Caratteristiche generali
Preponderanza della musica locale
Nella musica tradizionale giapponese la musica vocale è di gran lunga preponderante sulla musica puramente strumentale. Ciò non è immediatamente evidente da un semplice conteggio dei diversi generi musicali: occorre altresì tener conto del fatto che molti dei generi vocali hanno un repertorio molto più vasto dei generi strumentali.
Questa predilezione dei giapponesi per la musica vocale è documentabile fin dall'antichità; ad esempio nel Kojiki, il più antico documento in lingua giapponese arrivato fino ad oggi, vengono riportati i testi di 113 canti (le cui melodie sono oggi completamente sconosciute). è vero che il gagaku, una delle forme musicali più antiche del Giappone, comprende soprattutto musica strumentale, ma bisogna tener conto che si tratta di musica di importazione; è significativo che le opere in questo stile successivamente prodotte da compositori giapponesi comprendano anche in abbondanza opere vocali (saibara, rôe e imayô).
Questa egemonia della musica vocale è continuata fino all'epoca moderna: la produzione musicale più abbondante del periodo Edo è legata allo shamisen ed è quasi esclusivamente vocale. La "musica strumentale pura" che ha tanta rilevanza nella musica occidentale è rappresentata da generi come i danmono del sôkyoku che sono importanti ma numericamente minoritari.
Canto e declamazione (utaimono e katarimono)
All'interno della musica vocale si fa una distinzione fondamentale
tra le categorie degli utaimono [lett. "cose
cantate"] e dei katarimono [lett. "cose
raccontate/declamate"]. Secondo le parole di uno dei massimi studiosi
di musica giapponese:
"il termine utaimono indica brani che sono simili ai brani
cantati occidentali (song, lied, chanson). In
essi la relazione tra testo e musica può essere descritta dicendo che
la musica è l'elemento principale e il testo è secondario: il testo
viene guidato dallo sviluppo della musica stessa. Al contrario nei
brani chiamati katarimono la musica è guidata dalle parole, la
musicalità è un elemento che ha rinunciato alla propria indipendenza a
favore del significato e della forma posseduti dal linguaggio. Per
dirla più semplicemente, sono brani più vicini alla declamazione che
al canto."
Kikkawa Eishi, Hôgaku kanshô nyûmon
[Introduzione all'apprezzamento della musica tradizionale giapponese],
capitolo 7
(citato in Hoshi Akira, Nihon ongaku no rekishi
to kanshô [Storia e apprezzamento della musica giapponese], pagg.
170 - 171)
Questa distinzione si applica primariamente ai generi musicali;
ad esempio il jôruriè classificato come katarimono mentre il
nagauta, il
sôkyoku
e il
jiuta
sono considerati utaimono. Essa caratterizza però anche
gli orientamenti di scuole diverse all'interno dello stesso genere
(ad esempio lo shinnaibushi e il
kiyomotobushi
sono scuole che hanno molti elementi tipici dell'utaimono,
pur facendo parte del
jôruriche nel suo complesso è un genere di katarimono); inoltre esistono
composizioni che deliberatamente alternano brani di utaimono e di
katarimono o che mescolano elementi dei due generi nello stesso
brano (ciò avviene frequentemente ad esempio nella musica teatrale al fine
di introdurre elementi di varietà ed accrescere l'interesse dell'uditorio;
all'interno del sôkyoku,
è una caratteristica di diverse composizioni della scuola Yamada).
In un senso più lato si può quindi pensare alla distinzione tra
utaimono e katarimono come ad una distinzione tra due stili
diversi che possono essere descritti in base a caratteristiche generali.
antitetiche:
Utaimono |
Katarimono |
Prevalenza della melodia sul testo |
Prevalenza del testo sulla melodia |
Frequente uso di melismi (prolungamento delle vocali che vengono
cantate su parecchie note diverse) |
Assenza di melismi (corrispondenza uno a uno tra vocali e note) |
Scarsa intelliggibilità del testo |
Il testo è chiaramente comprensibile |
Ritmo prefissato, regolato dalla melodia |
Ritmo fluido che segue le inflessioni naturali della dizione
|
Osservando le caratteristiche dei due generi sopra elencate viene
naturale pensare alla distinzione tra aria e recitativo
tipica del melodramma europeo
ed in effetti questo paragone è stato usato anche da autori
giapponesi (ovviamente bisogna evitare di prendere in senso troppo
stringente un parallelismo tra mondi musicali così differenti).
