi giorni.
Tuttavia Kuheiji, al momento di restituire i soldi, nega di averli mai presi a prestito e anzi accusa Tokubei di aver falsificato la ricevuta che questi esibisce. Infatti Kuheiji aveva usato per autenticare la ricevuta un sigillo che pochi giorni prima aveva denunciato come scomparso alle autorità; Tokubei passa quindi per truffatore e viene malmenato dai compagni di Kuheiji.

Scena II
Tokubei va a trovare l'amata Ohatsu alla casa di piacere in cui essa lavora: è disperato per il disonore di essere considerato un truffatore e perché non sa come restituire i soldi al padrone. Nel frattempo giungono alcuni clienti ed egli si nasconde sotto il piano rialzato della veranda, nascosto dai vestiti di Ohatsu. Tra i clienti c'è anche Kuheiji che ripete le sue accuse contro Tokubei, a cui però Ohatsu dice di non credere. Nella conversazione Ohatsu afferma che se Tokubei decidesse di suicidarsi per sfuggire al disonore, ella lo seguirebbe; Tokubei toccandole il piede di nascosto le fa capire che è d'accordo.

Scena III
Durante la notte Tokubei e Ohatsu escono di nascosto dalla casa di piacere e si recano nel bosco del santuario di Sonezaki per attuare il loro proposito (michiyuki). Dopo una scena d'addio disperata in cui i due ricordano le proprie sventure e si giurano eterno amore, Tokubei pugnala Ohatsu e si uccide.

Horikawa nami no tsuzumi [Il tamburo delle onde di Horikawa]

Brano di gidayûbushi su testo di Chikamatsu Monzaemon, rappresentato per la prima volta il 18 marzo 1706. Si tratta di un sewamono basato su fatti realmente accaduti l'anno precedente, modificati solo leggermente per esigenze drammatiche (anche i nomi dei protagonisti sono conservati quasi invariati).

Atto I, scena 1
Mentre il samurai Hikokurô è a Edo durante l'anno di servizio del suo signore presso lo shôgun, sua moglie Otane è rimasta sola nella sua casa a Tottori. Suo figlio Bunroku studia il tamburo con il maestro Gen'emon; finita la lezione, Otane intrattiene Gen'emon ma beve troppo sake. Mentre Gen'emon si ritira nella stanza accanto giunge Yukaemon, un samurai da tempo innamorato di Otane e minaccia di ucciderla se non si concederà a lui. Otane finge di cedergli per guadagnare tempo ma Gen'emon, sentendo la conversazione dall'altra stanza, crede che i due siano veramente amanti. Yukaemon se ne va e Otane, spaventata e ubriaca, seduce Gen'emon nel tentativo di farlo tacere su quanto ha udito.

Atto I, scena 2
Otane e Gen'emon si risvegliano e sono entrambi atterriti dalla colpa commessa; giunge però Yukaemon e, scoprendo i due sul fatto, si sente raggirato.

Atto II, scena 1
Dopo quattro mesi, il daimyô di Tottori ritorna da Edo; nel suo corteo c'è anche Hikokurô.

Atto II, scena 2

Malgrado la voce del tradimento di Otane si sia sparsa in tutto il feudo, Hikokurô ne è ancora all'oscuro. Mentre Hikokurô era a Edo Ofuji, la sorella minore di Otane, gli aveva spedito lettere per chiedergli di divorziare da Otane e sposare lei, ma Hikokurô aveva rifiutato con sdegno. Anche ora cerca di fargli avere una lettera dello stesso tono, ma la missiva è intercettata da Otane che va su tutte le furie e comincia a battere la sorella. Ofuji però le spiega in segreto di aver agito unicamente nell'interesse di lei: infatti se Hikokurô l'avesse ripudiata non avrebbe potuto punirla per il figlio illegittimo che essa avrebbe presto partorito. Ma è troppo tardi: giunge Yura, la sorella di Hikokurô, e accusa pubblicamente Otane di adulterio. Otane, incinta, non può che ammettere la propria colpa e, estratto un pugnale, se lo pianta nel petto. Hikokurô le dà il colpo di grazia come si addice a un samurai, ma è disperato.

Atto III

Hikokurô, Bunroku, Yura e Ofuji vengono a sapere che Gen'emon è tornato alla sua abitazione a Kyôto e vi si recano per vendicarsi. Dapprima sono trattenuti nella loro impresa da alcuni presagi contrari ma in seguito altri presagi favorevoli li inducono a continuare. Hikokurô si traveste da bonzo e fingendo di chiedere l'elemosina controlla la situazione in casa di Gen'emon. La casa è piena di soldati, la scorta di un samurai che è venuto per ringraziare Gen'emon per le lezioni di tamburo ricevute. Con uno stratagemma Hikokurô allontana la compagnia e i quattro irrompono nella casa: Gen'emon si difende accanitamente ma alla fine è ucciso.
Tanba Yosaku [Yosaku di Tanba]

Opera composta da Chikamatsu Monzaemon e rappresentata per la prima volta nel 1708. È un sewamono basato sul testo di una ballata popolare della fine del XVII secolo.

Atto I
La figlia del daimyô di Tanba, ancora bambina, è stata promessa in sposa a un nobile di Edo e sta per partire per raggiungere il futuro marito. Il corteo è già pronto ma la bambina fa un capriccio e dice di non voler partire. Le dame della scorta non sanno come fare finché una di esse non trova Sankichi, un ragazzo che fa il conduttore di cavalli, che sta giocando al "gioco della mappa" (una specie di gioco dell'oca in cui le caselle rappresentano le tappe del Tôkaidô). Sankichi fa giocare la principessa che si appassiona e acconsente a partire. Shigenoi, la governante della principessa, vuole ricompensare Sankichi e scopre che egli in realtà è suo figlio Yonosuke, nato quando essa era moglie del samurai Date no Yosaku, che era stato scacciato dal servizio del daimyô per una grave mancanza. Shigenoi aveva quindi dovuto abbandonare anche il figlio, affidandolo alle cure di una conoscente; alla morte di questa egli era diventato conduttore di cavalli per guadagnarsi da vivere.

Atto II
In una locanda della città di Seki, lungo il percorso del Tôkaidô, tre prostitute parlano tra di loro, lamentandosi della propria condizione. Una di esse, Koman, è l'amante di Yosaku, che ora lavora come conduttore di cavalli e conduce una vita sregolata tra gioco d'azzardo, risse e prostitute. Giunge Yosaku con un cliente e racconta le sue ultime ingloriose vicissitudini, manifestando tutta l'abiezione a cui si è ridotto quello che un tempo era un nobile samurai. Egli ha perso una forte somma con Hachizô e, non potendo pagarlo, ha promesso di dargli il cavallo del proprio datore di lavoro. Quando però Hachizô si presenta per riscuotere il suo credito, Yosaku non vuole pagarlo; tra i due nasce una accesa lite. Koman, per salvare Yosaku da una denuncia, consegna a Hachizô la somma di denaro che essa aveva faticosamente messo da parte per riscattare il padre, ora in prigione per non aver pagato le tasse.
Nella locanda giunge anche Sankichi; Yosaku non sa che si tratta di suo figlio (che egli non vede da quando era in fasce) e lo spinge a commettere un furto ai danni di una comitiva che è da poco giunta nella locanda attigua. Sankichi viene però scoperto e arrestato; anche Hachizô lo insulta e lo percuote a sangue. La comitiva a cui Sankichi ha rubato è il corteo della principessa con cui Sankichi aveva giocato; Shigenoi riconosce il proprio figlio e intercede presso le guardie in modo che Sankichi venga liberato. Tuttavia Sankichi attacca Hachizô e lo uccide: egli è dunque nuovamente catturato e condannato a morte.
Yosaku, sentendo che Sankichi sarà giustiziato per causa sua, sopraffatto dalla vergogna e dal rimorso decide di suicidarsi; anche Koman disperata vuole seguirlo.

Atto III

Yosaku e Koman, lamentandosi della propria condizione e sopraffatti dalla vergogna, arrivano in un bosco presso il santuario di Ise per suicidarsi (michiyuki). Mentre stanno per trafiggersi con un pugnale sono raggiunti e fermati da un gruppo di samurai. Infatti la principessa ha scoperto la vera identità di Yosaku e di Sankichi e ha deciso di perdonarli, riprendendo Yosaku al proprio servizio. I due si riuniscono quindi a Shigenoi ricomponendo la famiglia, mentre anche Koman viene accolta a corte.

Shinjû mannensô [Suicidio d'amore nel Tempio delle Donne]

Opera (di tipo sewamono) composta da Chikamatsu Monzaemon e rappresentata per la prima volta il 4 giugno 1708.

Il titolo significa letteralmente "Il Suicidio d'amore dell'erba mannen". L'erba mannen [lett. "dei diecimila anni"] è una pianta che cresce sul Monte Kôya e che si credeva avesse proprietà divinatorie: immergendo le sue foglie secche nell'acqua e osservandone il comportamento si poteva dire se una persona fosse viva o morta. Il nome della pianta compare nel titolo perché questo è il metodo usato da Satsu (seconda scena del terzo atto) per sapere come sta il fratello Kumenosuke.

Atto I
Kumenosuke, un novizio del tempio Kichijô sul Monte Kôya, è segretamente amante di Oume. Un giorno Kyûbei, un conoscente della ragazza, gli porta la notizia che i genitori di lei hanno deciso di darla in sposa a un mercante di Kyôto; Oume chiede quindi a Kumenosuke di giungere al più presto per evitarle il matrimonio indesiderato. Kyûbei consegna a Kumenosuke una lettera d'amore da parte di Oume e una lettera falsificata per il priore del tempio: si tratta di una richiesta da parte del padre di Kumenosuke di rivedere il figlio per una questione urgente che in realtà è stata scritta da Oume per far ottenere a Kumenosuke il permesso di allontanarsi. Per errore le due lettere vengono scambiate. Il priore viene così a sapere della relazione peccaminosa di Kumenosuke e lo scaccia: il giovane potrà ritornare al tempio solo se rinuncerà per sempre al legame con Oume.

Atto II
In casa di Oume fervono i preparativi per il matrimonio, che deve tenersi la sera stessa. Il padre Yojiemon è soddisfatto e di ottimo umore mentre Oume è disperata pur cercando di nascondere i suoi veri sentimenti. Giungono Kumenosuke e Kyûbei; quest'ultimo cerca di convincere Yojiemon a rompere gli accordi di matrimonio e dare Oume in moglie a Kumenosuke ma il padre della ragazza non ne vuole sapere, anche perché il promesso sposo Sakuemon non chiede nessuna dote e anzi ha anticipato una grossa somma di denaro a Yojiemon. Kumenosuke e Oume si appartano nella stanza preparata per essere la stanza nuziale e si abbandonano a effusioni. Nella casa irrompe Sakuemon, infuriato per aver saputo dai monaci del monte Kôya che da parecchi anni Kumenosuke è amante di Oume. I genitori di Oume cercano di convincerlo a non mandare a monte il matrimonio ma Sakuemon si placa solo alla vista di Oume. Inizia quindi il banchetto matrimoniale ma Kumenosuke è rimasto bloccato nella stanza nuziale, che non può abbandonare senza essere visto da Sakuemon: quando i due sposi vi entrano per bere il sake rituale e iniziare la loro prima notte da marito e moglie, Kumenosuke si nasconde sotto una coperta. Per far fuggire Kumenosuke ed evitare uno scandalo, i genitori di Oume spengono tutte le luci; la madre di Oume in silenzio accompagna Kumenosuke fuori dalla casa ma, nel buio completo, non si accorge che anche la figlia, invece di rimanere con il marito, sta fuggendo con l'amante.

Atto III, scena 1
(michiyuki) Nella notte Kumenosuke e Oume si avviano verso il Tempio delle Donne per suicidarsi. I loro sentimenti passano alternativamente dal conforto di essere insieme alla tristezza per la propria condizione, al senso di colpa verso i genitori, alla consolazione religiosa e al timore per la vita nell'aldilà.

Atto III, scena 2
I due amanti incontrano Satsu, sorella di Kumenosuke, che nel buio non riconosce il fratello. Satsu dice di star cercando Kumenosuke per consegnargli le ceneri di loro padre, morto la settimana prima, ma di non averlo trovato al tempio Kichijô e di aver avuto il presagio che sia morto. Il fratello, senza farsi riconoscere, dice di venire dal villaggio dove si trova Kumenosuke e le conferma che questi sta molto male e che probabilmente non vedrà la luce dell'alba. Separatisi da Satsu, i due amanti salgono al Tempio delle Donne. Oume si inginocchia e ha un ultimo pensiero per sua madre mentre Kumenosuke la pugnala invocando il Buddha. Satsu, attirata dai lamenti di Oume, assiste alla scena e fugge lasciando l'urna delle ceneri del padre. Kumenosuke rende omaggio alle spoglie paterne e si sgozza sopra il corpo di Oume. Meido no hikyaku [Il corriere per l'Inferno]

Opera composta da Chikamatsu Monzaemon e rappresentata per la prima volta il 22 aprile 1711. Si tratta di un sewamono probabilmente basato su fatti realmente accaduti, anche se per noi sconosciuti.

Atto I
Chûbei, un giovane di Ôsaka, è titolare di un servizio di corriere che trasporta documenti e denaro per conto dei suoi clienti. Egli è innamorato di Umegawa, una prostituta di basso rango. Quando il padrone del bordello dove Umegawa lavora decide di venderla a un cliente della provincia, Chûbei è disperato e si accorda per riscattarla egli stesso; tuttavia egli non ha soldi e per poter pagare un acconto della somma del riscatto non trova altro modo che usare del denaro che era stato spedito da Edo e che egli avrebbe dovuto consegnare a Hachiemon, suo cliente e amico. Quando Hachiemon, spazientito per il ritardo nella consegna, lo mette alle strette, Chûbei gli confessa il suo furto e Hachiemon concede a Chûbei ancora un po' di tempo per recuperare quanto gli deve.
Nella notte giunge a Chûbei un corriere con una forte somma di denaro indirizzata a un daimyô; Chûbei si avvia per consegnarla al destinatario ma i suoi passi, quasi contro la sua volontà, si dirigono invece verso il quartiere di piacere di Shinmachi dove si trova Umegawa.

Atto II
In una casa di piacere di Shinmachi, Umegawa e altre prostitute discorrono insieme lamentandosi della propria condizione. Per consolarsi Umegawa intona un brano di jôruri, il lamento di una prostituta che a causa del proprio lavoro non può congiungersi all'uomo che ama. Dalla strada Hachiemon sente le loro voci ed entra nel bordello; due prostitute si fanno avanti per accoglierlo mentre Umegawa rimane nascosta in camera sua, fingendo di essere assente. Giunge anche Chûbei ma, non volendo incontrare Hachiemon, si tiene nascosto. Hachiemon rivela alle prostitute che i soldi che Chûbei ha usato per pagare l'acconto del riscatto di Umegawa sono stati sottratti a lui; parla di Chûbei come di un truffatore e prevede che presto finirà sulla forca. Umegawa sente tutto dalla sua stanza ed è disperata. Chûbei non sopporta di sentirsi così insultato pubblicamente: irrompe nella stanza e restituisce il denaro a Hachiemon togliendolo dal pacco destinato al daimyô. Hachiemon sospetta che il denaro non sia di proprietà di Chûbei e non vorrebbe accettarlo ma Chûbei insiste e anzi consegna la rimanenza del denaro del daimyô alla tenutaria del bordello come saldo del riscatto di Umegawa e chiede che questa possa seguirlo immediatamente. Umegawa prepara i suoi bagagli raggiante ma Chûbei le confessa la provenienza del denaro e dice che con questo gesto egli ha firmato la propria condanna a morte. I due decidono di fuggire e di vivere insieme come sposi fino a quando l'inevitabile punizione non li raggiungerà.

Atto III, scena 1
(michiyuki) Chûbei e Umegawa fuggono da Ôsaka, muovendosi di notte per sfuggire alle guardie e alle spie che li stanno cercando. Durante il viaggio parlano della loro tragica situazione e ricordano con nostalgia e tenerezza l'epoca del loro primo incontro e innamoramento.

Atto III, scena 2
Dopo due settimane di peregrinazioni i due amanti giungono nel paese natale di Chûbei; essi passano accanto alla casa del padre di Chûbei ma non osano entrarvi per paura che sia sorvegliata. Si recano invece da Chûzaburô, un vecchio mezzadro della famiglia di cui Chûbei si fida; nella casa trovano però solo la nuova moglie di Chûzaburô, che Chûbei non conosce. I due apprendono da lei che la notizia furto di Chûbei e della sua fuga con una prostituta sono giunti fino al villaggio e che i due sono ricercati. Chûbei quindi non rivela la propria identità ma dice di essere un vecchio amico di Chûzaburô passato per salutarlo durante un viaggio e prega la donna di andarlo a chiamare.
Rimasti soli, i due osservano di nascosto la processione degli abitanti del paese che si dirige al tempio per una funzione religiosa. Tra di essi vi è anche Magoemon, il vecchio padre di Chûbei, che passando davanti a loro inciampa e cade nel fango. Presa dall'affetto per quello che ormai considera suo suocero, Umegawa esce allo scoperto aiutandolo a rialzarsi e a pulirsi. L'atto di pietà commuove Magoemon che, parlando con Umegawa, le confida di essere in pensiero per la sorte del figlio ricercato e che egli ama ancora nonostante il delitto commesso. Dalle risposte di Umegawa Magoemon intuisce di trovarsi di fronte alla compagna del figlio, le dà del denaro e le consiglia di allontanarsi al più presto per non essere catturati. Ma ormai è troppo tardi: il villaggio è setacciato dalle guardie. Chûbei e Umegawa non riescono a fuggire e sono catturati. Chûbei, prigioniero e legato, dà un ultimo addio al padre disperato.

Kokusen'ya kassen [Le battaglie di Coxinga]

Dramma storico (jidaimono) composto da Chikamatsu Monzaemon e rappresentata per la prima volta il 26 novembre 1715. L'opera ottenne subito un enorme successo, tanto che fu rappresentata ininterrottamente per ben 17 mesi.
È notevole osservare come tutta l'opera sia pervasa da un forte sentimento di orgoglio nazionale; le imprese eroiche di Coxinga sono spesso interpretate come una dimostrazione delle superiori qualità del popolo giapponese, in grado di misurarsi alla pari (o addirittura di vincere) con i più potenti e prestigiosi reami del continente. Le parole conclusive dell'ultimo atto sono:

«Essi [Coxinga, Kanki e Go Sankei] augurano all'Imperatore Eiryaku un regno di diecimila anni e pregano per la pace e la prosperità della nazione [la Cina]. Essi devono questa gioia alle virtù divine, militari e sacre dell'Imperatore del Grande Giappone, una terra a cui sono state accordate in eterno queste benedizioni e che prospererà in eterno assieme al suo popolo.»

Atto I, scena 1
La scena si svolge in Cina alla corte di Shisôretsu, diciassettesimo imperatore della dinastia Ming. Kasei, la moglie prediletta dell'Imperatore, è incinta e sta per partorire. La corte è in gran fermento e l'Imperatore, non più giovane e ancora privo di eredi, è raggiante.
Nel frattempo giunge a corte Bairoku, ambasciatore del re dei Tartari Junji, popolo con cui la Cina ha sempre avuto rapporti di ostilità se non di aperto conflitto. Bairoku chiede che l'Imperatore ceda sua moglie Kasei perché diventi la concubina del re dei Tartari. L'Imperatore è esterefatto dalla sfrontatezza di questa richiesta ma il suo ministro Ri Tôten rivela che alcuni anni prima, mentre la Cina era prostrata da una grave carestia, egli aveva ottenuto dai Tartari una grossa fornitura di cereali; in cambio di questo aiuto egli aveva promesso che avrebbe dato al re dei Tartari qualsiasi cosa avesse chiesto. L'Imperatore dice di non si sentirsi impegnato da una promessa fatta a sua insaputa da un suo sottoposto; perciò rimprovera Ri Tôten e ordina di scacciare l'emissario tartaro, che si appresta a partire minacciando una guerra. Tuttavia Ri Tôten dichiara di aver agito unicamente nell'interesse della nazione e per dimostrare la propria buona fede si cava con un coltello l'occhio sinistro e lo offre a Bairoku come omaggio per il re dei Tartari. Questo atto di coraggio placa l'ira di Bairoku che parte rinunciando a ogni proposito di guerra.

Atto I, scena 2
L'Imperatore Shisôretsu comunica alla sorella minore Sendan di averla promessa in sposa a Ri Tôten, che egli giudica un ministro leale. Poiché la principessa è restia ad accettare, l'Imperatore le propone di risolvere la questione attraverso una singolare battaglia tra due gruppi di dame di corte, che si affrontano a colpi di rami fioriti. La principessa non può fare a meno di accettare e, come prevedibile, il combattimento floreale si risolve a suo sfavore.
In quel momento irrompe negli appartamenti reali il ministro Go Sankei, che rimprovera l'Imperatore per la sua condotta infantile e per la sua trascuratezza nel condurre gli affari di stato: infatti egli non si è accorto che Ri Tôten sta tramando contro di lui per consegnare la Cina al re dei Tartari. L'Imperatore non crede a Go Sankei e lo accusa di essere invidioso di Ri Tôten. Tuttavia proprio in quel momento i timori di Go Sankei si dimostrano fondati: il palazzo imperiale viene attaccato da orde di Tartari, guidati da Bairoku e Ri Tôten. Mentre Go Sankei tenta inutilmente di organizzare la difesa, l'Imperatore viene ucciso e decapitato da Ri Tôten. Go Sankei riesce a malapena a portare in salvo il proprio figlio neonato e l'Imperatrice incinta mentre Ryûkaku, moglie di Go Sankei, fugge con la principessa Sendan.

Atto I, scena 3
Go Sankei e Kasei raggiungono la costa ma l'Imperatrice è colpita da un proiettile nemico e muore. Go Sankei le incide il ventre con la spada e fa nascere il bambino. Per far credere ai nemici che l'erede imperiale sia morto e far loro interrompere l'inseguimento, uccide il proprio figlio e lo pone nel ventre dell'Imperatrice. Quindi fugge portando in salvo il vero erede al trono.
Intanto Ryûkaku conduce la principessa Sendan in riva al mare, la carica su una barca e la affida alle onde. Mentre Sendan si allontana in mare aperto Ryûkaku tiene a bada una moltitudine di nemici mulinando due spade, ma alla fine è sopraffatta e soccombe.

Atto II, scena 1

A Hirado, piccola isola del Giappone a ovest di Kyûshû, vive Tei Shiryû, ex-consigliere dell'Imperatore cinese che è stato esiliato per aver rimproverato l'Imperatore per la sua condotta dissoluta e per averlo messo in guardia dalle trame di ministri infedeli. Tei Shiryû ha preso il nuovo nome di Ikkan e ha sposato una donna giapponese da cui ha avuto un figlio, Watônai, che ora ha vent'anni. La famiglia si guadagna da vivere pescando e raccogliendo conchiglie sulla spiaggia.
Nella descrizione dell'attività di raccolta di conchiglie è inserito un kaizukushi, un canto basato sull'enumerazione di diversi tipi di conchiglie con doppi sensi erotici (una versione differente di kaizukushi è inclusa anche nel testo di Enoshima no kyoku, brano di sôkyoku di Yamada Kengyô).Un giorno Watônai, mentre sta raccogliendo conchiglie sulla spiaggia insieme alla moglie Komutsu, assiste a una scena inconsueta. Un beccaccino, approfittando di un momento di distrazione di una conchiglia che era rimasta con le valve aperte, vi introduce il becco per mangiarla. La conchiglia però chiude le valve e imprigiona l'uccello; in questo modo i due animali sono prigionieri l'uno dell'altro e sarebbe facile per chiunque catturarli entrambi. Watônai interpreta questo fatto come una lezione di tattica militare: ora che il regno dei Tartari ha attaccato la Cina approfittando della disattenzione del suo Imperatore e i due paesi stanno combattendosi a vicenda, sarebbe molto facile conquistarli entrambi.
In quel mentre giunge sulla spiaggia l'imbarcazione della principessa Sendan che disperata racconta a Watônai il tradimento di Ri Tôten, l'uccisione dell'Imperatore e la sua stessa fuga per mare. La famiglia di Ikkan si sente ancora legata da vincoli di fedeltà con la corte Ming: perciò Watônai affida la principessa alla moglie Komutsu e si imbarca per la Cina con l'intenzione di raccogliere un esercito e di combattere contro Ri Tôten e i Tartari. Anche Ikkan e la sua vecchia moglie decidono di raggiungere la Cina per un'altra via e danno appuntamento a Watônai alla Foresta di Bambù delle Mille Leghe in Cina.

Atto II, scena 2
Watônai raggiunge la Foresta di Bambù delle Mille Leghe e vi incontra i genitori. Ikkan decide di chiedere aiuto a una sua figlia che egli, partendo per l'esilio, aveva lasciato in Cina e che ora è sposa del principe Kanki. I tre decidono di dividersi per meglio passare inosservati e si danno appuntamento alla Montagna Rossa, vicino al castello di Kanki. Ikkan parte per conto suo mentre Watônai, portando sulle spalle la vecchia madre, entra nella Foresta di Bambù. I due incontrano una tigre ferocissima che Watônai doma dopo un furioso combattimento corpo a corpo e grazie al potere magico di un amuleto datogli dalla madre. Sopraggiunge un gruppo di guerrieri che stava dando la caccia alla tigre; il loro comandante è un ufficiale di Ri Tôten e ordina a Watônai di consegnargli la bestia, che egli vuole offrire come omaggio al re dei Tartari, ma Watônai rifiuta e viene attaccato dai soldati. Mentre la tigre, resa invincibile dall'amuleto, protegge la madre e disarma i soldati, Watônai combatte accanitamente con il comandante e alla fine lo uccide, sollevandolo di peso e scagliandolo contro una roccia dove si sfracella. I soldati chiedono perdono a Watônai e accettano di passare al suo servizio. Watônai e la madre li rasano alla moda giapponese e impongono loro nomi giapponesi.

Atto III, scena 1

Watônai e la madre si ritrovano con Ikkan e giungono alla residenza di Kanki, un grande castello munito di formidabili difese. Essi chiedono di poter parlare con Kanki ma viene loro risposto che questi è assente perché è stato convocato dal re dei Tartari, ora signore del paese. I soldati del forte vorrebbero uccidere i forestieri ma sono trattenuti da Kinshôjo, la moglie di Kanki. Ikkan rivela a Kinshôjo di essere suo padre e chiede di poterle parlare in privato ma il comandante della guarnigione, obbedendo a un ordine del re dei Tartari, non permette l'accesso alla fortezza a nessuno sconosciuto. Alla fine viene accordato il permesso di entrare solo alla vecchia madre di Watônai, ma solo se accetterà di essere legata come una prigioniera.