Relazioni con altre forme d'arte
In molti casi la musica europea, soprattutto a partire
dall'Ottocento, tende ad un ideale di "arte assoluta", di mezzo di
comunicazione astratto e indipendente da altre forme d'arte. Anche se
questa tendenza non esaurisce certo il panorama vasto e complesso
della musica occidentale, è pur vero che esso ha agito come una delle
linee guida importanti: una tendenza in questo senso si può vedere in
alcuni dei principali generi (basti citare il quartetto d'archi, la
sinfonia, la sonata solistica).
Al contrario la maggior parte della musica tradizionale giapponese
ha un indirizzo molto più concreto ed è intimamente legata ad
altre forme d'arte. Gran parte della produzione musicale
(soprattutto, ma non solo, a partire dal
periodo Edo)
è legata al teatro e quindi costituisce solo uno degli aspetti di una
forma d'arte sintetica che comprende, oltre alla
musica, poesia e recitazione, danza ed arti figurative (maschere e
scenografie). Tra questi generi musicali possiamo citare:
-
yôkyoku
(musica del
teatro nô;
-
gidayûbushi
(musica del
bunraku,
teatro classico dei burattini);
-
tokiwazubushi,
kiyomotobushi e
nagauta
(musiche di scena del
kabuki).
Anche al di fuori della musica teatrale molti generi
sono legati alla danza (come il
bugaku del
gagaku)
e soprattutto alla poesia; tra questi ultimi, soprattutto nei
katarimono
la musica (come spiegato sopra) non è un'arte indipendente ma assume
un ruolo di sostegno alla declamazione del testo: è significativo in
questo senso che il verbo giapponese che corrisponde a "cantare"
(utau) indichi in modo ambivalente (soprattutto nella lingua
arcaica) anche "recitare una poesia".
La "musica assoluta" in senso occidentale non è del tutto assente
dalla musica tradizionale giapponese ed ha anzi prodotto alcuni generi
importanti e di elevato valore artistico, come i
danmono
che costituiscono una (piccola) parte del
sôkyoku
e la musica solistica per
shakuhachi;
anche il
kangen del
gagaku
può essere incluso in questo elenco. Nel complesso però si può
affermare che tali forme costituiscano una parte minoritaria
dell'intera produzione musicale.
Tutto ciò andrebbe sempre tenuto presente quando ci si avvicina alla
musica giapponese attraverso un mezzo indiretto come una registrazione:
quando si ascolta un disco di
nô o di
kabuki
bisogna essere consapevoli del fatto che si tratta di musica che non è stata
concepita per essere semplicemente "ascoltata", ma per essere gustata
all'interno di uno spettacolo che comprende anche recitazione, danza e
scenografia. Naturalmente ciò vale anche per l'ascolto dei dischi di alcuni
generi di musica occidentale come l'opera lirica, la musica da balletto o
la colonna sonora di un film, con la differenza che solitamente, in tal
caso, siamo perfettamente consapevoli del rapporto tra la registrazione e
l'opera originale, mentre nel caso di musica giapponese questo potrebbe non
essere evidente.
Privati del loro contesto teatrale, questi generi musicali possono
risultare ostici e noiosi; per questo motivo nella discografia essi vengono
spesso presentati attraverso selezioni di brani (analoghe alle compilazioni
di arie operistiche o estratti da balletti classici della musica
occidentale) piuttosto che come registrazioni integrali.
Trasmissione e apprendimento della musica
Rispetto alla musica occidentale, la musica tradizionale
giapponese è molto più legata alla trasmissione ed all'apprendimento
attraverso un rapporto personale tra il maestro e l'allievo. In un
certo senso un musicista è tale in quanto depositario di una
tradizione trasmessagli dal suo maestro e che a sua volta
trasmette ai propri allievi. In molti casi tale meccanismo di
trasmissione era tutelato dalla legge attraverso una forma di monopolio,
ma anche al di là di tale aspetto legale questo sistema era perpetuato
dalle consuetudini sociali, in quanto spesso per una persona che
volesse dedicarsi alla musica a livello professionale non esisteva
altra possibilità di formazione che quella di inserirsi in una
delle scuole esistenti.