Atto III, scena 2
La madre di Watônai, legata per ordine delle guardie, viene ammessa nella fortezza e trattata con grande rispetto da Kinshôjo. Intanto ritorna il principe Kanki che racconta alla moglie di essere stato ricevuto dal re dei Tartari che lo ha nominato generale della cavalleria. La madre di Watônai spiega a Kanki che Watônai è venuto in Cina per combattere i Tartari e restaurare la dinastia Ming e chiede a Kanki di passare dalla sua parte. Kanki dice che vorrebbe accettare ma che il suo senso dell'onore gli impone di uccidere prima sua moglie Kinshôjo perché non sembri che egli si è unito a Watônai dietro pressione di lei. Poiché la madre di Watônai si oppone a questo sacrificio, proteggendo Kinshôjo con il proprio corpo, Kanki dichiara che egli sarà nemico di Watônai. Con un segnale convenuto, Kinshôjo informa Watônai della decisione presa da Kanki. Watônai, preoccupato per la sorte della madre, si arrampica sulle mura del castello, raggiunge la madre e la libera dalle funi. Watônai e Kanki stanno per iniziare un duello quando Kinshôjo, per risolvere la situazione, si uccide davanti ai loro occhi. Kanki è libero di aderire alla causa di Watônai e lo nomina suo principe, assegnandogli il nome cinese di Coxinga. La madre di Watônai/Coxinga non ritiene onorevole sopravvivere alla figlia e si uccide anch'essa. Coxinga giura davanti alla madre morente di portare a termine la propria missione.
Gli eventi narrati in questa scena sono guidati da un senso del dovere che a noi appare assurdo e fuori luogo e che certo doveva sembrare estremo anche ai contemporanei di Chikamatsu. Prima di tutto il comportamento di Kanki potrebbe a ragione essere ritenuto un doppio tradimento (prima un tradimento del sovrano Ming nell'accettare l'investitura del re dei Tartari e poi un tradimento di quest'ultimo nel passare dalla parte di Coxinga). Di fronte a questi passaggi di campo ci sembra del tutto irrilevante se essi siano stati ispirati o meno da Kinshôjo; invece sembra che sia proprio questa circostanza a preoccupare Kanki, al punto di voler uccidere la moglie pur di non apparire come manovrato da essa. Accettata questa premessa, il sacrificio di Kinshôjo certo appare come un gesto eroico, ma ugualmente si fa fatica a comprendere la necessità del suicidio della madre di Coxinga.
Esempi di azioni dettate da un senso dell'onore estremo e (secondo la nostra mentalità) incomprensibile sono frequenti nelle trame dei drammi di Chikamatsu Monzaemon e più in generale nel bunraku (si veda al proposito l'introduzione di Donald Keene alla raccolta Major plays of Chikamatsu, pagg. 33 - 35).

Atto IV, scena 1
Komutsu, la moglie di Watônai rimasta in Giappone, si esercita tutti i giorni nell'uso della spada. Avendo saputo che Watônai è diventato il principe Coxinga ed è a capo di un esercito, è impaziente di raggiungerlo; confortata da un presagio favorevole, decide di partire per la Cina insieme alla principessa Sendan.

Atto IV, scena 2

Aiutate da un misterioso ragazzo (in realtà una divinità del tempio di Sumiyoshi) che offre loro un passaggio sulla sua barca, Komutsu e Sendan raggiungono in breve tempo la Cina.

Atto IV, scena 3

Dal giorno della sua fuga dopo il crollo della dinastia Ming, Go Sankei ha vagato per tutta la Cina prendendosi cura dell'erede imperiale e nascondendolo ai nemici. Dopo due anni di peregrinazioni egli giunge alla Montagna dei Nove Immortali dove incontra due anziani saggi che stanno giocando a go. Essi gli rivelano che, per chi sa ben guardare, le mosse della partita che stanno conducendo rappresentano le vicende della storia della Cina. Go Sankei si concentra e ha la visione delle battaglie vittoriose che Coxinga sta conducendo contro i Tartari. Riprendendosi egli si accorge che nel frattempo sono passati cinque anni, egli è invecchiato e l'erede imperiale ha ormai sette anni. I vecchi gli rivelano la propria vera identità: essi sono il primo imperatore Ming e il suo fedele ministro Lin Chi, ora abitanti della Luna.
Sulla montagna giungono anche Ikkan e la principessa Sendan, che gli raccontano le proprie precedenti avventure e come siano giunti fino a lì. I quattro sono però scoperti dal generale tartaro Bairoku, che dà loro la caccia con un grosso esercito. Intrappolati sull'orlo di un dirupo, i quattro invocano i due saggi della montagna e le divinità del Giappone, che fanno apparire un magico ponte di nuvole su cui essi attraversano il precipizio. I soldati di Bairoku cercano di inseguirli ma, quando si trovano a metà del ponte, questo si dissolve ed essi precipitano nel baratro. Di essi si salva solo Bairoku, ma Go Sankei lo uccide spaccandogli la testa con la pesante tavola del go.

Atto V, scena 1
Le truppe di Coxinga sono giunte presso la città di Nankino, capitale del re dei Tartari. Nell'accampamento Coxinga discute con i suoi generali Go Sankei e Kanki gli stratagemmi migliori per sbaragliare i nemici senza subire grosse perdite. I suoi generali gli propongono di usare sciami di vespe o cibo avvelenato ma Coxinga si sente obbligato ad affrontare i nemici direttamente a causa del giuramento fatto alla madre morente.
Giunge intanto una lettera da parte di Ikkan, che comunica di essere andato sotto le mura di Nankino per trovarvi una morte gloriosa. Coxinga, Go Sankei e Kanki rompono ogni indugio e si precipitano in aiuto di Ikkan.

Atto V, scena 2
Sotto le mura di Nankino, Ikkan lancia una sfida a Ri Tôten ma è circondato da una moltitudine di nemici e catturato. Mentre le truppe di Coxinga, guidate da Komutsu, circondano la città, Coxinga sfida i nemici e a mani nude, senza usare la spada, uccide chiunque gli si avvicini. Compare Ri Tôten che conduce Ikkan, prigioniero e legato, e minaccia di ucciderlo se Coxinga non desisterà dall'attacco e tornerà immediatamente in Giappone. Ikkan esorta il figlio a non curarsi della sua vita e a continuare la lotta, ma Coxinga appare sbigottito e paralizzato. Kanki e Go Sankei si presentano al re dei Tartari e chiedono di poter passare sotto il suo comando, poiché Coxinga sembra aver perso tutto il suo coraggio ed è sul punto di essere sconfitto. Il re accetta contento la loro offerta, ma si tratta solo di uno stratagemma: i due balzano sul re e lo immobilizzano mentre Coxinga prontamente libera il padre.
Ormai la guerra è vinta: il re dei Tartari viene frustato a sangue e scacciato mentre Ri Tôten viene ucciso da Coxinga, Kanki e Go Sankei che con tre colpi di spada gli tagliano contemporaneamente le braccia e la testa. Il giovane erede della dinastia Ming è acclamato Imperatore della Cina con il nome di Eiryaku.

Yari no Gonza [Gonza il lanciere]

Brano di gidayûbushi su testo di Chikamatsu Monzaemon, rappresentato per la prima volta il 26 settembre 1717. La vicenda è basata su fatti accaduti realmente un mese e mezzo prima della rappresentazione ma i nomi dei personaggi sono stati cambiati; il nome "Gonza" è tratto da una ballata popolare famosa all'epoca ("Gonza il lanciere è un baldo giovane, si, Gonza è veramente bello") che viene citata a più riprese nel dramma.

Atto I, scena 1
Gonza, un giovane e baldanzoso samurai, molto abile nelle arti marziali e conteso dalle fanciulle per la sua bellezza, sta allenando il suo cavallo su un campo di corsa. Viene avvicinato da Oyuki, sorella del samurai Bannojô e sua promessa sposa in segreto, che gli rinfaccia di non aver risposto alle sue lettere e di non aver più dato notizie di sé da parecchi mesi. Gonza le assicura che i suoi sentimenti verso di lei non sono cambiati; tuttavia egli esita a chiedere ufficialmente la mano di Oyuki al fratello Bannojô per timore di un rifiuto e dice che vuole cercare un abile intermediario che possa concludere felicemente la trattativa.
Giunge Bannojô e Oyuki si ritira frettolosamente per non svelare prematuramente la propria relazione. Bannojô è molto invidioso del successo di Gonza; arrogantemente lo sfida a una gara di corsa a cavallo ma la perde e poco cavallerescamente si adira per la sconfitta subita.
Nel frattempo giunge Chûtabei, un ufficiale del daimyô; egli spiega che il suo signore, in occasione del matrimonio del figlio, vuole tenere una cerimonia del tè in forma solenne. Poiché Gonza e Bannojô stanno studiando da anni l'arte della cerimonia del tè con il grande maestro Ichinoshin, uno dei due sarà scelto per il prestigioso incarico. Poiché Ichinoshin attualmente si trova in servizio a Edo, la scelta tra i due verrà fatta da Osai, figlia di Chûtabei e moglie di Ichinoshin.

Atto I, scena 2
Nella casa di Ichinoshin, Osai vanta alla figlia Okiku le grandi qualità del giovane Gonza e dice che farà in modo di darglielo per marito. Dalle parole della madre traspare che essa stessa non è indifferente al fascino del giovane.
Giunge Gonza, che chiede di poter parlare con Chûtabei, padre di Osai. Poiché egli non è in casa, Gonza viene ricevuto direttamente da Osai stessa. Gonza spiega a Osai che vorrebbe celebrare la cerimonia del tè che si terrà per il matrimonio del giovane signore e che per poterlo fare ha necessità di studiare il manoscritto che descrive il rito che è conservato dal maestro Ichinoshin. Osai gli risponde che il manoscritto è segreto e può essere visto solo da un membro della famiglia del maestro. Gli comunica però che già da tempo essa pensava di dargli per moglie la propria figlia Okiku; se egli accetterà entrerà a far parte della famiglia e potrà tra l'altro avere accesso al documento.
Pensando al suo legame con Oyuki, Gonza è turbato dalla proposta e incerto sul da farsi tanto che Osai, vedendo la sua esitazione, gli chiede esplicitamente se egli non sia già impegnato con un'altra donna; Gonza nega e giura solennemente che sposerà Okiku.
Mentre Gonza sta per andarsene giunge una governante dalla casa di Bannojô. Poiché in passato Bannojô aveva cercato di sedurre Osai, essa non vuole ricevere la governante e le fa dire di non essere in casa. La governante spiega a una serva di Osai di essere venuta per chiedere alla padrona di fare da intermediario per il matrimonio tra Gonza e Oyuki, che segretamente sono promessi sposi da tempo. La serva rifiuta la proposta e congeda la governante ma Osai ha udito tutta la conversazione ed è furente con Gonza.
È ormai notte: Osai, rimasta sola nel giardino di casa, sfoga piangendo il proprio dispiacere. Giunge Gonza: trattenendo i propri sentimenti, Osai lo fa entrare e gli mostra il rotolo con le istruzioni segrete per il rito, che Gonza studia a lungo. Giunge di nascosto anche Bannojô, che vuole approfittare dell'assenza di Ichinoshin per sedurre Osai e farsi consegnare il rotolo segreto, pensando così di poter prendere il posto di Gonza nella celebrazione della cerimonia. Egli entra di nascosto in giardino ma si accorge con dispetto che Osai non è sola e crede che essa stia ricevendo un amante.
Intanto Osai non riesce più a trattenere il proprio risentimento e accusa Gonza di averla ingannata, nascondendole di essere già impegnato con Oyuki. Tra i due scoppia una furiosa lite. Bannojô, che ha ascoltato tutta la conversazione e vuole vendicarsi dei due, sottrae a Osai e Gonza due sciarpe che portano ricamati i loro rispettivi stemmi di famiglia e fugge dal giardino urlando di aver sorpreso Osai e Gonza in flagrante adulterio e adducendo le due sciarpe come prova.
Gonza e Osai disperati si rendono conto che, data la situazione in cui si trovano (la presenza di Gonza a notte fonda nella casa di una donna sola, i loro vestiti scompigliati dalla lite, le sciarpe addotte come prova), la menzogna di Bannojô sarà creduta da tutti. Essi quindi decidono di fuggire come se fossero veramente amanti, anche se sono certi di non poter sfuggire alla vendetta di Ichinoshin. Essi si abbracciano e mentre già Jinbei, il fratello di Osai, attirato dalle grida di Bannojô, bussa furiosamente al portone, essi escono dal lato posteriore del giardino.

Atto II, scena 1
(michiyuki) Gonza e Osai fuggono da Matsue verso Fushimi, in preda all'angoscia per il proprio disonore. Osai ricorda con struggimento i propri figli che non potrà più rivedere.

Atto II, scena 2
Dopo alcune settimane Ichinoshin torna a casa da Edo e ordina ai propri servitori di ammassare davanti alla casa di Chûtabei tutti gli arredi del corredo nuziale di Osai, che egli respinge come contaminati dal tradimento della moglie. La madre di Osai è disperata e non riesce a capacitarsi del comportamento della figlia, che precedentemente si era sempre comportata come sposa irreprensibile. Chûtabei dà ordine alla servitù di distruggere e bruciare gli oggetti maledetti; in una cassa vengono trovate Osute e Okiku, le figlie di Osai, disperate e piangenti.
Ichinoshin va a trovare il suocero e lo rassicura che i suoi sentimenti di devozione verso di lui non sono cambiati ma gli dice che il codice d'onore gli impone di restituire le figlie alla famiglia della madre e di uccidere gli adulteri. Chûtabei si scusa di non poter presentare al genero la testa mozzata della figlia; appena saputo del misfatto egli aveva inviato il figlio Jinbei a cercare i fuggiaschi ma non ne aveva più avuto notizia. Entrambi concordano anche sulla necessità di vendicarsi di Bannojô per i suoi tentativi di sedurre Osai e per aver suscitato lo scandalo.
In quel momento giunge Jinbei: egli dice di aver cercato dappertutto Osai e Gonza senza trovarli. Ha invece incontrato Bannojô e lo ha ucciso, e ne mostra al padre la testa mozzata. Quindi Ichinoshin e Jinbei decidono di partire alla ricerca dei fuggiaschi e si congedano da Chûtabei.

Atto II, scena 3
Gonza e Osai, nascosti da tre giorni a Fushimi (nei pressi di Kyôto), decidono di proseguire la fuga e salgono su un traghetto diretto a Ôsaka. Malgrado i loro tentativi di passare essi sono visti da Jinbei che immediatamente si allontana per andare a chiamare Ichinoshin a cui, come marito tradito, spetta l'onore della vendetta.
Gonza e Osai scendono dal battello e cercano di far perdere le proprie tracce tra le vie della città ma sono raggiunti mentre attraversano un ponte. Ichinoshin affronta Gonza che si difende con vigore. Calando un fendente Gonza incastra la propria spada in una trave del ponte e rimane disarmato; continua a battersi eroicamente a mani nude ma è trafitto in più punti e cade al suolo. Intanto Jinbei porta davanti a Ichinoshin la sorella che stava cercando di scappare. Ichinoshin trafigge ripetutamente i Gonza e Osai e infierisce sui loro cadaveri calpestandoli.

Nebiki no kadomatsu [Il pino sradicato]

Brano di gidayûbushi su testo di Chikamatsu Monzaemon, rappresentato per la prima volta il 1º febbraio 1718 che, secondo il calendario lunare, era il giorno successivo al Capodanno. Il clima dei festeggiamenti per il Capodanno è richiamato nell'atmosfera gaia della prima scena come pure nel titolo, che si riferisce all'usanza tradizionale per l'inizio dell'anno di esporre sul portone di casa un pino sradicato, simbolo di longevità. Probabilmente anche il lieto fine (piuttosto raro in un sewamono di soggetto simile) è dettato dalla opportunità di presentare al pubblico una vicenda di buon augurio per l'anno che inizia. Il titolo contiene però anche un altro gioco di parole: poiché matsu [pino] era un eufemismo per indicare le prostitute di alto rango, l'espressione "pino sradicato" può anche riferirsi allo "sradicamento" di Azuma (cioè al suo riscatto) dal bordello dove lavorava.

Atto I, scena 1
Nel quartiere di piacere di Shinmachi a Ôsaka impazzano i festeggiamenti per il Capodanno. Tra l'allegria generale si trascina tristemente una vecchia accompagnata dal figlio: dice di voler parlare con Azuma, una delle prostitute più famose e richieste del quartiere. Gli inservienti del bordello cercano di scacciarla ma Azuma la fa entrare e ascolta la sua richiesta.
La vecchia appartiene a una famiglia che una volta era molto ricca ma che ora è ridotta alla miseria; essa racconta che suo figlio Yohei, che l'ha accompagnata fin lì, vedendo di sfuggita Azuma qualche tempo prima, se n'è innamorato e non può più vivere senza di lei. Azuma spiega di essere già legata a un altro uomo, Yojibei, che essa, pur essendo una prostituta, ama come se fosse suo marito, e che quindi non può accettare le proposte d'amore di Yohei. Quindi, impietosita per le condizioni della vecchia, le offre una somma di denaro. Questo atto offende l'orgoglio di Yohei che sdegnato rifiuta il dono. Azuma dichiara di non aver avuto alcuna intenzione di offendere e spiega che anche la propria situazione, in apparenza invidiabile, è in realtà disperata: infatti Yojibei vorrebbe riscattarla e prenderla come moglie ma ne è impedito dalla mancanza di soldi e dall'opposizione della propria famiglia, per cui i due amanti possono frequentarsi solo di sfuggita.
Tra Azuma e Yohei è ormai nata una profonda comprensione. Azuma fa indossare a Yohei una veste ricamata che le ha donato Yojibei e che essa considera come il suo ricordo più caro. Yohei accetta anche il denaro che la donna gli aveva offerto e dichiara che si recherà a Edo, "un luogo dove si può fare o perdere una fortuna in un attimo", lo farà fruttare e pagherà il riscatto di Azuma in modo che essa possa congiungersi con Yojibei.

Atto I, scena 2
Mentre Azuma e Yohei stanno festeggiando, entra nel locale Hikosuke, un villano che da tempo vorrebbe acquistare Azuma ma che questa ha sempre respinto. Completamente ubriaco, egli insulta Azuma e picchia i suoi accompagnatori che cercano di difenderla. Yohei non sopporta il comportamento di Hikosuke e lo colpisce scaraventandolo a terra e costringendolo ad andarsene.
Nel frattempo giunge Yojibei, accolto con gioia e rispetto da tutto il personale della casa di tolleranza. Quando Azuma gli racconta tutto quanto è successo, Yojibei si congratula con Yohei e dice di considerarlo come proprio fratello. Quindi Yohei esce per fare i preparativi per la partenza. In un vicolo del quartiere lo aspetta però Hikosuke che, credendolo Yojibei a causa del vestito che indossa, gli tende un'imboscata e cerca di pugnalarlo. Yohei estrae il proprio coltello e si difende e ferisce Hikosuke, quindi fugge per timore di essere arrestato. Hikosuke urlando accusa Yojibei come suo feritore.

Atto II
Per lealtà verso Yohei, Yojibei si è assunto la colpa del ferimento di Hikosuke ed è agli arresti domiciliari a casa, sotto la responsabilità di suo padre Jôkan, un ricco mercante di Ôsaka. Se Hikosuke dovesse morire per le ferite riportate, Yojibei verrà giustiziato. Okiku, moglie di Yojibei, è disperata.
Il vecchio samurai Jibuemon, padre di Okiku, va a trovare Jôkan e, dietro richiesta della figlia, cerca di suggerirgli di usare il suo denaro per risarcire Hikosuke e convincerlo a ritirare la sua denuncia, ma Jôkan rifiuta ostinatamente. Tra i due vecchi nasce una lite: Jibuemon accusa Jôkan di essere un tirchio, ma questi gli spiega il proprio punto di vista: come un samurai deve rispettare un codice che gli vieta di macchiare il proprio onore anche a costo della vita, così per un mercante il denaro è il bene più grande ed egli non può sperperarlo per salvare un figlio corrotto che ha dimostrato di non comprenderne il valore. Jibuemon non sa cosa rispondere e se ne va.
Nella notte Azuma evade dal quartiere di piacere (in cui per legge le prostitute erano confinate) e si avvicina alla casa di Yojibei cercando di consegnargli una lettera. Okiku, accortasi della presenza della rivale, fingendosi Yojibei riesce a sottrarle il messaggio e lo legge: nella lettera Azuma invita Yojibei a suicidarsi prima di essere giustiziato e promette che anch'essa si suiciderà lo stesso giorno. Okiku affronta furibonda Azuma e la accusa di aver causato la rovina della sua famiglia e di voler ora accelerare la morte del marito. Azuma si scusa dicendo che non ha potuto fare a meno di innamorarsi di Yojibei quando questi la frequentava come prostituta. Dice anche di aver saputo che Hikosuke è in punto di morte e che quindi Yojibei verrà presto giustiziato; disperata, trae dal vestito un rasoio e se lo porta alla gola. Okiku è colpita dalla profondità dei sentimenti di Azuma e le ferma la mano.
Attirati dalle voci, giungono anche Jôkan e Yojibei. Jôkan dice di aver offerto del denaro a Hikosuke per placarlo ma che questi non ha voluto accettarlo e ordina quindi al figlio di fuggire. Yojibei non vuole accettare: sa bene che se fuggirà il padre, come responsabile della sua custodia, verrà giustiziato al posto suo. Tuttavia Jôkan minaccia di suicidarsi se il figlio non obbedirà. Di comune accordo i quattro decidono allora che Yojibei fuggirà con Azuma mentre Okiku rimarrà a casa ad accudire Jôkan.

Atto III, scena 1
(michiyuki) Yojibei e Azuma fuggono verso Nara, ricordando con tristezza le ore di amore e di gioia trascorse insieme e le speranze per il futuro ormai infrante. Il cuore di Yojibei è oppresso dalla consapevolezza di aver sconvolto la vita dei propri familiari e di Azuma.

Atto III, scena 2
Dopo alcuni mesi alla casa di tolleranza da dove è fuggita Azuma si presenta un cavaliere vestito elegantemente: si tratta di Yohei che ha fatto fortuna a Edo ed è venuto con una grossa somma di denaro per riscattare Azuma. Il gestore della casa dice di aver ricevuto anche un'altra proposta di riscatto da parte di un samurai in incognito che offre in pagamento una preziosissima spada, opera di un famoso artigiano.
In quel momento entra nel locale Hikosuke, guarito dalle ferite: anch'egli vuole riscattare Azuma ma, nella sua bassezza, non nasconde di volerne fare la sua schiava e di voler farle condurre una vita di umiliazioni. Chiamati dal gestore, giungono anche il proprietario del contratto di Azuma e il samurai in incognito che non è altri che Jibuemon, suocero di Yojibei.
Il proprietario dice di essere disposto a cedere il contratto di Azuma ma spiega di non poterlo fare finché essa è latitante; egli dunque accetterà l'offerta di colui che gli porterà per primo la fuggitiva. Yohei fa allora portare nel locale due casse del suo bagaglio e le apre: da esse escono Azuma e Yojibei, che Yohei spiega di aver incontrato sulla strada del ritorno e di aver nascosto tra il proprio seguito.
Yohei rivela anche di essere il vero feritore di Hikosuke. Mentre Jibuemon conduce Hikosuke alla polizia per scagionare definitivamente Yojibei, Yohei paga il riscatto di Azuma e distribuisce ricchi doni a tutto il personale del bordello; la riunione si conclude con una festa e una bevuta generale.
 

Hakata Kojorô namimakura [Kojorô di Hakata, o l'amore al mare]

Brano di gidayûbushi su testo di Chikamatsu Monzaemon, rappresentato per la prima volta il 10 gennaio 1719. Si tratta di un sewamono che trae vagamente ispirazione da fatti di cronaca avvenuti il mese precedente (l'arresto di una banda di contrabbandieri e l'esecuzione del suo capo) ma profondamente rimaneggiati per esigenze teatrali.

Atto I, scena 1
Sôshichi, il figlio di un mercante di Kyôto, ha ricevuto un passaggio su una nave mercantile che dovrebbe condurlo a Hakata (nell'attuale prefettura di Fukuoka nel Kyûshû) dove egli, oltre a concludere alcuni affari per conto del padre, vuole riscattare Kojorô, una prostituta di cui è innamorato. Durante il viaggio egli si accorge però che l'equipaggio della nave è formato da contrabbandieri che importano illegalmente in Giappone merci esotiche provenienti dalla Cina. Kezori, il capo della banda, si accorge che Sôshichi ha visto le operazioni di carico di una partita di merci clandestine e decide di ucciderlo perché non possa denunciarli. Sôshichi viene quindi gettato in mare ma miracolosamente cade su una scialuppa ormeggiata alla fiancata e grazie ad essa riesce a fuggire inosservato e a raggiungere la costa.

Atto I, scena 2
Dopo una settimana di stenti, Sôshichi giunge alla casa di tolleranza dove lavora la sua amata Kojorô. È talmente sporco e lacero che dapprima viene scambiato per un mendicante ma poi viene riconosciuto e ricevuto nella stanza di Kojorô. Sôshichi le racconta le sue disavventure e in particolare di come abbia perso tutti i suoi bagagli e la somma di denaro che aveva accumulato per riscattarla. Questa notizia getta Kojorô nella disperazione: un altro cliente ha già preso accordi con il suo padrone e, se Sôshichi non sarà in grado di pagare subito il riscatto, Kojorô sarà ceduta all'altro. Kojorô afferma che, piuttosto che diventare sposa di un altro, è decisa a suicidarsi.
Intanto nella stanza accanto giunge una chiassosa compagnia di clienti: sono i contrabbandieri che hanno tentato di uccidere Sôshichi e che nel frattempo hanno venduto le merci e sono diventati ricchissimi. Kezori distribuisce doni a tutti e spiega al gestore del locale che vuole riscattare sei prostitute perché diventino le mogli dei suoi soci.
Kojorô e Sôshichi attraverso la parete che divide le due stanze sentono l'arrivo della comitiva. Sôshichi non si rende conto che si tratta del gruppo di contrabbandieri che ha tentato di ucciderlo, mentre Kojorô riconosce nella voce di Kezori quella di un vecchio cliente del locale. Disperata per la propria situazione, essa entra nella stanza e prega Kezori di prestarle il denaro necessario per il suo riscatto; Kezori, euforico per i recenti successi, dice che le regalerà la somma necessaria perché essa possa congiungersi con il suo amato. Sôshichi, entrato nella stanza per ringraziare il suo ignoto benefattore, si rende conto con sgomento della sua vera identità.
I compagni di Kezori, preoccupati di essere denunciati, vorrebbero uccidere subito Sôshichi, ma Kezori gli propone invece di unirsi a loro: se egli accetterà riceverà una grossa somma di denaro che gli permetterà di riscattare Kojorô, altrimenti verrà ucciso. Sôshichi è a lungo indeciso sul da farsi: la prospettiva di diventare un fuorilegge gli ripugna ma un rifiuto significherebbe la morte sua e della sua amata. Perciò egli accetta la proposta e giura solennemente fedeltà a Kezori.