L'uso del tempo passato è dovuto al fatto che, a
partire dal
periodo Meiji,
molte di queste barriere sociali e monopolistiche sono state abolite
ed il sistema di istruzione musicale è stato modernizzato, in larga
parte attraverso l'importazione di modelli occidentali.
Pertanto all'interno della musica tradizionale giapponese la
divisione di un dato genere musicale in scuole
diverse assume una caratterizzazione molto più marcata di quanto il
termine implichi nella musica occidentale, indicando
una linea di trasmissione di un repertorio, di uno
stile, di una tecnica esecutiva, a volte di una tecnica costruttiva
dello strumento stesso caratteristici e indipendenti da quelli di
altre scuole. Ad esempio le differenze stilistiche tra le varie scuole di
jôruri
(gidayûbushi,
katôbushi,
tokiwazubushi,
tomimotobushi,
kiyomotobushi,
shinnaibushi, ecc.)
sono tali che per molti aspetti queste si possono considerare
piuttosto come generi musicali diversi.
Il termine stesso di scuola artistica ha un
significato piuttosto diverso da quello a cui siamo abituati quando
esso viene applicato alla musica dell'Occidente, dove generalmente
esso indica un legame che si situa a livello culturale (come comunanza
di ideali estetici e continuità di tradizione artistica) più che
formale. Invece in Giappone il termine indica una precisa relazione
gerarchica tra maestro e allievo, che è codificata da regole e da
assunzioni di responsabilità ben precise da parte del discepolo e a cui
corrisponde un riconoscimento ufficiale (spesso messo per iscritto in
forma di "licenza") da parte del maestro.
Caratteristico in questo senso è il sistema degli
iemoto a cui era affidata la trasmissione di gran parte
del patrimonio musicale durante il
periodo Edo.
Il termine iemoto [lett. "origine della casa"] designava il
capo di una scuola artistica; entrando nella scuola una persona
contraeva con lo iemoto un legame di dipendenza ed un impegno
di fedeltà molto forti, paragonabili più a un rapporto di parentela o
alla dipendenza di un religioso dal suo superiore che non ad un
semplice rapporto di lavoro. I discepoli della scuola condividevano
non solo lo studio (che privilegiava l'apprendimento mnemonico e la
trasmissione fedele del repertorio della scuola più che la creatività
e l'originalità) ma anche vari aspetti della vita pratica e della
conduzione della casa del maestro, da cui spesso erano anche adottati.
La rigidità di tale sistema spiega forse il proliferare di scuole
differenti e in competizione tra di loro durante il
periodo Edo:
infatti spesso abbandonare la scuola (atto considerato alla stregua di
un tradimento) e fondarne una per conto proprio era l'unico mezzo
possibile per un allievo per dare spazio alla propria inventiva.
Tradizione, interpretazione e improvvisazione
Una conseguenza dell'importanza della trasmissione personale e
delle scuole nella musica giapponese è che l'esecuzione è
fortemente legata all'interpretazione da parte del singolo
esecutore. Naturalmente ciò avviene in qualche misura anche nella
musica occidentale, in cui però l'esecuzione è spesso guidata
dall'ideale (forse irraggiungibile) di "esprimere le vere intenzioni
dell'autore" del brano. Tale visione è invece assente nella musica
giapponese, che lascia un ampio margine all'interpretazione e
all'improvvisazione e in cui il ruolo di autorità non è legato tanto
al compositore quanto alla tradizione esecutiva.
In pratica ciò significa che è possibile riscontrare differenze
anche notevoli nel contenuto musicale di uno stesso brano (attribuito
allo stesso autore) eseguito da interpreti diversi, soprattutto se
questi appartengono a scuole diverse. Avvicinando la musica
tradizionale giapponese (attraverso l'ascolto di dischi o la lettura
di spartiti) bisogna quindi rinunciare all'idea che esista una forma
"corretta" di esecuzione dei brani ed accettare la varietà di
interpretazioni possibili come parte della ricchezza del
patrimonio musicale; un'idea di "corretta interpetazione" può semmai
essere applicata solamente in riferimento ad una ben precisa
tradizione (scuola). |