Atto II
Alcuni mesi dopo in una via di Kyôto si sta svolgendo un'asta: tutti i beni di una lussuosa abitazione vengono svenduti a un prezzo irrisorio. In breve tempo la casa viene completamente svuotata. L'autore dell'asta è Sôzaemon, padre di Sôshichi, e la casa è quella dove vivono Sôshichi e Kojorô (ora assenti). Egli spiega di aver compiuto questo gesto estremo per punire il figlio che lo ha tradito e abbandonato per unirsi a una banda di delinquenti.
La sera Sôshichi e Kojorô, ignari dell'accaduto, rientrano nella casa e la trovano vuota; Sôshichi è costernato e teme che la sua attività illegale sia stata scoperta. In quel mentre giunge Kezori che vuole avvisare Sôshichi di tenersi pronto per la loro prossima impresa. Egli chiede a Sôshichi di restituirgli un prezioso documento che egli ha in consegna, il lasciapassare rilasciato dai mercanti cinesi che è necessario per ricevere il prossimo invio di merci. Sôshichi non è però in grado di consegnare il documento, che è stato preso dal padre. Kezori, vedendo anche che la casa è vuota, accusa Sôshichi di volerlo tradire e fuggire: i due estraggono le spade e cominciano a battersi.
Sôzaemon ha assistito alla scena di nascosto e, preoccupato per la sorte del figlio, gli rende il lasciapassare. Kezori si riconcilia con Sôshichi e se ne va, dandogli appuntamento a Nagasaki per mettere in atto il loro piano. Sôshichi, rimasto solo con Kojorô e Sôzaemon, viene duramente rimproverato dal padre che dice di non riconoscerlo più come proprio figlio; tuttavia lo esorta a fuggire da Kyôto per non essere catturato.

Atto III
Sôshichi e Kojorô fuggono da Kyôto dapprima viaggiando a piedi, poi a bordo di due portantine affittate lungo la strada. Essi vengono però intercettati da una pattuglia di guardie; Kojorô è immediatamente catturata e legata mentre Sôshichi, rinchiuso nella sua portantina, viene circondato e gli viene intimato di arrendersi. Quando le guardie si avvicinano e aprono la portantina trovano Sôshichi immerso in un bagno di sangue: piuttosto che cadere nelle mani della polizia egli si è trafitto con la sua spada. Mentre Sôshichi muore anche Kezori e i suoi complici vengono arrestati poco lontano. Grazie a una amnistia proclamata dal nuovo Imperatore in occasione della sua ascesa al trono, essi non vengono uccisi ma solo puniti duramente: dopo essere stati marchiati a fuoco e avere amputati i nasi e le orecchie essi vengono rilasciati. Anche Kojorô è lasciata libera e le viene affidato il compito di assistere come una figlia il vecchio padre di Sôshichi.

Shinjû ten no Amijima [Suicidio d'amore ad Amijima]

Brano di gidayûbushi su testo di Chikamatsu Monzaemon, da molti considerato il suo capolavoro. È stato rappresentato per la prima volta il 3 gennaio 1721. Non si conoscono i fatti di cronaca che possono aver ispirato il dramma.

Atto I, scena 1
Koharu, una prostituta del quartiere di piacere di Sonezaki a Ôsaka, è innamorata di Jihei, un giovane mercante di carta. Essa vorrebbe tenere nascosta questa relazione ma Tahei, un altro suo cliente, ha reso il fatto di dominio pubblico al punto che la professione di Koharu ne risente negativamente. Per questo motivo il padrone di Koharu le ha proibito di incontrare l'amante.
Camminando per le strade di Sonezaki, Koharu vede da lontano l'odiato Tahei e cerca di evitarlo entrando nella sua casa da tè.

Atto I, scena 2
Tahei segue Koharu nella casa da tè e comincia a parlarle in modo sgradevole e arrogante, prendendo in giro e insultando Jihei.
Nel frattempo giunge un cliente per Koharu: si tratta di un samurai in incognito che indossa un amigasa.
Secondo le leggi vigenti all'epoca era vietato ai membri della classe militare frequentare i quartieri di piacere. Tuttavia queste disposizioni non erano fatte osservare con rigore e in pratica molti samurai frequentavano ugualmente le prostitute; in tal caso, per salvare almeno le apparenze, essi coprivano il proprio volto in modo da non poter essere riconosciuti.Tahei se ne va e Koharu rimane sola con il cliente ma, scossa dalla precedente conversazione, rimane triste e muta. Il samurai cerca di confortarla e la invita a confidarsi con lui. Koharu gli rivela il suo amore per Jihei e il divieto di frequentarlo da parte del padrone del bordello. A causa di questa triste situazione Jihei e Koharu si sono scambiati la promessa di suicidarsi insieme ma non hanno ancora potuto attuare il loro proposito perché la sorveglianza del gestore della casa di tolleranza è così stretta che Jihei non può più avvicinarla. Tuttavia Koharu confessa di essersi pentita della propria decisione e prega il samurai di prenderla con sé e di proteggerla da Jihei.
Nel frattempo Jihei si è avvicinato di nascosto alla casa e dall'esterno sta spiando la conversazione attraverso gli shôji. Sentendo che Koharu ha deciso di tradirlo estrae la propria spada e cerca di colpirla attraverso lo shôji ma manca il colpo e viene immobilizzato dal samurai che lo lega a una trave della stanza. In quel momento per la strada sta passando Tahei che, vedendo Jihei legato come un ladro, entra nella stanza e ne approfitta per insultarlo e riempirlo di calci. Il samurai interviene in difesa di Jihei e percuote duramente Tahei che se ne va minacciando vendetta.
Il samurai si toglie il copricapo rivelando la propria identità: in realtà egli non è affatto un soldato ma Magoemon, il fratello di Jihei, che si è travestito in quel modo per poter incontrare Koharu e sondarne le vere intenzioni. Magoemon rimprovera duramente il fratello per aver trascurato i propri doveri verso la famiglia e aver sperperato il suo patrimonio per correre dietro a una prostituta che oltretutto (come c'è da aspettarsi da una persona del genere) è pronta a tradirlo con il primo venuto. Jihei, pentito, dice di non voler avere più nulla a che fare con Koharu e le ordina di restituirgli i messaggi che egli le aveva mandato come pegno d'amore. Koharu consegna i biglietti a Magoemon ma per sbaglio tra di essi finisce anche una lettera misteriosamente inviatale da Osan, moglie di Jihei. Magoemon prende i messaggi promettendo di distruggerli, quindi se ne va assieme al fratello.

Atto II
Dieci giorni dopo la suocera di Jihei (che è anche sua zia in quanto Jihei ha sposato una cugina) e Magoemon si recano al negozio di carta di Jihei. Magoemon ha sentito che Koharu sta per essere riscattata da un mercante del quartiere e accusa Jihei di essere lui il mercante di cui si parla, nonostante le sue promesse di troncare ogni rapporto con la prostituta. Jihei cade dalle nuvole e nega decisamente ogni accusa, giurando solennemente che non si legherà mai a Koharu. Osan, moglie di Jihei, conferma che negli ultimi giorni egli non è uscito di casa e non può quindi aver avviato trattative con il bordello di Koharu. La zia e Magoemon sono soddisfatti delle assicurazioni ricevute e se ne vanno.
Tuttavia Jihei è preoccupato dalla notizia appena ricevuta: non per amore di Koharu (che egli ora considera una traditrice) ma perché è sicuro che la persona che vuole riscattarla sia Tahei e che egli approfitterà di questo fatto per diffamarlo. Infatti, poiché tutti da tempo si aspettavano che Jihei avrebbe riscattato Koharu, il fatto che essa verrà invece riscattata da un altro verrà interpetato come una prova che la sua situazione economica è precaria e ciò avrà effetti rovinosi sulla sua attività commerciale.
Anche Osan è sconvolta dalla notizia appresa da Magoemon: essa confessa di aver capito da tempo che Jihei aveva intenzione di suicidarsi con Koharu e perciò di aver scritto alla ragazza supplicandola di lasciare Jihei per il bene suo e della sua famiglia (si tratta della lettera finita per sbaglio nelle mani di Magoemon). Osan è sicura che Koharu ami profondamente Jihei e che abbia finto di tradirlo solo per salvargli la vita; è anche sicura che essa, piuttosto che cadere nelle mani di Tahei, si suiciderà. Osan prega quindi Jihei di salvare Koharu riscattandola: a questo scopo gli dà una somma di denaro che essa aveva tenuto da parte per pagare i fornitori e gli consegna tutti i vestiti più preziosi del suo corredo da sposa perché egli li porti al banco dei pegni.
Mentre Jihei sta per uscire con i vestiti, viene intercettato da Gozaemon, suo suocero e zio, che stava venendo a cercarlo. Gozaemon attacca duramente Jihei accusandolo di non aver abbandonato la sua condotta dissoluta, nonostante tutte le sue promesse e giuramenti. Gozaemon trova conferma alle sue accuse nel fatto che Jihei sta andando a vendere il corredo nuziale della figlia e intima a Jihei di firmare un atto di divorzio. Poiché Jihei rifiuta, Gozaemon trascina via a forza Osan per riprenderla con sé, nonostante essa dichiari di amare Jihei e di non volersi separare da lui.

Atto III, scena 1
Jihei passa la notte con Koharu come suo cliente nella casa di tolleranza. A notte fonda egli si congeda con il padrone della casa pagando alcuni suoi conti arretrati, esce nella strada ma rimane nelle vicinanze del bordello. Sentendo alcune persone avvicinarsi, si nasconde in un vicolo: si tratta di Magoemon che, preoccupato che Jihei possa suicidarsi, è venuto a cercarlo. Magoemon chiede al padrone della casa di tolleranza di poter incontrare Jihei ma questi gli risponde che se n'è andato poco prima. Quando Magoemon si è allontanato per proseguire la propria ricerca, Jihei esce dal suo nascondiglio e si avvicina all'ingresso posteriore del bordello. Ad un suo segnale Koharu apre la porta con circospezione ed esce; i due si allontanano nella notte.

Atto III, scena 2
Allontanandosi dal quartiere di piacere, Jihei e Koharu si avviano verso il tempio Daichô di Amijima (michiyuki).

Atto III, scena 3
Jihei e Koharu decidono di suicidarsi nei pressi del tempio Daichô (come dice Koharu, "un posto vale un altro per morire"). Per rispetto verso Osan essi decidono di uccidersi in due luoghi separati e usando due metodi diversi in modo che il loro sembri il meno possibile il suicidio di una coppia di amanti. Essi si scambiano promesse di rimanere uniti anche per le vite future e pregano di poter rinascere sullo stesso loto nel Paradiso Occidentale del Buddha Amida. Essi si tagliano i capelli alla maniera dei bonzi, ad indicare il loro distacco dalla vita presente. Jihei sgozza Koharu e compone il suo cadavere; quindi si impicca al cancello della chiusa di un canale vicino. Il suo corpo sarà trovato nel canale da pescatori il giorno dopo.

Onnagoroshi abura jigoku [L'omicidio di una donna e l'Inferno di olio]

Brano di gidayûbushi su testo di Chikamatsu Monzaemon, rappresentato per la prima volta il 9 agosto 1721. Non si hanno informazioni sul fatto di cronaca che ha ispirato questo dramma.

Atto I
Yohei, un giovane mercante di olio, conduce una vita da scapestrato ed è un assiduo frequentatore dei quartieri di piacere. Insieme ad altri giovani amici egli si sta recando ad assistere ad una importante celebrazione in un tempio buddhista, anche se per l'allegra compagnia questa sembra essere un'occasione di divertimento più che di preghiera. Sulla strada del santuario egli incontra Okichi, una giovane signora che abita nella casa accanto alla sua a Ôsaka, che si sta recando al tempio con il marito e i tre figli. Egli incontra anche Kogiku, una prostituta a cui è particolarmente affezionato. Nei giorni precedenti Yohei aveva chiesto a Kogiku di accompagnarlo nel pellegrinaggio ma essa aveva rifiutato adducendo una scusa; ora invece la vede passare diretta al tempio accompagnata da un altro cliente, un mercante di cera di Aizu. Yohei rimprovera aspramente Kogiku per il suo comportamento, suscitando la collera del suo cliente. Yohei e i suoi turbolenti compagni attaccano il mercante, decisi a dargli una lezione, ma questi si dimostra molto più combattivo del previsto. Mentre essi si stanno azzuffando Yohei, rotolato in un fosso a lato della strada, lancia al mercante una palla di fango, ma questa colpisce per sbaglio un samurai che con il suo seguito si sta dirigendo al tempio. Yohei viene immediatamente arrestato dalle guardie del samurai. Il capo della scorta, Moriemon, è uno zio di Yohei e non esiterebbe a uccidere il nipote per l'offesa arrecata al padrone se non fosse trattenuto dalla considerazione che lo spargimento di sangue contaminerebbe il corteo e impedirebbe quindi al samurai di entrare nel tempio. Moriemon rilascia provvisoriamente Yohei ma promette di punirlo al suo ritorno dalla cerimonia.
Yohei, seriamente preoccupato per la minaccia, cerca di nascondersi. Trova rifugio presso Okichi che lo accoglie nella sua stanza in una locanda lungo la via e cerca di pulirlo. Per questa eccessiva confidenza con un estraneo Okichi viene rimproverata dal marito Shichizaemon. Di ritorno dal tempio Moriemon incontra nuovamente Yohei e vorrebbe ucciderlo ma è trattenuto dal suo padrone Oguri che magnanimamente mostra di non essersela presa per l'incidente e fa rilasciare Yohei.

Atto II
Una ventina di giorni più tardi Tahei, fratello maggiore di Yohei, va a trovare il padre Tokubei e gli comunica che lo zio Moriemon ha dovuto dare le dimissioni dal suo incarico di guardia a causa dello scandalo prodotto dall'offesa di Yohei, e ora è senza lavoro. Tahei è stufo della condotta sconsiderata del fratello e invita il padre a cacciarlo di casa. Tuttavia Tokubei esita a prendere una misura così drastica in quanto egli non è il vero padre di Yohei e Tahei ma solo il loro padre adottivo, avendo sposato la vedova del suo datore di lavoro quando questi è morto ed ereditando così la sua bottega. Nonostante legalmente egli sia a tutti gli effetti il capofamiglia, moralmente egli si considera ancora come il custode dei figli del suo padrone.
Dopo che Tahei se ne è andato giunge Yohei. Egli ha sperperato tutti i suoi risparmi e contratto debiti e cerca di estorcere soldi ai genitori mentendo. Dapprima afferma che lo zio Moriemon lo ha incaricato di chiedere un prestito per lui, quindi istiga la sorella malata a fingere di essere posseduta da un demone: nel delirio simulato essa urla che la sua malattia può essere curata solo dando a Yohei il denaro di cui ha bisogno.
Gli inganni piuttosto maldestri di Yohei sono facilmente smascherati dai genitori che lo rimproverano aspramente. Stizzito, Yohei prende a pugni e a calci il padre che tuttavia, secondo il suo solito atteggiamento remissivo nei confronti del figlio adottivo, non tenta neppure di difendersi. Quando però Yohei attacca anche la madre Osawa, intervenuta per difendere il marito, anche per il mite Tokubei è troppo: egli scaccia Yohei diseredandolo e minacciando di far intervenire la polizia di quartiere se egli metterà ancora piede in casa.

Atto III, scena 1
Mentre il mercante di olio Shichizaemon sta facendo il giro dei clienti per riscuotere crediti, a casa sua la moglie Okichi mette a letto i bambini. Giunge Tokubei, suo vicino di casa, e le racconta di come sua moglie Osawa abbia scacciato Yohei. Nonostante i misfatti commessi dal figlio, Tokubei è preoccupato per la sua sorte e consegna a Okichi una somma di denaro pregandola di darla a Yohei se egli si farà vivo. Prega anche Okichi di non far sapere nulla a sua moglie, ma proprio in quel momento giunge anche Osawa che, comprendendo la manovra del marito, lo rimprovera per aver voluto aiutare il figlio degenere. Tuttavia dalla veste di Osawa cade un involto contenente del denaro: nonostante la sua apparente durezza (che le deriva dal fatto di essere stata educata da una famiglia di samurai) anch'essa è preoccupata per Yohei e voleva aiutarlo.
Dopo che Tokubei e Osawa se ne sono andati, giunge in casa di Okichi anche Yohei: egli ha ascoltato di nascosto la conversazione dei suoi genitori con Okichi e vuole riscuotere i soldi. Tuttavia il denaro ricevuto non gli basta; alcuni giorni prima egli ha ottenuto una grossa somma da un usuraio firmando una cambiale con il sigillo di suo padre. Se egli non restituirà il denaro entro l'alba l'usuraio lo andrà a chiedere al padre, che finirà nei guai assieme a Yohei. Egli chiede quindi a Okichi di prestargli la somma necessaria, ma essa rifiuta decisamente, non credendo alle motivazioni di Yohei e comunque non potendo disporre del denaro di famiglia in assenza del marito. Vedendo che ogni sua preghiera risulta vana, Yohei chiede a Okichi di prestargli almeno un po' di olio: mentre essa è voltata per prepararlo, Yohei la colpisce con il proprio pugnale. Okichi muore, il suo sangue mescolato all'olio versato sul pavimento; Yohei le sottrae le chiavi della cassaforte del negozio e la svuota, dandosi poi alla fuga.

Atto III, scena 2
Benché l'assassinio di Okichi non abbia avuto testimoni, tutti sospettano che il colpevole sia Yohei. Suo zio Moriemon giunge a Ôsaka per cercarlo e appurare la verità. Informandosi egli viene a sapere che il nipote frequenta spesso Matsukaze, una prostituta del quartiere di Shinmachi, ma quando egli riesce a interrogare la ragazza questa gli dice che Yohei l'ha appena lasciata per recarsi a Sonezaki.

Atto III, scena 3
Yohei si reca nel quartiere di Sonezaki e va a trovare Kogiku; egli è un così assiduo frequentatore della donna che il padrone del bordello lo tratta come uno di casa. Mentre egli discorre con la ragazza gli viene detto che un samurai lo sta cercando. Dalla descrizione egli capisce che si tratta di suo zio Moriemon e, non volendo incontrarlo, finge di aver dimenticato il portafogli a Shinmachi e si allontana. Poco dopo giunge al bordello anche Moriemon ma ancora una volta gli viene detto che Yohei è appena partito.

Atto III, scena 4
Nel trentacinquesimo giorno della morte di Okichi un gran numero di vicini sono riuniti in casa di Shichizaemon per assistere a un servizio funebre in onore della defunta. Casualmente viene ritrovato un foglietto macchiato di sangue che porta scritti alcuni appunti con una calligrafia che da molti viene riconosciuta come quella di Yohei.
Ignaro di quanto è successo giunge anche Yohei per fare le condoglianze a Shichizaemon. I presenti lo accusano dell'omicidio di Okichi e cercano di catturarlo ma Yohei tenta di fuggire. Egli viene però fermato da alcune guardie che lo stavano seguendo di nascosto; esse sono guidate da Moriemon che ha trovato un'altra prova schiacciante contro il nipote: il kimono che Yohei indossava la notte dell'omicidio, macchiato di sangue.
A Yohei non rimane altro che confessare il proprio crimine; immediatamente egli viene legato e portato al patibolo.

Sugawara denju tenarai kagami [I segreti della calligrafia di Sugawara]

Dramma storico (jidaimono) scritto nel 1746 da Takeda Izumo II, Miyoshi Shôraku e Namiki Sôsuke sulla base dell'opera Tenjinki [La storia di Tenjin] di Chikamatsu Monzaemon. L'opera fu scritta inizialmente per il bunraku ma fu presto adattata anche al kabuki.
La trama si basa sulla vicenda storica di Sugawara no Michizane, ministro alla corte imperiale di Heian durante il IX secolo che fu ingiustamente esiliato nel Kyûshû a causa degli intrighi del potente Fujiwara no Tokihira. Dopo la sua morte in esilio Michizane fu riabilitato e divinizzato con il nome di Tenjin e venne considerato il kami protettore della calligrafia e degli studi letterari.

Atto I, scena 1
Alla corte imperiale di Heian giunge un monaco cinese che ha il compito di dipingere un ritratto all'Imperatore ma questi è ammalato e non può posare. I due ministri Shihei e Michizane discutono tra di loro su chi debba fare da modello al pittore: Shihei propone se stesso sperando che questo incarico lo avvantaggi come candidato alla successione imperiale ma l'Imperatore sceglie invece il principe Tokiyo. Shihei interpreta questa decisione come un favoritismo da parte dell'Imperatore nei riguardi di Michizane, la cui figlia adottiva Kariya è promessa sposa di Tokiyo. L'Imperatore ordina inoltre a Michizane di scegliere un allievo a cui trasmettere i segreti della propria arte.

Atto I, scena 2
Il principe Tokiyo dovrebbe presenziare a una cerimonia religiosa al tempio di Kamo ma si allontana di nascosto per incontrare segretamente Kariya. L'incontro è stato organizzato da Sakuramaru che lascia la propria moglie Yae a guardia dei due amanti. Tuttavia un emissario di Shihei sorprende la coppia, ma Tokiyo e Kariya riescono a fuggire.

Atto I, scena 3
Michizane deve decidere quale dei suoi discepoli nominare come suo successore. Uno di essi, Maeyo, ambirebbe al grande onore, ma Michizane convoca invece Genzô, un suo allievo che egli aveva precedentemente mandato in esilio a causa di una relazione amorosa clandestina. Michizane interroga Genzô e gli fa eseguire un'opera di calligrafia quindi, soddisfatto del risultato, lo nomina suo successore affidandogli i propri manoscritti segreti; tuttavia si rifiuta di revocare il bando di proscrizione contro di lui.
Michizane viene convocato urgentemente a Corte: Shihei, che ha saputo dal suo servitore dell'amore segreto tra Tokiyo e Kariya, accusa pubblicamente Michizane di aver combinato il matrimonio per accrescere la propria influenza e costringere l'Imperatore a dimettersi, prendendone il posto. L'Imperatore crede alla calunnia e condanna Michizane all'esilio.
La residenza di Michizane viene circondata dalle guardie imperiali; esse sono attaccate da Umeômaru, fedele servitore di Michizane, che cerca di difendere il proprio padrone. Tuttavia Michizane gli ordina di arrendersi in quanto non vuole opporsi all'ordine imperiale. Genzô si mette d'accordo con Umeômaru per condurre in salvo Kanshûsai, il figlio ancora piccolo di Michizane, nel timore che possa venire ucciso dai seguaci di Shihei.

Atto II
Tokiyo e Kariya si rifugiano nella casa di Kakuju, zia di Michizane e vera madre di Kariya, nelle vicinanze del tempio Dômyôji; nella casa vive anche Tatsuta, sorella maggiore di Kariya. Anche Michizane giunge nella casa per dare un ultimo saluto a Kakuju; l'indomani all'alba infatti egli verrà raggiunto dalla scorta che lo deve accompagnare all'esilio.
Giungono Sukune Tarô, marito di Tatsuta, e suo padre Haji no Hyôe; essi sono segretamente d'accordo con Shihei e tramano di uccidere Michizane. Tuttavia Tatsuta sente i loro piani e cerca di farli desistere dal proposito: essi allora la uccidono e gettano il suo cadavere nello stagno del giardino. Secondo un'antica superstizione quando un gallo viene posto sopra un cadavere sommerso nell'acqua si mette a cantare anche se non è ancora l'alba. Ponendo un gallo sopra il cadavere di Tatsuta, Tarô e Hyôe lo fanno cantare e fanno quindi credere agli abitanti della casa che l'alba sia già arrivata. Essi quindi consegnano Michizane a una falsa scorta, in realtà sicari di Shihei che vogliono uccidere Michizane; egli viene quindi condotto via in una portantina.
Kakuju si accorge dell'assenza di Tatsuta e la fa cercare. Un servo trova il cadavere nello stagno, imbavagliato con un pezzo di stoffa che appartiene ai vestiti di Tarô. Kakuju capisce da ciò che Tarô è l'assassino di Tatsuta e lo pugnala a morte, lasciandolo agonizzante. Nel frattempo giunge la vera scorta, guidata da Terukuni; Kakuju capisce di essere stata ingannata e spiega la situazione a Terukuni. Anche la falsa scorta fa ritorno: uno dei suoi membri spiega che, aprendo la portantina in cui doveva essere Michizane, vi hanno trovato solo una sua statua di legno. Tuttavia quando la porta della portantina viene aperta, ne esce Michizane in carne e ossa.
I sicari sono ormai smascherati e si danno alla fuga mentre Hyôe viene arrestato e ucciso. È ormai tempo che Michizane parta per l'esilio, guidato da Terukuni. Kariya vorrebbe seguire il padre adottivo ma Michizane rifiuta di condurla con sé.

Atto III, scena 1
I due fratelli Sakuramaru e Umeômaru si incontrano per caso nei pressi del tempio di Yoshida. Sakuramaru è abbattuto in quanto si sente responsabile della cacciata di Michizane, avendo organizzato l'incontro tra Tokiyo e Kariya che è stato il pretesto per la calunnia contro di lui; in questo modo è anche indirettamente responsabile del fatto che il fratello Umeômaru è ora senza lavoro a causa dell'esilio del padrone.
Nel frattempo giunge il corteo di Shihei; Sakuramaru e Umeômaru lo attaccano e cercano di spingere fuori strada il carro su cui Shihei viaggia, ingaggiando una lotta con gli uomini della sua scorta. Tra questi c'è anche Matsuômaru, fratello di Sakuramaru e Umeômaru, che è alle dipendenze di Shihei. I contendenti sono duramente rimproverati da Shihei, che li ammonisce di non profanare il tempio con una rissa. I tre fratelli decidono allora di rimandare il regolamento di conto a dopo il prossimo compleanno del padre.

Atto III, scena 2
I tre fratelli Sakuramaru, Umeômaru e Matsuômaru con le rispettive mogli si incontrano nella casa del padre Shiradayû in occasione del suo settantesimo compleanno. Matsuômaru comincia a parlare male dei fratelli e in breve viene alle mani con Umeômaru. Nel giardino della casa si trovano tre piante che simboleggiano i tre fratelli: un ciliegio (sakura) un susino (ume) e un pino (matsu). Durante la lotta i due fratelli spezzano un ramo del ciliegio; ciò viene interpretato da Sakuramaru come un cattivo presagio riguardo al proprio futuro.
Shiradayû disereda Matsuômaru e lo caccia di casa. Sakuramaru, oppresso dal peso della propria responsabilità verso Michizane, commette seppuku. Shiradayû parte per il Kyûshû per incontrare Michizane e mettersi al suo servizio.

Atto IV
Sugawara no Michizane è in esilio in una località del Kyûshû, dove è stato raggiunto da Shiradayû. Una notte Michizane sogna che il suo albero di susino prediletto è stato trasportato in un tempio vicino; accompagnato da Shiradayû, egli si reca al tempio dove effettivamente si trova il susino in fiore. Mentre ammirano l'albero vedono due persone che stanno combattendo: si tratta di Heima, un sicario che è stato inviato da Shihei per uccidere Michizane, e il fedele Umeômaru che cerca di sventare il piano. Michizane stacca un ramo dal susino e con esso uccide Heima, quindi ascende al cielo.
Genzô, l'allievo a cui Michizane ha trasmesso la propria arte, è tornato al villaggio dove è esiliato e insegna calligrafia in un terakoya (scuola di villaggio). Chiyo, la moglie di Matsuômaru, si reca alla scuola chiedendo che vi venga ammesso il proprio figlio Kôtarô; Tonami, moglie di Genzô, acconsente e prende in consegna il ragazzo.
Tra gli allievi della scuola si trova in incognito anche Kanshûsai, il figlio di Michizane, che Genzô nasconde per timore della vendetta di Shihei. Tuttavia Shihei è venuto a conoscenza del fatto e invia nel villaggio un gruppo di suoi soldati che circondano la scuola e ingiungono a Genzô di consegnargli la testa di Kanshûsai. Tra i soldati si trova anche Matsuômaru, che conosce bene Kanshûsai ed ha ricevuto da Shihei il compito di identificarlo. Per salvare Kanshûsai Genzô decide di uccidere un altro ragazzo al suo posto e sceglie a questo scopo Kôtarô che gli somiglia. Mentre nella scuola Genzô decapita Kôtarô, dall'esterno Matsuômaru segue le fasi della vicenda in base ai rumori che escono dall'edificio. Apparentemente egli è impassibile ma nel suo cuore è sconvolto; infatti egli, conoscendo la somiglianza tra i due ragazzi, ha spedito appositamente il proprio figlio alla scuola confidando che Genzô lo uccidesse al posto di Kanshûsai, quindi egli sa che in questo momento è Kôtarô che viene decapitato. Così quando Genzô, ignaro di tutto ciò, gli reca la testa del ragazzo in una scatola, egli la identifica per quella di Kanshûsai. I soldati soddisfatti se ne vanno; Matsuômaru li segue, ma ormai ha deciso ad abbandonare il servizio di Shihei.
Chiyo si reca al terakoya. Genzô vedendola cerca di ucciderla, temendo che ella possa scoprire lo scambio dei ragazzi e quindi rivelare che Kanshûsai è ancora vivo. Tuttavia durante la lotta Genzô scopre che Kôtarô aveva tra i propri vestiti un abito da sepoltura e che Chiyo stessa indossa sotto il kimono un vestito bianco da lutto. Egli quindi capisce che Matsuômaru e Chiyo hanno volutamente sacrificato il proprio figlio per salvare Kanshûsai. Matsuômaru e Chiyo si riconciliano con Genzô mentre Kanshûsai è raggiunto dalla madre Sonô.

Atto V
Il Giappone è sconvolto da una serie di catastrofi naturali. Un bonzo rivela che la causa dei disastri è l'ingiustizia commessa contro Sugawara no Michizane. Kanshûsai vendica il padre uccidendo Shihei e ponendo così fine alle calamità. La memoria di Michizane viene riabilitata ed egli viene dichiarato dio. Yoshitsune senbonzakura [Yoshitsune e i mille ciliegi]

Dramma scritto nel 1747 da Takeda Izumo II, Miyoshi Shôraku e Namiki Sôsuke per il bunraku e immediatamente adattato per il kabuki. Si tratta di una delle moltissime opere letterarie ispirate alla guerra Genpei e alla lotta fratricida tra Yoshitsune e Yoritomo come vengono descritte nello Heike monogatari; tuttavia i fatti storici vengono ampiamente modificati per esigenze drammatiche (in particolare si finge che l'imperatore Antoku e alcuni capi del clan dei Taira non siano morti nella battaglia di Dan no Ura come invece in realtà è avvenuto). La trama richiama in molti punti anche episodi famosi del teatro .

(antefatto)
Il dramma si svolge subito dopo la battaglia navale di Dan no Ura in cui Minamoto no Yoshitsune ha sconfitto la famiglia Taira spianando la strada al fratello Yoritomo per diventare signore assoluto di tutto il Giappone. Tuttavia Yoritomo è geloso del successo riportato da Yoshitsune e cerca di sbarazzarsi di lui, temendo che possa contrastare la sua ascesa al potere. L'ex-imperatore Go-Shirakawa ha donato a Yoshitsune un tamburo, un tacito invito a ribellarsi al fratello (a "battere il tamburo della rivolta"); tuttavia Yoshitsune ha dichiarato di non aver intenzione di opporsi a Yoritomo.

Atto I
Shigeyori, un inviato di Yoritomo, va a trovare Yoshitsune nel suo palazzo per sondarne le intenzioni e per chiedere spiegazioni riguardo al tamburo ricevuto da Go-Shirakawa e alle teste di tre capi del clan dei Taira (uccisi a Dan no Ura) che Yoshitsune ha inviato a Yoritomo e che sono risultate false. Yoshitsune spiega di aver accettato il tamburo solamente per non mancare di rispetto all'ex-imperatore, ma di non aver alcuna intenzione di "suonarlo". Quanto alle teste, Yoshitsune spiega che i tre capi nemici sono morti in mare e che quindi i loro cadaveri sono dispersi; egli ha spedito le teste di altri morti non per ingannare il fratello ma per impedire che i nemici sopravvissuti possano sostenere che i tre capi siano ancora vivi. Yoritomo è anche preoccupato del fatto che Yoshitsune abbia contratto una parentela con il nemico sposando Kyô no Kimi, la figlia di un membro della famiglia Taira. Sentendo ciò Kyô no Kimi si uccide dando istruzioni a Shigeyori di decapitarla e di portare la sua testa a Yoritomo come segno della fedeltà di Yoshitsune.
Un gruppo di guerrieri di Yoritomo attacca il palazzo ma vengono sconfitti da Benkei, fedele vassallo di Yoshitsune. Yoshitsune prega Benkei di risparmiare le loro vite ma Benkei li decapita tutti.

Atto II
Yoshitsune e il suo seguito si recano in pellegrinaggio presso il santuario di Inari. Yoshitsune è inseguito dall'esercito di Yoritomo ma, non volendo scontrarsi con il fratello, decide di fuggire. Yoshitsune rimprovera duramente Benkei per aver ucciso i soldati inviati da Yoritomo e aver così guastato definitivamente i suoi rapporti con il fratello, rendendo inutile il sacrificio di Kyô no Kimi. Tuttavia alla fine Benkei viene perdonato.
Yoshitsune viene raggiunto dalla sua amante Shizuka che vorrebbe seguirlo nell'esilio. Yoshitsune le affida il tamburo ricevuto da Go-Shirakawa e le ingiunge di rimanere; tuttavia Shizuka è irremovibile nel suo proposito e Yoshitsune ordina allora che sia legata a un albero per impedirle di seguirlo. Mentre Yoshitsune è all'interno del tempio, alcuni soldati di Yoritomo cercano di catturare Shizuka e il tamburo ma vengono sconfitti e dispersi da Tadanobu, un fedele seguace di Yoshitsune. Yoshitsune ricompensa Tadanobu donandogli la propria armatura e gli affida il compito di riportare Shizuka a Kyôto. Allontanandosi con Shizuka, Tadanobu si comporta in un modo che rivela come in realtà egli sia una volpe che ha assunto sembianze umane per poter rimanere accanto al tamburo, che è stato costruito usando le pelli dei suoi genitori.
Yoshitsune giunge alla baia di Daimon con l'intenzione di imbarcarsi per fuggire nel Kyûshû. Il traghettatore a cui egli si rivolge, Ginpei, è in realtà Tomomori, un generale dei Taira che è scampato alla battaglia di Dan no Ura e che ora vive in incognito sperando di vendicarsi contro i Minamoto. Ginpei nasconde presso di sé anche Antoku, il giovane Imperatore nipote di Taira no Kiyomori, che egli fa passare per sua figlia Oyasu, e la sua nutrice Tsubone, che egli fa passare come sua moglie Oryû (sia Antoku che Tsubone sono da tutti creduti morti affogati a Dan no Ura). Nonostante Yoshitsune viaggi in incognito, Ginpei/Tomomori ha capito chi egli sia, mentre Yoshitsune non sospetta la vera identità di Ginpei.
Ginpei promette a Yoshitsune che lo traghetterà nel Kyûshû; per il momento però le condizioni del mare sono cattive e il gruppo deve aspettare. Nel frattempo giunge Gorô, un guerriero che dice di essere un vassallo dei Minamoto nemico di Yoshitsune; prepotentemente egli pretende di noleggiare la barca di Ginpei nonostante questa sia già stata promessa a Yoshitsune, ma Ginpei lo tratta duramente e lo scaccia, guadagnandosi la fiducia di Yoshitsune.
Si tratta però solo di una messa in scena architettata per ingannare Yoshitsune. Infatti Ginpei e Gorô (che in realtà è un alleato dei Taira) vogliono attaccare la barca di Yoshitsune e ucciderlo. Quando Yoshitsune e il suo gruppo finalmente prendono il largo, Ginpei/Tomomori dice che se essi falliranno non ci saranno più speranze di vendetta per i Taira e l'Imperatore Antoku e la sua nutrice dovranno suicidarsi, quindi si imbarca per attaccare Yoshitsune.
Tsubone e Antoku seguono dalla spiaggia la battaglia navale e assistono alla sconfitta di Tomomori. Quindi essi si recano in mare aperto per annegarsi ma la loro barca è intercettata da Yoshitsune che salva Antoku e lo prende con sé. Sulla spiaggia Tomomori tenta un ultimo disperato attacco ma è nuovamente sconfitto e si suicida gettandosi in mare dall'alto di una rupe legato a una grossa ancora.

Atto III, scena 1
Koremori, un generale dei Taira, è disperso e sua moglie Naishi con il giovane figlio Rokudai lo stanno cercando, accompagnati dal fedele vassallo Kokingo. Giunti nel villaggio di Shimoichi essi sono avvicinati da Gonta, un poco di buono che con un trucco li truffa di una somma di denaro.
Proseguendo la loro ricerca, i tre stanno attraversando un bosco di bambù quando sono individuati e inseguiti da un gruppo di guerrieri Minamoto. Mentre Naishi e Rokudai riescono a fuggire, Kokingo è circondato dai nemici e viene ucciso. Il suo corpo viene ritrovato da Yazaemon, padre di Gonta, un venditore di sushi fedele ai Taira. Yazaemon sta nascondendo Koremori nella sua bottega facendolo passare per un suo garzone; egli decapita il cadavere di Kokingo con l'intenzione di consegnare la sua testa alle autorità come se fosse quella di Koremori, in modo che questi possa fuggire indisturbato.

Atto III, scena 2
Yazaemon ritorna al suo negozio di sushi e nasconde la testa di Kokingo in un secchio. Anche Gonta torna al negozio di nascosto dal padre e temporaneamente nasconde il denaro rubato in un altro secchio; successivamente, volendo riprendere il denaro, prende per sbaglio il secchio con la testa di Kokingo e se ne va. La sera giungono al negozio Naishi e Rokudai, si ricongiungono con Koremori e partono insieme a lui.In seguito giunge al negozio Kajiwara Kagetoki, un generale di Yoritomo, che chiede a Yazaemon notizie di Koremori poiché sospetta che egli lo stia nascondendo. Yazaemon sta per andare a prendere la falsa testa di Koremori quando giunge Gonta portando la testa mozzata e accompagnato da una donna e un bambino legati e bendati. Egli dice di aver ucciso Koremori e ne consegna la testa a Kajiwara; consegna anche i due prigionieri, dicendo che si tratta di Naishi e Rokudai. Kajiwara prende in consegna la testa e i due prigionieri, offre una ricompensa a Gonta e se ne va.
Yazaemon ha sempre considerato il figlio Gonta come un mascalzone e non sa che egli gli aveva preso il secchio con la testa di Kokingo. Yazaemon crede quindi che Gonta abbia veramente ucciso il suo ospite, perciò lo attacca e lo pugnala a morte. Tuttavia morendo Gonta rivela al padre di essersi ravveduto e di aver ingannato Kajiwara per coprire la fuga di Koremori; la testa mozzata è in realtà quella di Kokingo e la donna e il bambino sono la moglie e il figlio di Gonta stesso, che egli ha sacrificato per lealtà verso i Taira.

Atto IV
Shizuka e Tadanobu (in realtà una volpe che ha preso le sembianze di Tadanobu) viaggiano verso il monte Yoshino per raggiungere Yoshitsune. Shizuka è sconsolata e la volpe-Tadanobu cerca di distrarla insegnandole una danza, nel corso della quale si manifesta chiaramente il suo attaccamento al tamburo.
Quando Shizuka incontra Yoshitsune si accorge con stupore che Tadanobu (quello vero) si trova assieme a lui. Essa comincia allora a suonare il tamburo. Al richiamo dello strumento compare anche il falso Tadanobu che finalmente rivela la sua vera identità, mostrando il suo aspetto di volpe bianca e compiendo vari trucchi magici. Yoshitsune dona alla volpe il tamburo come ringraziamento per i suoi servigi.
Un gruppo di soldati guidati da Noritsune attacca Yoshitsune, ma questi viene difeso dalla volpe che svia i nemici usando i suoi poteri magici. Alla fine Noritsune apprende che Yoshitsune ha salvato la vita dell'Imperatore e si riconcilia con lui.
 
 
 

Kanadehon Chûshingura [Manuale di calligrafia del Tesoro dei fedeli vassalli]

Dramma scritto nel 1748 da Takeda Izumo II, Miyoshi Shôraku e Namiki Sôsuke. La trama è basata sulla famosissima vendetta dei 47 rônin, un fatto realmente accaduto nel 1701 (una narrazione in prosa dei fatti storici su cui è basato il dramma è riportata nel libro La storia dei 47 rônin di G. Soulié de Morant). Questo fatto costituisce uno degli episodi più noti della storia giapponese ed era stato portato in scena numerose volte anche prima di Kanadehon Chûshingura (la prima opera di kabuki è posteriore di solo un mese agli eventi storici). Tuttavia la vicenda, implicando un fatto di sangue tra gli esponenti più elevati della gerarchia militare, era considerata alquanto scabrosa dalle autorità e alcune opere che la ritraevano in modo troppo diretto erano state proibite dalla censura. Per questo motivo Kanadehon Chûshingura, pur conservando tutti gli elementi fondamentali del fatto storico, lo ambienta nel lontano passato del periodo Ashikaga e cambia i nomi di tutti i protagonisti. Si tratta di un dramma famosissimo e che ancora oggi gode di una grande popolarità ma che per la sua lunghezza non viene solitamente rappresentato nella sua interezza (in particolare gli atti II, VIII e X sono eseguiti raramente).

Atto I
Per celebrare la sua vittoria su Nitta Yoshisada, lo shôgun Ashikaga Takauji ordina la costruzione a Kamakura di un nuovo tempio dedicato a Hachiman, kami della guerra. L'evento è solennizzato con una cerimonia condotta dal governatore di Kamakura Kô no Moronô e a cui partecipano anche i due daimyô Momonoi Wakasanosuke e En'ya Hangan. Dopo la cerimonia Moronô cerca di sedurre Kaoyo, la moglie di Hangan. Kaoyo lo respinge ma Moronô per vendicarsi minaccia di rovinare la reputazione di Hangan. Wakasanosuke giunge in soccorso di Kaoyo e ha un violento litigio con Moronô, durante il quale i due sono sul punto di estrarre le spade. L'intervento di Tadayoshi, fratello dello shôgun, pone fine alla lite.

Atto II
Wakasanosuke, sentendosi insultato dal comportamento di Moronô, decide di ucciderlo e informa di questo suo proposito il proprio fedele vassallo Honzô. Honzô taglia un ramo da un pino bonsai per esprimere la sua approvazione al progetto ma è preoccupato per la sorte del proprio signore; infatti per chi si renda colpevole di fatti di sangue nel palazzo dello shôgun la legge prevede il suicidio rituale (seppuku), la confisca dei beni e la dispersione di tutti i suoi samurai. Per questo Honzô si reca segretamente nel palazzo di Moronô per convincerlo a chiedere perdono a Wakasanosuke e a comporre pacificamente la lite.

Atto III
Honzô incontra Moronô mentre questi viene condotto in portantina al palazzo dello shôgun. Moronô rifiuta un colloquio diretto e fa ricevere Honzô dal suo sottoposto Sagisaka Bannai. Honzô corrompe con del denaro l'avido Bannai e gli consegna ricchi doni che dice inviati dal suo padrone Wakasanosuke (il quale in realtà non ne sa nulla) pregandolo di consegnarli a Moronô e di chiedergli di porgere le sue scuse a Wakasanosuke nel loro prossimo incontro. Bannai accetta ma ordina ai suoi soldati di cercare di uccidere Honzô alla prossima occasione favorevole.
Wakasanosuke va a trovare Moronô, che codardamente gli porge le proprie scuse; Wakasanosuke quindi desiste dal proprio proposito di vendetta e se ne va.
Moronô riceve una lettera da Kaoyo in cui essa rifiuta definitivamente le sue profferte amorose. Irritato per la missiva e per l'umiliazione subita con Wakasanosuke, Moronô insulta aspramente Hangan, che estrae la propria spada e lo ferisce lievemente.

Atto IV
Nel suo palazzo Hangan è raggiunto da due messaggeri che gli comunicano l'ordine dello shôgun di commettere seppuku e il provvedimento di confisca di tutti i suoi beni. Di fronte agli inviati dello shôgun egli esegue il rito del suicidio e morendo chiede al proprio fedele vassallo Yuranosuke di vendicarlo uccidendo Moronô.
Kaoyo, la moglie di Hangan, si taglia i capelli e si fa monaca.
Mentre il corpo di Hangan viene portato al tempio per le esequie i suoi samurai, ormai divenuti rônin, si riuniscono per decidere il da farsi. Alcuni (tra cui Sadakurô e Kudayû) sono interessati unicamente alla spartizione dei beni del loro signore, altri propongono di opporsi allo smembramento del feudo, ribellandosi allo shôgun. Dopo che Sadakurô e Kudayû se ne sono andati, Yuranosuke comunica ai più fedeli le ultime volontà del suo signore; viene quindi deciso di abbandonare il castello e disperdersi come ordinato ma di tenersi in contatto per preparare la vendetta. Yuranosuke prende in custodia la spada con cui Hangan si è suicidato e su di essa giura di uccidere Moronô.

Atto V
Kanpei, un fedele samurai di Hangan, era assente dal palazzo il giorno del suicidio del suo signore e quindi non sa nulla del progetto di vendetta. Divenuto rônin, egli abita in campagna assieme alla moglie Okaru e ai genitori di lei (Yoichibei e Okaya) e si procura da vivere cacciando. Alcuni mesi dopo la morte di Hangan egli incontra per caso un alleato di Yuranosuke e viene a conoscenza della congiura. Egli decide immediatamente di unirsi all'impresa ma, a dimostrazione della serietà dei propri propositi, gli viene chiesto di contribuire con una ingente somma di denaro.
Venuta a conoscenza del fatto, la moglie Okaru decide di vendersi a un bordello per procurare al marito la somma necessaria e, all'insaputa di Kanpei, manda il proprio padre Yoichibei al quartiere di piacere di Kyôto per concludere l'affare. Sulla via del ritorno Yoichibei incontra il malvagio Sadakurô che lo deruba del denaro ricevuto come acconto e lo uccide con la sua spada. A sua volta Sadakurô viene ucciso per sbaglio da un colpo di fucile di Kanpei che sta inseguendo un cinghiale. Dopo essersi reso conto del proprio errore, Kanpei trova sul morto la borsa con il denaro e, non sapendo da dove esso provenga, decide di rubarlo per poter partecipare alla vendetta.

Atto VI
Il mattino seguente la proprietaria della casa di tolleranza di Kyôto giunge a casa di Kanpei per prelevare Okaru e per consegnare un'altra borsa di denaro a saldo del contratto. Kanpei dapprima si oppone a questa soluzione ma si accorge presto che la borsa recata dalla proprietaria è identica a quella che egli ha rubato all'uomo ucciso per errore il giorno prima. Egli quindi si convince di aver ucciso il suocero Yoichibei e di non averne riconosciuto il corpo a causa del buio.
Mentre Okaru parte per Kyôto giungono due emissari di Yuranosuke che informano Kanpei che la sua domanda di essere ammesso alla congiura è stata respinta in quanto essi dubitano che il denaro da lui consegnato sia stato ottenuto illegalmente. Essi quindi consegnano la borsa macchiata di sangue che Kanpei aveva dato loro il giorno prima. Okaya, la suocera di Kanpei, è preoccupata per la prolungata assenza del marito: vedendo che la borsa che Kanpei aveva consegnato agli emissari è identica a quella che avrebbe dovuto portare Yoichibei, accusa Kanpei di aver ucciso il suocero. Kanpei confessa il delitto che crede di aver commesso e si immerge la propria spada nel ventre.
Vengono trovati i cadaveri di Yoichibei e Sadakurô; dalle ferite sui corpi risulta evidente che Sadakurô ha ucciso Yoichibei mentre il proiettile di Kanpei ha colpito Sadakurô. Kanpei viene quindi pienamente riabilitato; gli inviati di Yuranosuke aggiungono il suo nome alla lista segreta dei congiurati, mentre Kanpei muore.

Atto VII
Yuranosuke, il capo dei congiurati, conduce una vita dissoluta per convincere le spie di Moronô di non avere propositi di vendetta. Egli finge una condotta debosciata in modo così convincente da trarre in inganno anche Heiemon, un fedele soldato di Hangan che lo va a trovare nel bordello in cui egli ora vive (lo stesso bordello in cui lavora Okaru) per chiedergli di poter partecipare alla vendetta.
Yuranosuke è raggiunto segretamente da suo figlio Rikiya che gli reca una lettera di Kaoyo a proposito dei preparativi per la vendetta. Okaru spia Yuranosuke e riesce a leggere abbastanza del contenuto della lettera da capire che egli sta organizzando il complotto. Yuranosuke finge di non essersi accorto di essere stato scoperto e propone a Okaru di riscattarla per farla sua moglie, e Okaru accetta.
Nel bordello giunge anche Kudayû, padre di Sadakurô e precedentemente vassallo di Hangan, che ora agisce come spia di Moronô. Nonostante tutte le apparenze sembrino indicare che Yuranosuke sia lontano da ogni proposito di vendetta (egli ha persino lasciato arrugginire la propria spada), egli è molto sospettoso e si nasconde sotto le assi del pavimento per continuare a spiarlo.
Heiemon incontra Okaru e scopre che essa è una sua sorella che egli non vedeva da molto tempo; Okaru le racconta di come Yuranosuke stia preparando la vendetta e della sua proposta di matrimonio. Heiemon capisce che Yuranosuke vuole riscattare Okaru solo per ucciderla e imperdirle di tradirlo e propone a Okaru di lasciarsi uccidere da lui stesso: questa sarà una prova di fedeltà che consentirà a Heiemon di essere ammesso tra i partecipanti al complotto. Okaru ha saputo da Heiemon della morte di Kanpei e non ha più ragioni per vivere, quindi accetta di farsi uccidere.
La conversazione è stata udita da Yuranosuke che, convinto della fedeltà dei due, accetta Heiemon tra i membri della congiura e dichiara che non c'è più bisogno di uccidere Okaru. Yuranosuke dà la propria spada a Okaru e guida la sua mano a trafiggere attraverso le assi del pavimento Kudayû, della cui presenza egli si era accorto.

Atto VIII
Konami, figlia di Honzô, è da lungo tempo fidanzata con Rikiya, figlio di Yuranosuke. Konami, accompagnata dalla madre Tonase, compie un viaggio da Kamakura a Kyôto per prendere accordi per il matrimonio con la famiglia di Yuranosuke.

Atto IX
Oishi, moglie di Yuranosuke, rifiuta la proposta di matrimonio di Tonase dicendo che non vuole contrarre vincoli con la famiglia di Honzô, la cui opera di mediazione a favore di Wakasanosuke ha provocato, anche se indirettamente, la morte di Hangan. Tonase dichiara che per espiare questa colpa essa ucciderà la figlia e se stessa. Mentre ha già fatto inginocchiare Konami e sta per decapitarla con la sua spada, viene interrotta da un komusô che provoca Rikiya insultando duramente Yuranosuke. Rikiya, irato, estrae la propria spada e ferisce a morte il monaco che, levandosi il copricapo che gli copre il viso, si rivela essere Honzô travestito. Honzô dice di essersi fatto uccidere volontariamente per espiare la propria colpa e consegna come regalo di nozze per la figlia una piantina dell'interno del palazzo di Moronô.
Atto X
Al complotto contro Moronô partecipa anche Gihei, un mercante che ha il compito di procurare le armi per l'attacco. Per meglio mantenere il segreto sui preparativi Gihei ha temporaneamente mandato la moglie a vivere presso il suocero, il quale però cerca di convincerlo a divorziare per poter dare la figlia a un marito più ricco.
Yuranosuke e alcuni suoi uomini giungono in incognito a casa di Gihei per saggiare la sua fedeltà: fingendosi nemici essi cercano di estorcere da Gihei informazioni sulla congiura e arrivano persino a minacciare di ucciderne il figlio se egli non parlerà. Poiché Gihei eroicamente resiste a ogni minaccia, Yuranosuke gli rivela la propria vera identità e si congratula con lui per aver superato la prova.

Atto XI

I preparativi per la vendetta sono ormai terminati e i congiurati attaccano il palazzo di Moronô: sono in tutto 46, ma tra di essi viene contato anche Kanpei che è già morto.
La casa di Moronô è ampia e difesa da molti soldati e gli uomini di Yuranosuke fanno fatica a farsi strada tra le molte stanze. Infine Moronô viene trovato vigliaccamente nascosto in un deposito di carbone. Yuranosuke gli porge la spada con cui Hangan ha fatto seppuku e lo invita a suicidarsi onorevolmente ma Moronô cerca invece di colpire Yuranosuke. Moronô viene quindi ucciso e Yuranosuke lo decapita con la spada di Hangan. Quindi i samurai vittoriosi sfilano per la città portando come trofeo la testa del nemico ucciso; tra le acclamazioni della folla essi vanno a deporla sulla tomba di Hangan: la vendetta è compiuta.